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CHE FINE FA UN IMPRENDITORE CHE DENUNCIA. Leggiamo la stora di Masciari e pensiamo a quella di Ignazio Cutrò

Raccontare una storia così complessa non è cosa semplice e per farla capire ho bisogno di raccontarla con il cuore più che scriverla attraverso i tasti di una tastiera.
Inizio col descrivere il giorno in cui ho conosciuto Pino Masciari. Era il novembre del 2007 a Bologna dove durante l’incontro nazionale dei meetup di Grillo ho avuto la grande occasione di conoscere la vicenda di Pino e della sua famiglia.
Quando Pino prese il microfono ed incominciò a parlare di come aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita mi vennero le lacrime agli occhi e rimasi completamente incredulo. Non mi sarei mai aspettato che potesse esistere una tale drammatica situazione derivata da una grande prova di senso civico e coraggio. Non avrei mai immaginato che un uomo capace di denunciare la ‘ndrangheta, le collusioni con politica e Magistratura mettendo la sua vita e quella della sua famiglia in pericolo, venisse abbandonato in modo così vergognoso dallo Stato. Ma andiamo per ordine.
Il calvario di Pino, uno dei più importanti imprenditori calabresi, inizia nell’ ottobre del 1997 quando, insieme alla moglie Marisa e ai due figli appena nati, entrano nel programma speciale di protezione e di conseguenza sradicati dalla loro terra, lontani dalla famiglia, dagli affetti e dal lavoro. Ricordo molto bene lo sguardo pieno di sofferenza e rabbia di Pino mentre raccontava il giorno dell’esilio dalla sua amata Calabria. Ricordo molto bene l’attimo in cui mi sono sentito complice di questa drammatica vicenda. Si, proprio complice. Perché in questi casi tutti i cittadini dovrebbero mettersi al fianco di persone oneste che come Pino lottano per un’ Italia senza mafie. Non parlo solo del Sud ma di tutta la nostra penisola, perché al Sud la mafia uccide, la vediamo ogni giorno nei telegiornali, al Nord fa affari per riciclare il denaro sporco di sangue. Siamo tutti dei complici fino a quando non guarderemo nella giusta direzione senza più girare la testa dall’altra parte, senza far finta di non vedere ciò che accade a un passo da noi, dai nostri occhi e dalle nostre orecchie.
Per poter scrivere tutto il mio racconto e le mie sensazioni non sarebbe sufficiente un solo articolo. Mi soffermo su alcune situazioni che mi hanno colpito particolarmente legate comunque a una vicenda che nella sua totalità provoca indignazione, rabbia ed amarezza indescrivibili.
Uno di questi episodi riguarda due delibere della Commissione Centrale dei Ministero dell’Interno del 2004, che a leggerle non sembra possibile siano state scritte dalla stessa mano per la loro contraddittorietà nell’arco di soli tre mesi. Nella prima si legge che la famiglia Masciari per gravi rischi di incolumità non può far ritorno in Calabria. Nella seconda delibera invece viene comunicato il termine del programma speciale di protezione.
Si può tranquillamente semplificare il concetto dicendo che è come condannare a morte la famiglia Masciari. Penso che sia assolutamente paradossale che venga riconosciuto il grave rischio di vita di un intera famiglia per poi a distanza di così poco tempo escluderla dal programma speciale di protezione che serviva a garantirne la sicurezza.
Per impedire che a se e alla sua famiglia venga negato l’indiscutibile diritto alla sicurezza, Pino fa ricorso al TAR del Lazio impugnando la seconda delibera che avrebbe escluso la famiglia Masciari dal Programma Speciale di protezione.
Un altro episodio che mi ha lasciato perplesso e sfiduciato è constatare la gravissima lentezza e conseguente applicazione di una sentenza. Il ricorso al TAR del Lazio viene presentato nel gennaio del 2005 e la sentenza viene emessa nel gennaio del 2009. Quattro lunghi anni che aumentano ancor di più la sofferenza della famiglia Masciari. Ciò che mi fa più rabbia è appunto la lentezza del sistema giudiziario. Non capisco come si possa lasciare una famiglia in una situazione del genere per così tanto tempo quando per legge il TAR avrebbe dovuto pronunciarsi entro sei mesi dall’ avvenuto ricorso. La sentenza del TAR del Lazio tra le altre cose stabilisce molto chiaramente che il programma speciale di protezione non può avere un termine a meno che non si provveda ad eliminare la causa che ha portato la famiglia Masciari all’interno del programma stesso. Più semplicemente il programma speciale di protezione termina quando non c’è più la criminalità organizzata, ciò porterebbe quindi all’annullamento del rischio da parte di chi ha denunciato.
Dopo la rabbia dovuta alla lentezza da parte del TAR nell’emettere la sentenza il mio sentimento di amarezza si fa più acuto nell’apprendere che ad oggi, a distanza di tre mesi, non è ancora stata rispettata dal ministero dell’Interno.
Dalla vicenda di Pino mi rendo conto che l’idea che abbiamo di come possa funzionare un programma di protezione è del tutto sbagliata. Ci immaginiamo una famiglia che vive una vita normale, nonostante sia sotto scorta. Tutto falso.

Provate a immaginare di non poter uscire di casa quando attraverso le finestre di casa vostra notate il sole che vi invita a stare all’aria aperta, che vi invoglia a fare una pedalata con la vostra famiglia, che vi invoglia a fare una partita a pallone con i vostri figli, che vi invoglia ad immergervi nelle cose che illumina con grande calore. Provate ad immaginare una vita senza l’appoggio di un vero amico. Provate ad immaginare la vita dei vostri figli senza mai vederli giocare con i loro compagni di scuola. Provate ad immaginare una vita non vissuta. Questa situazione per la famiglia Masciari non è immaginazione ma realtà. La cosa peggiore che mi potrebbero fare è rubarmi la libertà di scelta. Credo che per ognuno di noi sia la cosa più importante poter scegliere quando uscire, cosa fare e soprattutto frequentare gli affetti, che sia la nostra famiglia o gli amici più cari.
I figli di Pino hanno conosciuto i nonni nel 2007 quando avevano più di dieci anni.
Immaginare di vivere così non potrà mai farci capire cosa significa realmente, ma se provassimo a privarci delle amicizie, della nostra famiglia anche solo per un mese ne soffriremmo molto.
Pino e la sua famiglia vivono così da 12 anni e sapere che una famiglia non ha avuto la possibilità di scegliere per un periodo così lungo mi provoca un grande dolore e una rabbia capaci di riempire l’intero pianeta.
La cosa più sconvolgente è che la loro vita è stata rovinata perché sono delle persone oneste che hanno denunciato la criminalità organizzata e che per questo andrebbero portati come esempio.
Abbiamo tutti il dovere di non lasciare sole le persone che come Pino lottano contro la criminalità organizzata e che concretamente rischiano la loro vita e quella dei propri cari per dare a tutti noi un Italia migliore.
L ‘imprenditore Pino Masciari e sua moglie Marisa, medico odontoiatra, hanno completamente affidato le loro vite e quelle dei loro figli, nelle mani dello Stato, compiendo un gesto coraggioso che dovrebbe essere considerato un esempio per tutti.
Termino quindi questo mio racconto ponendovi alcune domande che ritengo debbano far riflettere e che considero una delle cose più gravi ed inaccettabili dell’intera vicenda.
Ma lo Stato dov’è, quale messaggio arriva agli altri imprenditori o singoli cittadini che si vogliono ribellare alle mafie?
Non vi sembra che il messaggio sia devastante per chi realmente vuole combattere la piaga della criminalità organizzata?
Forse per lo Stato chi denuncia il sistema mafioso non è un esempio positivo per la società civile?

(Tratto da Basta Saperlo)