Champagne e ingressi gratis, così il clan D’Alessandro riscuoteva il racket nei locali di Sorrento
di Ciro Formisano
Nel privé di quel locale chic della movida di Sorrento c’è sempre un tavolo libero all’occorrenza. “Riservato” recita la scritta piazzata tra un cocktail e una bottiglia di champagne pronta per essere stappata. Perché ogni desiderio di Michele D’Alessandro è un ordine per imprenditori, dj, camerieri e vigilantes. Al nipote del boss di Castellammare di Stabia non si può, anzi non si deve dire di no. E allora fiumi di alcool e pass illimitati per amici e presunti affiliati. Per una notte sono loro i padroni del locale. Tutto gratis. Non per stima o per affetto. Ma perché quella – secondo l’Antimafia – non è altro che un’estorsione mascherata. Un modo per garantirsi l’immunità dal pizzo tradizionale. Niente esattori che bussano alla porta, niente minacce o intimidazioni. Il rampollo si diverte, beve e ringrazia. E il conto con la camorra è pagato. L’affresco di un territorio in balia della criminalità organizzata è dipinto dalle parole dell’inchiesta “Cerberus”, l’ultima indagine sugli affari dei boss di Scanzano. Migliaia di pagine per raccontare una storia, la solita terribile storia di un clan – i D’Alessandro – che da più di mezzo secolo tiene in pugno l’area stabiese. Forza di una prepotenza criminale che come una leggenda si tramanda di generazione in generazione. Da Michele a Michele, dal boss fondatore della cosca defunto in carcere, a suo nipote, oggi 30enne, indagato a piede libero con l’accusa di aver diretto – per un periodo tra il 2011 e il 2015 – uno dei più potenti e feroci sodalizi criminali della storia della camorra. Lui, Michelino, avrebbe gestito in prima persona l’affare racket quando aveva appena vent’anni. Soldi, regali, favori. Tutto in cambio di quella protezione alla quale – ed è questo forse il dato più drammatico – la città si è ormai abituata, assuefatta. Come quel ristoratore di Castellammare che avrebbe chiesto al clan di intervenire per punire alcuni camerieri che rubavano i soldi dalla cassa. In un altro paese quell’uomo avrebbe denunciato tutto alle forze dell’ordine. Ma non qui, non a Castellammare. E così basta una chiamata. Detto, fatto. Pestaggio e minacce, il problema è risolto. O come il titolare di un bar che paga tutti i mesi la tangente a Scanzano e che un giorno chiama al telefono Gianfranco Ingenito (ritenuto il factotum di Michele D’Alessandro) per chiedergli di intervenire. Il motivo? Un cliente sta facendo casino, “si sta sparando le pose”, dice l’imprenditore al cellulare, e non vuole pagare il conto. In un altro paese la vittima avrebbe chiamato la polizia o i carabinieri. Ma non a Castellammare. Qui diversi imprenditori – come viene fuori dalle intercettazioni captate dagli 007 della Dda – preferiscono chiedere aiuto alla camorra per risolvere questo genere di problemi. Una legittimazione dell’anti-Stato in un territorio dove lo Stato, per troppo tempo, è arrivato tardi. Un sistema spaventoso quella raccontato dall’Antimafia, al punto da spingere gli inquirenti a parlare di “senso di sottomissione” così “radicato” da rappresentare uno dei pilastri sui quali i clan – e in particolare i D’Alessandro – hanno costruito il proprio predominio sul territorio. Paura, rispetto, timore. Mille parole per dire la stessa cosa. Un virus che si diffonde con uno sguardo e che spiana la strada all’ascesa dei nuovi rampolli di una città inginocchiata ai clan. A figli, nipoti e parenti dei padrini basta poco per farsi largo nel mondo degli affari illeciti. E nelle pagine di atti, documenti e informative la parola che si ripete più volte è sempre la stessa: “connivenza”. Un intreccio pauroso tra interessi e assuefazione al crimine. E così quel giovane ventenne, nella sua scalata al potere, avrebbe deciso di chi poteva aprire le piazze di spaccio, chi doveva pagare l’estorsione e chi no, quanto dovevano tirare fuori quelli che installano le slot machine per mettersi in regola. Ecco, mettersi in regola. Nelle intercettazioni si parla sempre di “messa a posto”, un modo per non dire estorsione, tangente o pizzo. Un modo per sottolineare che chi paga “sta a posto”, è uno di cui ci si può fidare. E’ uno che sta dalla parte loro. Uno che sta dalla parte della camorra.