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Cava degli orrori,in cella la banda dei rifiuti

Il Caffé, n. 415 dal 3 al 30 agosto 2017

Cava degli orrori,in cella la banda dei rifiuti

Fermato il presunto gruppo criminale che interrava rifiuti, anche tossici, a due passi dalla Pontina

di Francesco Buda

OPERAZIONE DARK SIDE

Fermato il presunto gruppo criminale che interrava rifiuti, anche tossici, a due passi dalla Pontina Cava degli orrori,in cella la banda dei rifiuti L’accusa: interravano notte e giorno rifiuti di ogni genere nella cava a ridosso della Pontina, svincolo via del Tufetto. Una marea di robaccia, tanto che il terreno si è alzato di almeno dieci metri da quando la Polizia ha avviato le indagini, riferisce un investigatore al giornale il Caffè. Ci vorrà tempo per sapere quali danni hanno provocato sulle falde idriche e nel suolo. Un selvaggio colpo all’ambiente secondo la Polizia di Stato e la Magistratura. Perciò hanno arrestato il presunto clan che avrebbe messo in atto il traffico illecito di rifiuti nel triangolo Aprilia – Litorale sud di Roma – Castelli Romani. Foto, filmati anche notturni, intercettazioni, monitoraggio a terra e dall’alto con gli elicotteri del 1° reparto volo della Polizia di Pratica di Mare: circa un anno e mezzo di indagini che hanno portato lo scorso 27 luglio a 16 arresti e al divieto per altre 6 persone di mettere piede tra Aprilia, Ardea e Velletri – luoghi dei presunti delitti – con l’obbligo di presentarsi alla Polizia.

VIA VAI DI CAMION

Ad avviare le ricerche, sfociate nell’operazione “Dark Side” messa a segno con la retata di fine luglio, sono stati i segugi della Polizia stradale di Aprilia, guidati dall’ispettore superiore Massimiliano Corradini, poi affiancati dalla Squadra mobile di Latina, al comando del vicequestore Carmine Mosca. La cava si trova a due passi dalla via Pontina, a circa 500 metri in linea d’aria. E ad incuriosire la Polstrada, che fa su e giù ogni santo giorno sulla 148 Pontina, è stato l’intenso via vai di camion nella zona: a un certo punto ne hanno fermato uno che presentava cattivo odore e residui di rifiuti. Le analisi hanno poi dimostrato che si trattava di sostanze compatibili con i materiali analizzati nella cava. Ma avrebbero continuato forsennatamente l’attività.

I ‘GESTORI: PAPÀ, MAMMA FIGLIO 22ENNE, ARRESTATI

Un’inchiesta notevole, per (presunti) crimini notevoli, visto che è stata coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma e con il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato. Tanto gravi le vicende criminali contestate, che l’operazione è stata annunciata ed illustrata alla stampa locale e nazionale presso il Viminale, il quartier generale del Ministero dell’Interno. Il sito sequestrato è di circa 10 ettari, molto bello, circondato da alberi, vicino ci sono coltivazioni e allevamenti. Sotto presenta importanti risorse idriche, addirittura un’apprezzata acqua minerale, ed è sottoposto a vincolo idrogeologico. A gestirlo, era una famiglia di Aprilia: il 53enne Antonino Piattella, la moglie 51enneRoberta Lanari e il giovanissimo figlio Riccardo. Tutti e tre arrestati e messi in carcere.

I RUOLI DEI PIATTELLA

Il papà sarebbe “autentico dominus dell’intera filiera illecita”, ossia il ‘boss’ del presunto stupro ambientale; la moglie Roberta, una sorta di braccio destro. Se erano assenti il coniuge e il ragazzo, racconta la Polizia, “se del caso erano sostituiti” dalla donna che spesso incassava sull’unghia i soldi dai camionisti che portavano lì “rifiuti solidi urbani, rifiuti da costruzione e demolizione nonché rifiuti pericolosi, come sembravano testimoniare le esalazioni colorate che si sprigionavano dai cumuli di materiale dopo lo scarico”. Il giovanissimo Riccardo, “gestore della cava a tutto tondo” per Questura, Procura e Antimafia “si occupava anche di manovrare personalmente escavatori e trattori stradali per provvedere allo scarico e all’interramento di enormi quantitativi di rifiuti”. Per gli investigatori, “uomo di fiducia dei Piattella” era Patrizio Telesca di Aprilia, e a scavare gli invasi, era il 73enne Carlo Santioni, residente ad Albano, “con il compito di compiere tutte le attività commisionategli di volta in volta dai Piattella”, scrive il Giudice Martina Ciancio nell’ordinanza di arresto.

INTOSSICATI DA SOLDI E… VELENI RESPIRATI

Il giro di soldi era gigantesco: è di 15 milioni il valore dei beni sequestrati ai Piattella, a loro familiari e ad altri ritenuti prestanome dagli inquirenti. Un tesoro accumulato, secondo l’accusa, anche attraverso il riciclaggio del denaro incassato con i proventi dell’attività in cava: 60 tra automobili, camion e altri mezzi d’opera aziendali, 37 terreni, 8 fabbricati industriali, 7 case, 7 depositi, 9 società, 11 quote societarie, molti rapporti bancari. Circa 200mila euro sono invece stati sequestrati alle ditte che qui scaricavano, ritenute a vario titolo complici della presunta associazione a delinquere aggravata. Riccardo Piattella, a poco più di venti anni, sarebbe quello più esposto alle esalazioni e polveri dei materiali sversati e interrati, per via della sua intensa attività su Tir e ruspe (“incuranti del pericolo per la loro salute”, dice il Gip). Un business nocivo per il creato, per il corpo (innanzitutto) di chi vi ha partecipato così da vicino. Ma pure l’anima, come sottolinea l’esternazione del Vescovo di Albano, Marcello Semeraro, che ha tuonato contro questi fatti: «Episodi di questo genere non lodano Dio, ma lo bestemmiano». E davanti a Lui, probabilmente, non c’è prescrizione del reato e azzeccagarbugli che tenga. Gli accusati, è bene ricordare, sono non colpevoli fino a sentenza di terzo grado passata in giudicato. Per primi abbiamo fornito dettagli della vicenda e mostrato su internet le foto aeree e a terra della cava dei Piattella. Ciò ha provocato qualche pressione e minaccia nei nostri confronti: non possiamo tacere. Perciò in questo speciale di quattro pagine vi mostriamo le immagini esclusive e vi diamo le notizie.

Il Caffé, n. 415 dal 3 al 30 agosto 2017

La rete di società intorno alla cava-discarica

Compiti ben delineati in una filiera collaudata e rapida: dalla preparazione al trasporto fino all’interramento


Una filiera societaria tra Aprilia, Ardea, Pomezia e Velletri muoveva gli affari che avevano il loro epicentro nella ex cava sequestrata dalla Direzione distrettuale antimafia lo scorso 27 luglio. Nell’àmbito della presunta associazione a delinquere, la Polizia ha delineato una articolata rete di aziende nel mirino dell’operazione “Dark Side”. Costituivano l’ossatura principale del traffico osservato dagli investigatori sin dal febbraio 2016, con un incessante via vai di camion, scavi e interramenti anche di notte. Da un lato con le società a responsabilità limitata della famiglia Piattella di Aprilia che gestiva la ex cava e reinvestiva, secondo gli investigatori, gli enormi proventi in attività lecite: otto società: Gruppo Piattella Srl con sede a Fossignano, nella campagna di Aprilia vicino Ardea, a due passi dalla chiesa Santa Maria della Speranza, e poi la Martina Logistica Srl, con sede a Pomezia nella centralissima via Roma, entrambe riferite dagli inquirenti ad Antonino Piattella, considerato il capo; ci sono poi la RM Trasporti, Edil Fossignano ed Eurocostruzioni 2008 Srl riferita alla moglie di Piattella, la 51enne Roberta Lanari, e in- fine ben tre ditte riferite al figlio 22enne Riccardo Piattella: la Trasporti Piattella Srl con sede nel solito sito a Fossignano (Aprilia), Il Borgo Srl e Mille Idee Srl. La rete si completava, secondo Polizia di Latina e Aprilia, Procura e Direzione distrettuale antimafia di Roma, con un giro definito dagli inquirenti di “imprenditori associati”. Eccoli: il gruppo Carnevale di Velletri con la Oasi Srl e la Recuperi Carnevale con stabilimento sulla via Appia Sud, e la Essedi Srl di Giampiero Bernacchia, il 48enne nato a Frascati arrestato con altre 15 persone il 27 luglio. Altre ditte sono poi citate nella ordinanza con cui sono stati disposti i 16 arresti e i divieti di mettere piede ad Aprilia, Ardea e Velletri per altre 6 persone. Questi i nomi delle società: IUMA Srl del 48enne Alberto Manzini di Aprilia, tra i 16 personaggi raggiunti da ordine di custodia cautelare in carcere, la MENFER Srl di Ardea che ‘trattava’ una marea di rifiuti in via di Valle Caia, la LOAS ITALIA Srl, che lavora rifiuti nei suoi tre capannoni nella zona artigianale di Aprilia. Uno dei suoi padroni, il 52enne Antonio Martino, è stato arrestato. Questa ditta opera nella zona artigianale di Aprilia a pochi metri dalla via Pontina direzione sud, nell’area artigianale: questa ditta lavora da anni per il Comune di Aprilia. L’Assessore all’ambiente di Aprilia, Alessandra Lombardi, ha annunciato che l’Amministrazione comunale scioglierà quell’imbarazzante contratto. Spunta poi la EDIL MIMA Srl, con sede a Tor San Lorenzo (Ardea) a due passi dal lungomare, amministrata dal 59enne Stefano Moreschini, anch’egli finito in carcere nell’operazione “Dark Side”. La sua ditta nell’ordinanza di arresto risulterebbe complice dello scempio ambientale contestato dalla Direzione distrettuale antimafia. Infine, nella stessa ordinanza, figura la EDILIDEA Srl, con amministratore di diritto Giovannino Bonanni.


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Discarica illegale: il ruolo delle donne

Triangolo Aprilia – Ardea – Velletri con ditte a guida femminile. Un investigaore spiega: «Sapevano e avevano un ruolo attivo»

Un gruppetto di donne tra i protagonisti della presunta banda che interrava rifiuti di ogni genere a tutto spiano nella ex cava a ridosso della via Pontina, nel territorio di Aprilia. Secondo l’accusa non c’era solo Roberta Lanari di Aprilia, ritenuta dagli investigatori braccio destro del presunto capo, il marito Antonino Piattella: se lui non c’era, ci pensava lei ad incassare sull’unghia le somme dai camionisti per il ‘servizio’. Altre figure femminili nell’asse Castelli Romani – litorale sud di Roma: le sorelle Donatella e Catia Carnevale, della omonima famiglia, da tanti anni attiva nel settore rifiuti a Velletri, dove ha uno stabilimento sull’Appia Sud. La prima guidava la Oasi Srl e la seconda è finita nel mirino della Polizia con la Recuperi Carnevale Srl, attiva dal 1984. Anche questo sito, come la cava-discarica tossica, è stato monitorato dagli elicotteri del 1° reparto volo della Polizia di Stato di Pratica di Mare. Amministratore di diritto della società risulta Biagio Carnevale. La ditta sarebbe collegata a Remo Sestini. Il gruppo gestisce un maneggio a Cisterna, da cui sarebbe arrivato molto letame di cavallo sversato nella cava. La prima delle due ‘imprenditrici’ di Velletri, Donatella, ha fatto appena in tempo a festeggiare il 53esimo compleanno, il 25 luglio: due giorni dopo è stata arrestata. L’altra, Catia, ne aveva compiuti 48 il due luglio scorso. Vi sarebbe poi Maria Pia Faraoni, amministratore unico della MENFER Srl di Ardea, con stabilimento di “recupero rifiuti” in via di Valle Caia, che già nel 2007 vantava una capacità di ‘trattare’ 20mila tonnellate di rifiuti l’anno. La signora – riferiscono fonti investigative che seguono il caso – «è indagata a piede libero». Il suo legale, l’avv. Michele Antonelli, afferma invece che quanto riferito dal nostro giornale su internet e che qui riportiamo sarebbero “notizie false e non fondate”. L’avvocato si riferisce all’articolo dal titolo “Discarica tossica vicino la Pontina: la ‘cupola’ delle ‘boss’ in gonnella”. Definisce “lesiva e dichiaratamente diffamatoria del diritto all’immagine, al nome, alla dignità e riservatezza della mia assistita” la nostra attività giornalistica. Al momento però non ci dice quali siano le presunte notizie false. Il nome della signora Maria Pia Faraoni e della sua ditta Menfer Srl risulta nelle carte giudiziarie su questa vicenda, come il Caffè ed altre testate possono documentare: lei e Paolo Bonci, dipendente della MENFER, risultano indagati e citati dal Gip Ciancio come “conferitori di rifiuti per lo smaltimento illecito presso la ex cava dei Piattella”. La signora Faraoni non è tra le persone raggiunte da misure cautelari. «Queste signore erano a conoscenza di tutto, avevano un forte ruolo attivo nella rete di società, in cui vi erano ruoli ben determinati, che curavano il trasporto, lo sversamento e l’interramento dei rifiuti… roba da rabbrividire», spiega al giornale il Caffè una fonte giudiziaria. Non mancano donne, comunque, anche sull’altro fronte in questa guerra dei rifiuti: il pubblico ministero Luigia Spinelli, che ha condotto le indagini per la Procura della Repubblica di Latina, e Monica Ciancio, Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, che ha ordinato i 16 arresti e il divieto di stare ad Aprilia, Ardea e Velletri con l’obbligo dei presentarsi ogni giorno alla Polizia giudiziaria nei confronti di altri sei soggetti. Indagati e arrestati sono presunti non colpevoli pe r la legge italiana, fino al terzo grado giudizio.

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Loas, l’altra ditta a due passi dalla Pontina

Dallo stabilimento nell’area artigiana di Aprilia i carichi per la discarica: arrestato uno dei capi. Il Comune è cliente loro…

Capannoni belli e recenti, tre in tutto. Con grandi piazzali con vere montagne di rifiuti plastici che ricordano un’altra azienda del territorio salita di recente agli onori delle cronache nazionali, la Eco X. È la Loas Italia Srl, ditta, per metà di Antonio Martino, classe 1952, arrestato il 27 luglio insieme ad altri 15 soggetti ritenuti responsabili a vario titolo dell’inquinamento di circa 10 ettari nella ex cava in via Corta, ad Aprilia. Secondo investigatori e magistrati di Procura e Direzione distrettuale antimafia di Roma, dalla Loas Italia partivano carichi destinati ad essere sversati ed occultati sotto terra nella cava. La sede operativa dove Loas Italia riceve e tratta rifiuti è nella nuova zona artigianale di Aprilia, su una via che ancora non figura su Google Maps: via dell’Artigianato, poco prima dell’incrocio con via della Cooperazione. Sono strade senza asfalto, coperte di brecciolino. Visto dall’alto l’impianto si presenta così come mostrano le esclusive immagini aeree che il giornale il Caffè ha realizzato qualche tempo fa: c’era nell’aria qualcosa di strano, come confermato da qualche amministratore pubblico che preferisce l’anonimato. Al 2013, l’impianto risultava autorizzato dalla Provincia di Latina a ricevere totali 140mila tonnellate l’anno di rifiuti non pericolosi. Ad esempio: pneumatici fuori uso, imballaggi, plastiche e gomme di vario tipo, carta, cartone, residui del legno, rifiuti tessili, apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso, metalli, vari scarti edili, scarti di mense e cucine, rifiuti solidi prodotti dalle operazioni di bonifica dei terreni, immondizia urbana indifferenziata, ingombranti. Nel provvedimento con cui ha ordinato di arrestare e trasferire in carcere anche il signor Antonio Martino della Loas Italia srl, il Giudice per le indagini preliminari di Roma, Monica Ciancio, parla di “rifiuti provenienti dalla società Loas Italia Srl con sede in Aprilia, via Augusto 10” portati e sversati nella cava.

 

Il Caffé, n. 415 dal 3 al 30 agosto 2017

Il club dei camionisti dei rifiuti: ’na piotta a viaggio

Dalle intercettazioni emerge il compenso all’autista: 100 euro, compreso lo sversamento

Rischioso, ma tutto sommato nemmeno più di tanto. Imboccata via Corta dallo svincolo per via del Tufetto, sulla Pontina verso Roma, il gioco era fatto: solo da un lato potevano arrivare ficcanaso o altri veicoli fuori dal ‘giro’. I camion erano spesso enormi Tir con rimorchio chiuso, come quelli che ad esempio trasportano cibo o altra merce innocua. Erano loro, i camionisti – secondo la ricostruzione della Polizia – a pagare in contanti il ‘servizio’ al presunto boss della cava, Antonino Piattella. Gli autisti infatti svolgevano questa attività, secondo gli inquirenti, “occupandosi anche del successivo sversamento”. Le immagini riprese dalla Polizia di Stato sono schoccanti quanto eloquenti. Alcuni di Aprilia. Come Manzini Alberto, tra i 16 incarcerati nella retata del 27 luglio, patron della IUMA Srl, tra le ditte che gli inquirenti definiscono “associate” al presunto sodalizio criminale. Sempre per la IUMA Srl, a trasportare i carichi di rifiuti erano poi Ulisse Iacoangeli e Federico D’Errico Laterza. Per la ditta del Manzini, ci sarebbe anche un certo Franco, non meglio identificato. Nelle carte giudiziarie spuntano come camionisti tale Massimo Donnarumma, residente a Latina, e Riccardo Cogoni di Aprilia, che avrebbe trasportato camion della Loas Italia srl di Aprilia (uno dei titolari arrestato, vedi articolo sopra). Inoltre, ci sarebbe Viorel Achim, con ri- fiuti “provenienti dalla società Edilidea Srl” e su camion della stessa ditta, con sede a Roma in via Castel Porziano. Tutti costoro, scrive il Giudice che ha disposto gli arresti, avrebbero svolto l’attività “occupandosi anche del successivo sversamento”. Rifiuti provenienti dalla Ditta Giulia 2003 Srl sarebbero stati trasportati a bordo di veicoli pesanti da Massimo Giacomi detto “Manetta” e l’arrestato Sante Lucidi di Aprilia. Vi è poi il trasporto e lo sversamento di carichi provenienti da aziende rimaste ignote per ora. Altri guidatori sarebbero gli stessi presunti capi della cava, Antonino e Riccardo Piattella, padre e figlio. Con loro, tra i presunti autisti dei camion inquinatori, anche un altro degli altri arrestati, Elio Bacci di Ardea detto “Mauro”. E ancora: gli apriliani Patrizio Telesca di 36 anni, Alessandro Papi 35enne e Aldo Puca 35enne, Cristinel Esanu ed un certo Zanotti, non meglio identificato. Gli sversamenti, riferisce al giornale il Caffè uno degli investigatori che ha curato le indagini, hanno prodotto un innalzamento importante del suolo. «Hanno rialzato il piano di campagna di almeno dieci metri dal febbraio 2016, quando abbiamo iniziato le indagini: si può immaginare che enormi quantità abbiano depositato nella ex cava: c’è di tutto lì». In un sopralluogo effettuato nella ex cava prima dell’apposizione dei sigilli della Direzione distrettuale antimafia, in quel sito noi del Caffè abbiamo rinvenuto polveri di colore giallastro ed altri rifiuti ancora ben visibili. Cosa è finito là sotto potranno dircelo le analisi dei campioni di acqua e terreno prelevati dall’Arpa Lazio, Agenzia regionale per la protezione ambientale, e dal consulente esterno nominato dalla Procura della Repubblica di Roma. Tutto questo per cosa? «Una piotta»: questo il presunto compenso di cui parlavano nelle intercettazioni. 100 euro all’autista per un viaggio.