Catanzaro, le mani del clan Anello sulla città. Una maxi estorsione per la “106”
di Gaetano Mazzuca — 15 Gennaio 2022
Una holding di livello mondiale nel settore delle costruzioni costretta a versare 300mila euro per poter portare a termine un appalto pubblico; una delle famiglie più importanti della città invece avrebbe dovuto affidare lavori e guardiania agli uomini del clan per poter realizzare i propri capannoni a Germaneto. Episodi che dimostrano come i tentacoli del boss Rocco Anello di Filadelfia avrebbero avuto una presa ben salda sulla vita del capoluogo calabrese. A riferirlo è il collaboratore di giustizia catanzarese Santino Mirarchi che ieri era stato chiamato a testimoniare nel processo Imponimento, l’inchiesta con cui la Dda ha svelato gli affari illeciti del clan vibonese. Si è deciso però di non ascoltare Mirarchi, assistito dall’avvocato Michele Gigliotti, ma di acquisire direttamente agli atti i verbali con le sue dichiarazioni già rilasciate ai magistrati della Dda.
In quelle pagine il collaboratore racconta la sua carriera criminale divisa tra il clan di Roccelletta di Borgia e lo spaccio di stupefacenti nella periferia sud con il gruppo della criminalità rom. Lui stesso spiega così il suo ruolo nella criminalità organizzata catanzarese: «In estrema sintesi posso dire che io mi occupavo prevalentemente del traffico di droga e delle estorsioni per conto del gruppo di cui facevo parte e se necessario commettevo omicidi». Mirarchi spiega che fino al 2009 a Roccelletta non c’era una locale di ‘ndrangheta e quindi aveva rapporti diretti con Filadelfia, per questo i legami con il boss Rocco Anello erano risalenti nel tempo.
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