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Catanzaro, 2 telefonate al Colle nella guerra contro De Magistris

Il Fatto Quotidiano

Catanzaro, 2 telefonate al Colle nella guerra contro De Magistris

Il pg Iannelli: “A Napolitano inviai anche un fax”

di Antonio Massari | 14 FEBBRAIO 2021

Catanzaro, 2 dicembre 2008, ore 16.01 e 33 secondi. Dalla procura generale parte una telefonata al numero fisso del segretariato generale della presidenza della Repubblica. Durata della chiamata: 75 secondi. Altra telefonata alle 17.47 : la conversazione dura 70 secondi. Perché la procura generale di Catanzaro – per la precisione il procuratore Enzo Iannelli – parla per ben due volte con il Quirinale? Il dato, che oggi il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare, mette al suo posto un tassello importante di quella giornata, passata alla storia come il giorno dello “scontro tra procure”.

I pm di Salerno Gabriella Nuzzi (foto a sinistra) e Dionigio Verasani, con un atto firmato anche dal procuratore Luigi Apicella, stanno perquisendo i colleghi della procura di Catanzaro: più volte avevano chiesto, senza alcun risultato, la copia di atti che riguardavano l’inchieste Why Not e Poseidone (nei quali erano stati indagati il premier Romano Prodi e il ministro di Giustizia Clemente Mastella, che saranno poi archiviati). La procura di Salerno agisce in base alle norme sulla competenza e su denuncia dell’allora pm Luigi de Magistris: vuol capire perché i fascicoli fossero stati tolti all’attuale sindaco di Napoli e ipotizza vari reati a partire dall’abuso d’ufficio. A settembre Iannelli aveva segnalato al Csm le richieste – che non riteneva corrette – giunte dai colleghi di Salerno. Il Csm però non aveva risposto. La tensione culmina il 2 dicembre, quando avvengono le perquisizioni, che costeranno una condanna disciplinare ai magistrati di Salerno e anche ai colleghi di Catanzaro che, il 4 dicembre, decidono di “contro-sequestrare” il sequestro e, a loro volta, inscrivono nel registro degli indagati i magistrati campani che li stanno indagando. Un corto circuito completo.

Palamara, in un passaggio del libro “Il Sistema”, al direttore del Giornale Alessandro Sallusti – che gli chiede: “De Magistris andava fermato?” – risponde: “Diciamo che la decisione è di provare ad arginarlo, il ‘sistema’non può permettersi una cosa del genere (…). Lo scarichiamo e condividiamo questa scelta con il Quirinale (…). Ci furono pressioni politiche per scaricare De Magistris perché quell’inchiesta andava a colpire un governo di sinistra? Il governo era di sinistra, il mio sistema di riferimento anche, lascio a voi le conclusioni”. L’Anm guidato da Palamara scaricò i tre magistrati di Salerno, che furono immediatamente puniti dal Csm, al pari di quelli di Catanzaro colpevoli di aver indagato i loro indagatori e di aver contro-sequestrato un sequestro di atti.

Iannelli ha avanzato ricorso contro la sua condanna disciplinare alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha dichiarato ammissibile la sua richiesta, e negli atti si legge un ulteriore dettaglio nelle ore della perquisizione dei pm di Salerno: “Rispetto a tale sconcertante quadro (…) il dottor Iannelli (…) procedeva a notiziare dell’avvenuto (…) il presidente della Repubblica, in qualità di presidente del Csm, trasmettendo (…) copia del decreto (di perquisizione, ndr) oltre a ulteriore informativa inviata al Comitato di presidenza del Csm e alla procura generale della Cassazione”. Napolitano viene quindi informato in tempo reale, alle 16.01 del 2 dicembre appunto, di quel che sta accadendo, quando Iannelli parla con il consulente giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio. Poi gli invia un fax che il Fatto rivela in esclusiva e con il quale informa Napolitano di “fatti gravissimi, eversivi delle istituzioni che in questo momento si stanno svolgendo (…)”. Iannelli sostiene che la procura di Salerno stia “tesaurizzando acriticamente le propalazioni” di De Magistris. È un corto circuito totale: a prescindere dal suo intento – diamo per scontato che fosse, dalla sua prospettiva, a fini di giustizia – Iannelli, che in quel momento è indagato (poi sarà archiviato, ndr) coinvolge direttamente Napolitano giudicando negativamente l’indagine che lo riguarda. Aggiunge che il procedimento ha “l’evidente fine” di “ricercare ancora dati a sostegno dell’ipotizzato complotto contro De Magistris” peraltro proprio mentre a Catanzaro sono pronti a chiudere Why Not e Poseidone con dei capi d’accusa. E chiede l’intervento di Napolitano “per ripristinare con la massima tempestività le basi fondanti dell’Ordine giudiziario”. Due giorni dopo, il 4 dicembre, il segretario generale di Napolitano, Donato Marra, citando la lettera inviata da Iannelli, chiede alla procura generale di Salerno di inviargli atti e notizie che riguardano la vicenda. Sembra un punto a favore di Iannelli e dei sui colleghi che, però, saranno condannati in sede disciplinare. “La nostra condanna – dice oggi Iannelli – è una vergogna nella storia della magistratura. Io mi aspettavo la tutela del Presidente. Mi chiedo perché siamo arrivati a questa soluzione. Quel sequestro era l’unico modo che avevamo per sottoporre la questione dinanzi a un giudice. Ma poi sono stato convocato dal procuratore generale della Cassazione e sono stato indotto – e immagino anche i colleghi di Salerno – a ritirare il nostro sequestro. Ritengo che il procuratore sia stato a sua volta indotto da Napolitano a farmi questa richiesta”. Resta il fatto che la procura di Salerno non potè mai consultare gli atti sequestrati. Ma di cosa parlò Iannelli con D’ambrosio? “Gli dissi che stava accadendo qualcosa di grave. Lo avvertii che stavo inviando una lettera a Napolitano. Lui poi mi chiamò: ‘Il presidente l’ha letta e l’ha apprezzata’. Non parlammo del contro-sequestro. Nei giorni seguenti gli chiesi di incontrare Napolitano per spiegargli la mia scelta ma l’appuntamento non fu fissato”.