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Castelforte//Santi Cosma e Damiano – Il caso anni 2000:«Feroci e armati, ma non era mafia»

Latina Oggi, Domenica 18 settembre 2022

Castelforte//Santi Cosma e Damiano

Il caso anni 2000:«Feroci e armati, ma non era mafia»

Il punto Pubblicate le motivazioni della sentenza emessa con rito abbreviato per tre imputati

I DETTAGLI – La scia di attentati che colpisce diversi imprese della zona tra Castelforte e Santi Cosma e Damiano a partire dal 2014 emerge con sconcertante chiarezza sia nel numero che nell’effett o intimidatorio in una telefonata intercorsa tra uno degli imprenditori colpiti e un ufficiale dei carabinieri. Il primo riferisce: “… Sono tornati a fare come anni fa, ti ricordi ?”, intendendo ciò che avvenne negli Anni Novanta ad opera di quella che, infatti fu definita la cellula pontina del clan dei casalesi. Negli atti dell’inchiesta, in parte richiamati dalla sentenza del gup, si vede con chiarezza anche la penetrazione in alcuni appalti, senza l’uso di armi bensì tramite l’istituto del subappalto, passaggio però negato (nonostante le prove telefoniche ) dall’imprenditore aggiudicatario.

GRAZIELLA DI MAMBRO

Ci furono due consorterie criminali in guerra tra loro tra il 2016 e il 2019 nell’estremo sud della provincia. Erano forti, spietate, facevano riferimento ad ex esponenti locali sodali con il clan dei casalesi ma non adottarono mai il metodo mafioso. O perlomeno non vi è traccia sufficiente nelle prove raccolte dai carabinieri di Formia e dalla Dda di Roma. In una lunga e articolata sentenza il gup di Roma Valerio Savio spiega perché i tre imputati di “Anni Duemila” che hanno scelto il rito abbreviato non sono risultati responsabili dell’associazione di stampo mafioso bensì di una pur grave associazione finalizzata allo spaccio di droga organizzato capillarmente e praticato quotidianamente. Insomma, avevano armi, avevano forza intimidatrice ma sono stati una mafia locale. Quello che è accaduto a Castelforte, Santi Cosma e Damiano e Minturno tra il 2016 e il 2019 è stato comunque molto rilevante come dimostrano le pene inflitte e rese note già a marzo scorso con la lettura del dispositivo. Antonio Antinozzi, al quale sono stati contestati anche degli episodi estorsivi, è stato condannato a sedici anni, Vincenzo De Martino a quattordici anni e sei mesi, Agostino Di Franco a sette anni e tre mesi. Le motivazioni della sentenza vengono snocciolare in 360 pagine e sono il resoconto di una sfilza di azioni che vanno dalla vendita di droga alle estorsioni. Ciò che manca è la «pistola fumante» circa il metodo mafioso. Non ci furono azioni violente al di fuori del giro interno e familiare degli imputati e mancano i dettagli sugli atti intimidatori che pure furono tantissimi. Va detto che non è stato possibile recuperare denunce delle vittime, anche se un’amplissimo stralcio dell’indagine “Anni Duemila” è pendente in sede ordinaria, dove si stanno ascoltando i destinatari delle estorsioni. Restano inoltre sullo sfondo una serie di elementi relativi alla campagna elettorale per il consiglio comunale di Minturno nella tornata del 2016, più una serie di omissis riferiti a quello stesso periodo. Il giudice nelle motivazioni delle condanne non manca di inquadrare quel lembo finale della provincia di Latina, orfano anche di rappresentanza processuale, poiché l’unica parte civile costituita era l’Associazione Caponnetto, rappresentata dall’avvocato Licia D’Amico, e alla quale sono stati riconosciuti danni non patrimoniali per 50.000 euro. La descrizione del contesto ambientale occupa ampio spazio e in specie il giudice scrive che «la ricostruzione della situazione ambientale nei Comuni di Minturno, Castelforte, S.S. Cosma e Damiano e zone limitrofe non può non partire dal dato di fatto dell’accertamento giudiziale della “storica esistenza su tali territori di un’associazione mafiosa operativa almeno fino al 2001… organizzazione di stampo mafioso collegata al clan dei casalesi, diretta e capeggiata da Ettore Mendico e Orlandino Riccardi, dedita oltre che al traffico di stupefacenti altresì al controllo di attività economiche, di gare d’appalto di attività di pubbliche amministrazioni, al controllo egemonico del territorio». A partire dal 2013 sono terminate le detenzioni per il processo “Anni 90” riferito a quella stagione criminale e tutto è ricominciato più o meno come prima, anche se un a parte degli episodi in contestazione è oggetto di valutazione nel processo ordinario, tuttora in corso davanti al Tribunale di Cassino. Ha il sapore amaro della valutazione sociale oltre che giudiziaria questa sentenza e a sostegno delle motivazioni della condanna c’è pure questo: «…tali associazioni operano in un clima di diffusissima omertà, presso una popolazione assoggettata totalmente alle dinamiche criminali imposte dai sodali. Dinamiche che sono state mutuate dai confinanti comuni dell’alto casertano che presentano un’altissima densità di criminalità organizzata e in cui il crimine, la richiesta di pizzo, la presenza di un sodalizio criminogeno capace di influenzare finanche la sfera personale e familiare dei privati cittadini che nulla hanno a che fare con siffatti contesti criminali, è ritenuta parte integrante della società civile nella quale vivono e lavorano… nel corso delle indagini si è assistito persino alle richieste che, comuni cittadini, hanno rivolto agli appartenenti ai sodalizi per chiedere il loro intervento per dirimere finanche questioni familiari e/o personali, omettendo di chiedere, come ci si aspetterebbe, l’intervento dello Stato». La vicenda lascia emergere la presenza di due consorterie criminali operative fino al 2019 in quello che viene considerato “solo” un traffico di stupefacenti. Il primo gruppo faceva capo ai Mendico, l’altro ad Antonio Antinozzi. Sullo sfondo c’è ancora un certo legame con il clan di casalesi. Qualcosa è sfuggito nella ricostruzione arrivata fino al rito abbreviato circa le intimidazioni e gli atti estorsivi di cui si parla molto nelle intercettazioni ma per i quali manca la prova fumante circa l’associazione di stampo mafioso. Per tale ragione il gup ha ritenuto sussistere «solo» l’associazione per delinquere «aggravata dalla disponibilità di armi, i cui componenti, parallelamente, hanno compiuto peraltro alcuni reati, estranei al traffico di stupefacenti, avvalendosi del metodo mafioso derivante dal prestigio criminale della persona di Antinozzi Antonio e della residuale forza intimidatrice del suo nome».