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Caso Fondi. Berlusconi e Maroni non sciolgono perché nessun assessore o consigliere sono indagati. Non è vero

Gli intrecci tra politica e affari nel sud del Lazio, serbatoio elettorale del Pdl
Gli smemorati di Fondi
Berlusconi e Maroni non sciolgono il comune pontino: «Nessuno è indagato»

Si sta trasformando in un nuovo caso Cosentino l’affaire Fondi, dopo l’inedita difesa da parte del presidente del consiglio del comune pontino. Mai era avvenuto che per difendere un’amministrazione accusata – da un prefetto e dalla Dda – di essere collusa con le mafie intervenisse direttamente il presidente del consiglio. Silvio Berlusconi ha speso la sua parola e la sua faccia per garantire che un piccolo comune di 35 mila abitanti della provincia di Latina – Fondi – è immune dal condizionamento mafioso. Lo ha fatto nella sala stampa del ministero dell’Interno, accanto al ministro Maroni, spiegando come «diversi ministri abbiano fatto notare come nessun componente della giunta o del consiglio comunale del comune di Fondi sia stato toccato da un avviso di garanzia». Una mezza bugia, nata per nascondere verità imbarazzanti.
Una serie d’inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Roma – una delle quali, contro i gruppi federati ai casalesi di Castelforte, già arrivata a sentenza di condanna un mese fa – sta scoperchiando quella che Libera chiama «la quinta mafia». Ovvero un laboratorio di un nuovo livello particolarmente pericoloso – perché ben nascosto e mimetizzato nelle istituzioni – dove si sta giocando la partita sul controllo della regione Lazio, che andrà al voto il prossimo anno. «Qui stanno sperimentando un modello di criminalità organizzata più sofisticato rispetto a quello presente nelle zone storiche di camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra ed in gioco c’è Roma, la capitale», commenta Antonio Turi, referente regionale di Libera. Una posta alta, altissima.
E’ in questo contesto che si inseriscono le due grandi inchieste della Dda di Roma, che riguardano il sud pontino, la zona della provincia di Latina che arriva fino al Garigliano, fino alla provincia di Caserta. La prima ha dimostrato come l’espansione dei casalesi negli anni Ottanta abbia raggiunto pienamente il Lazio, attraverso il clan Mendico di Castelforte, legato a Zagaria e Bidognetti. La seconda inchiesta – partita nel 2005 – denominata «Damasco» è quella che ha travolto il comune di Fondi e il Mof, il secondo mercato ortofrutticolo d’Europa, punto di scambio della frutta e della verdura che proviene dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia, diretta ai banchi alimentari di tutta Europa. Due inchieste che hanno in comune una famiglia ben conosciuta e temuta da queste parti, i due fratelli calabresi Carmelo e Venanzio Tripodo.
E’ il Pubblico ministero antimafia Diana De Martino che racconta – nella richiesta di arresto di Francesco Bidognetti, Michele Zagaria e Orlandino Riccardi – qual è l’interesse per il territorio di Latina: «Sono scontri armati – spiega riferendosi all’omicidio dell’imprenditore Santonicola avvenuto nel settembre del 1990 – finalizzati ad ottenere la gestione di larga parte del sistema economico normale ed ordinario». Ovvero quella che normalmente si chiama l’economia reale. La mafia nel Lazio non si accontenta delle armi e della droga.
Il gruppo Tripodo – secondo l’antimafia e il prefetto di Latina – da anni ha stretto legami di ferro con una parte del centro destra nel sud del Lazio. Un’alleanza, quella con la politica, indispensabile per il salto di qualità verso la mafia imprenditrice. I magistrati hanno avuto diverse conferme in tal senso: gli affari con il comune di Fondi – amministrato da Luigi Parisella, socio in affari e in politica del senatore del Pdl Claudio Fazzone, vero dominus della zona – scorrevano lisci come l’olio, grazie ai tanti favori che i principali dirigenti avrebbero garantito al gruppo legato alla ‘ndragheta.
Chi sono i Tripodo lo racconta uno dei principali collaboratori della ‘ndrangheta calabrese, Giacomo Lauro. «I fratelli Tripodo trafficavano in droga trasportata da noi calabresi. I loro guadagni erano elevatissimi – ha spiegato ai magistrati della Dda di Roma – e venivano investiti in particolar modo in acquisti di immobili». I loro affari sono rapidamente passati, dagli anni ’90 ad oggi, dalla droga e dalle armi alla «economia ordinaria».
La rete d’influenza dei due fratelli arriva molto lontano. Luigi Peppe – imprenditore del Mof, fratello di Franco, che è stato arrestato insieme ai Tripodo nell’inchiesta Damasco – è oggi in società con il sindaco di Fondi Luigi Parisella e con il senatore Fazzone. Due politici che hanno fatto carriera insieme, da quando Fazzone lasciò l’incarico di capo scorta di Nicolò Mancino – erano gli anni ’90 – per entrare in Forza Italia. E nell’inchiesta appare anche un collaboratore che racconta di presunti legami diretti tra i Tripodo, Fazzone e il sindaco di Fondi Parisella. Dichiarazioni che i magistrati hanno chiesto agli investigatori di valutare con molta attenzione.

Andrea Palladino
(Tratto da Il Manifesto)