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Caso Bochicchio, ecco le carte segrete della truffa ai ricchi e famosi. La pista dei soldi dai Parioli ai Caraibi, via Lugano e Panama

L’Espresso

Caso Bochicchio, ecco le carte segrete della truffa ai ricchi e famosi. La pista dei soldi dai Parioli ai Caraibi, via Lugano e Panama

Un conto inglese alla banca Hsbc. E uno schermo off shore gestito con l’assistenza della società svizzera Fidinam. Così il finanziere amico di Malagò ha evitato per anni i controlli. E ora decine di investitori, tra cui l’allenatore dell’Inter Conte, hanno perso il loro denaro

di Vittorio Malagutti e Carlo Tecce

04 MARZO 2021

«Io sono uno che gioca coi numeri». Parola di Massimo Bochicchio, il finanziere sospettato di una colossale truffa ai danni di decine di investitori reclutati tra Roma (circolo Aniene e Parioli), Capalbio, Cortina, Montecarlo e Londra. Il più famoso della lista è l’allenatore dell’Inter Antonio Conte, che ha incrociato Bochicchio quattro anni fa quando allenava il Chelsea in Inghilterra e gli ha affidato almeno 30 milioni di euro. Insieme a Conte, all’ambasciatore d’Italia nel Regno Unito, Raffaele Trombetta e a un gran numero di facoltosi professionisti e imprenditori, l’elenco comprende anche famosi personaggi dello sport come il calciatore Stephan El Shaarawy, Federico Pastorello, procuratore di molti campioni del pallone, l’allenatore Marcello Lippi e suo figlio Davide.

Una bolla di silenzio omertoso circonda questa gigantesca truffa. Prende le distanze il presidente del Coni, Giovanni Malagò, che pure conosce e frequenta Bochicchio da quarant’anni. Giusto dodici mesi fa, come ha rivelato L’Espresso, Malagò si diede da fare per il ricoverare d’urgenza in ospedale a Roma il suo amico finanziere malato di Covid che rientrava con un volo privato da Londra. Si chiama fuori anche Marzio Perrelli, manager di punta a Sky tv, pure lui molto legato al presidente del Coni. Nel 2007, quando dirigeva la banca Hsbc in Italia, Perrelli assunse Bochicchio che tre anni dopo si mise in proprio come gestore ma rimase un affezionato cliente dell’istituto inglese.

Tra tanti silenzi, «non so» e «non ricordo», resta l’eco delle dichiarazioni del finanziere in fuga, indagato per riciclaggio dalla procura di Milano, che l’estate scorsa intercettato dalla Guardia di Finanza diceva, forse esagerando, di gestire 1,8 miliardi di euro. E poi ci sono le carte. Pagine e pagine di documenti, che L’Espresso ha potuto visionare, da cui emergono elementi fin qui inediti sugli affari di Bochicchio. Si scopre per esempio che la società Kidman asset management, il buco nero in cui sarebbero scomparsi i soldi degli incauti clienti del broker, era gestita nel centro off shore delle British Virgin island con l’assistenza della Fidinam, gruppo svizzero specializzato in amministrazioni fiduciarie.

Il marchio Fidinam non è nuovo alle cronache nostrane. La società con base a Lugano, fondata dall’avvocato ticinese Tito Tettamanti, con filiali e corrispondenti in tutti i principali centri offshore del mondo, aveva tra i suoi clienti italiani, per esempio, anche la famiglia Ligresti. Per conto di Bochicchio, invece, Fidinam ha tenuto i contatti con lo studio professionale Manaservice di Panama che si occupava dell’amministrazione di Kidman. Nel 2017 i conti di quest’ultima società sono stati trasferiti al Credit Suisse, ma in precedenza, e per molti anni, il principale referente delle attività di Bochicchio era stato il gruppo britannico Hsbc, la cui filiale italiana tra il 2008 e il 2018 è stata diretta da Perrelli.

Risulta all’Espresso che almeno fino al 2016, i soldi dei clienti del broker sarebbero in buona parte affluiti su un conto (il numero 39311579) intestato alla Kidman Asset management aperto in una filiale di Londra di Hsbc. Nei mesi scorsi, Bochicchio ha cercato di rassicurare gli investitori preoccupati spiegando che la grande banca britannica si sarebbe fatta carico delle perdite, in qualità di azionista ultimo di Kidman. Il finanziere avrebbe anche mostrato alcuni documenti che tirano in ballo Hsbc. Documenti che però – si sospetta – potrebbero essere dei falsi fabbricati ad hoc.

Le carte visionate da L’Espresso raccontano una versione diversa. Il beneficiario ultimo della società offshore sarebbe Bochicchio, mentre Hsbc era l’istituto di riferimento per tutti i suoi affari. Se le cose stanno così, il colosso bancario inglese dovrà chiarire se sono state rispettate le norme che prescrivono agli intermediari finanziari una serie di accertamenti antiriciclaggio. Primo tra tutti la verifica della provenienza delle somme depositate sui conti, a maggior ragione se i fondi arrivano da una società offshore come la Kidman.

In tempi recenti, Hsbc è già stata al centro di diverse inchieste negli Stati Uniti e in Europa. Una decina di anni fa fece scalpore il caso della lista Falciani, dal nome dell’impiegato della filiale Hsbc di Ginevra che trafugò i documenti che svelavano l’identità di centinaia di clienti evasori fiscali, molti dei quali di nazionalità italiana. Nel 2012 le autorità Usa multarono l’istituto britannico per mancati controlli antiriciclaggio. Le cronache ricordano anche un’altra vicenda tutta italiana. Era infatti l’Hbsc la banca a cui faceva riferimento Gianfranco Lande, soprannominato il Madoff dei Parioli, arrestato nel 2011 e poi condannato per aver dilapidato decine di milioni di euro che gli erano stati affidati da ricchi clienti romani, tra cui molti sportivi e personaggi dello spettacolo. Una storia che ricorda molto quella di Bochicchio, pure lui legato alla banca inglese, di cui, come detto, è stato dipendente e poi cliente. Va citata, infine, un’ultima coincidenza, già emersa nei giorni scorsi. Nel 1998 Lande lasciò l’incarico di amministratore di una società londinese, la Goldsearch limited. A prendere il suo posto fu proprio Bochicchio.


«Uno che gioca coi numeri», dice di sé il finanziere nel video che L’Espresso ha pubblicato in esclusiva. E con il senno di poi quelle parole suonano vagamente sinistre. Già, perché ora che il castello di carte è crollato, adesso che centinaia di milioni di euro sembrano svaniti in un dedalo di indirizzi offshore, i conti davvero non tornano più. Il broker apprezzato e corteggiato dal bel mondo della capitale è diventato all’improvviso un appestato. Anche Bochicchio, uno che ai bei tempi amava raccontarsi e spesso anche millantare, adesso ha tagliato i ponti col resto del mondo. Fonti ben informate lo danno rifugiato a Dubai, da dove non risponde più ai suoi numeri di telefono italiani e neppure a quello del suo nuovo temporaneo domicilio negli Emirati Arabi.

Tutti tacciono, ora. E molti dei presunti truffati si guardano anche dal denunciare, perché avevano investito soldi sporchi, frutto di evasione fiscale. Meglio non dare nell’occhio, allora. E rassegnarsi, piuttosto che rischiare nuovi guai con la giustizia. Tace anche l’imprenditore romagnolo Rodolfo Errani, da tempo residente a Montecarlo, che dieci anni fa si mise in affari con Bochicchio fondando la società londinese Tiber capital, ora in liquidazione. Errani nel 2005 aveva incassato via Lussemburgo oltre 200 milioni di euro dalla vendita dell’azienda di famiglia, la Cisa di Faenza. Infine, c’è il caso dei trevigiani Giorgio e Luca Batacchi, padre e figlio, che a quanto pare vedevano in Bochicchio un fenomenale procacciatore di affari: nel 2013 gli hanno ceduto per due milioni di euro una villa a Cortina e poi, con scarsa lungimiranza, gli hanno consegnato parte dei soldi incassati con quella vendita, nella speranza di facili guadagni all’estero. Soldi spariti nel nulla. Tanto che i Batacchi adesso si sono rivolti alla giustizia britannica per recuperare il loro investimento milionario.