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CARLO PALERMO E IL POTERE

Mi mette tristezza stare qui e voi lì, però almeno possiamo sentirci e convivere insieme questo momento”. – ha esordito visibilmente commosso Carlo Palermo, oggi avvocato – Quello che stiamo vivendo oggi è una costrizione terribile che dobbiamo in qualche modo accettare in questo periodo”. Palermo, dopo i primi saluti, ha parlato subito della sua esperienza a Trapani dove divenne sostituto procuratore una volta arrivato da Trento. A Trapani ebbe subito modo di riaprire “fascicoli fermi da anni” nelle stanze della procura. “Iniziai ad andare in tribunale e a prendere possesso di quelle stanze nelle quali c’era stato due anni prima del mio arrivo Ciaccio Montalto”, ha raccontato Palermo. Dunque il magistrato divenne un elemento di disturbo perché ruppe determinati equilibri e silenzi.

Carlo Palermo infatti aveva messo le mani, già da quando si trovava a Trento, su un’inchiesta dai contorni internazionali riguardante grandi traffici di droga e armi che dalla Turchia passavano per la Sicilia per poi arrivare in Francia e Stati Uniti. Probabilmente indagando su qui traffici l’ex magistrato si era avvicinato troppo, senza accorgersene appieno, a personalità di un certo livello rischiando di toccare alcuni nervi scoperti del potere. Sta di fatto che il 2 aprile 1985, appena 50 giorni dopo essersi seduto nella scrivania della procura di Trapani, venne eseguito il violento attentato che portò alla morte una donna ed i suoi due bambini.

Un fardello che Carlo Palermo si porta sulle spalle da 35 anni. Con Barbara e i suoi bambini però morì anche quell’inchiesta. “Mi hanno bloccato – ha detto sospirando l’avvocato – e bloccando me hanno bloccato le mie indagini, i miei poteri di accertamento, il mio entusiasmo e il mio credo nella giustizia e nella verità. E’ stato un succedersi di eventi nei quali prima sono stato attore e poi spettatore. Sono stato costretto a lasciare Trapani. – ha proseguito il suo ricordo – Io non volevo ma era diventata una vita impossibile perché le minacce continuavano a raggiungermi anche dopo l’attentato. Era qualcosa di folle”.

Nel corso della diretta Facebook Carlo Palermo ha detto inoltre di essere stato minacciato “sia prima che dopo Trapani perché evidentemente tra le mani mi trovavo delle chiavi di lettura che erano ritenute pericolose per l’organizzazione che avevo individuato”. Chiavi che però al tempo non era ancora riuscito a leggere. Infatti nel 1996-1997, quando Carlo Palermo da magistrato divenne avvocato difensore nel processo per la strage di Capaci, “mi hanno lasciato in pace quando si sono resi conto che non avevo capito e quindi ero diventato innocuo”.

Per capire a fondo su “cosa è ruotato attorno alla strage di Pizzolungo e le indagini di Trento che l’avevano preceduta ci ho messo vent’anni”, ha confessato Palermo. “Perché il tutto – ha continuato – si racchiude nel fatto che individuai e toccai determinati centri di potere, oltre ad acquisire carte e documenti che erano la fotografia di una realtà mostruosa. Una realtà che riguardava i traffici internazionali, di armi e droga, e gestione del potere a livello planetario. Noi – ha aggiunto – siamo sempre limitati quando ci mettiamo ad esaminare, quando cerchiamo di capire cosa è stato il fenomeno del terrorismo e cosa è quello della mafia in quanto riteniamo che tutto sia circoscritto nel nostro territorio. Ma mai come oggi – ha sottolineato l’avvocato – credo che abbiamo l’opportunità di capire che invece è tutto collegato. Questo è il vero virus presente nel sangue nell’uomo: il potere. Un qualcosa che vale di più del Coronavirus”.

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