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Capo Colonna, così un villaggio turistico devasta un gioiello della natura (i costruttori sono difesi alle udienze dal fratello di un boss)

L’Espresso, Lunedì 24 Ottobre 2016

Capo Colonna, così un villaggio turistico devasta un gioiello della natura
Il 26 settembre ha riaperto il cantiere per il “Marine Park Village” a punta Scifo, in Calabria: bungalow e piscine sulla spiaggia. Piazzole di cemento e sbancamenti in una zona che la direzione per l’Archeologia aveva chiesto di tutelare. Ma i costruttori hanno vinto in tribunale. Difesi alle udienze dal fratello di un boss

L’Espresso, Lunedì 24 Ottobre 2016

«Là c’è più lavoro che qua… adesso… a Capo Colonna… stanno facendo certi progetti a Capo Colonna… devono fare cinquecento case di legno…». C’è più business nel turismo immobiliare in Calabria che in Emilia, secondo Gaetano Blasco, uno degli organizzatori, per i giudici, della cupola mafiosa smantellata l’anno scorso dall’operazione “Aemilia”: 160 arresti che svelarono il timone della ‘ndrangheta su politica e appalti da Cutro alla pianura padana, raccontati in più puntate da Giovanni Tizian su l’Espresso. Blasco è l’uomo che a ridosso del terremoto emiliano commentava al telefono: «È caduto un capannone a Mirandola» ad Antonio Valerio, che rispondeva ridendo: «Eh, allora lavoriamo là». È proprio con Valerio che Blasco discute più volte di altri interessi. Che riguardano, appunto, Capo Colonna, in Calabria.

Considerato un luogo unico lungo la costa ionica, Capo Colonna eredita una storia antica e sacra: qui sorgeva uno dei più importanti santuari della Magna Grecia – il tempio di Hera Lacinia, di cui sono ancora visibili i resti. La colonna dorica, il mare azzurro, calette a spiaggia libera affollate d’estate, l’intero tratto di terra verso Scifo, e oltre, intervallato da campi coltivati e «fitte concentrazioni di materiali ceramici» di epoca romana, come aveva rilevato uno studio dell’università di Austin, Texas. Di fronte a punta Scifo, anche un relitto di duemila e cinquecento anni fa. Tutto questo, oltre agli scavi già compiuti, aveva convinto la direzione Generale per le Antichità del ministero dei Beni Culturali, a gennaio, a considerare l’intera area una «zona di interesse archeologico», che meritava valorizzazione e tutela.

Ma anziché la tutela, conoscerà il cemento. O meglio, ad ascoltare i costruttori interessati, «lo sviluppo turistico». Dopo aver vinto diversi ricorsi amministrativi, forti anche di una serie di ritardi, e contraddizioni, della stessa burocrazia statale, i fratelli Armando e Salvatore Scalise potranno infatti costruire a punta Scifo, Capo Colonna, il loro “Marine Park Village”, un villaggio turistico con maxi piscina, resort e bungalow di legno da alzare sulle grandi piazzole di cemento già installate, e più volte sequestrate negli ultimi anni da procura e istituzioni.

«Da questa vicenda ne vogliamo uscire a testa alta», ha detto Armando Scalise dopo l’ultima vittoria al Consiglio di Stato il 19 settembre: «Si parla di mafia ma ci sono delle lobby molto più organizzate che vogliono il non sviluppo. Quando parliamo di turismo bisogna fare cose belle che stupiscono, dove la gente viene perché sono posti belli. Scifo è un posto bello; è di proprietà dei fratelli Scalise ed è la che si devono fare le cose».

I fratelli Scalise hanno comprato infatti all’inizio degli anni duemila gli ettari su cui stanno costruendo il camping (come definiscono loro il villaggio) da 80 casette e piscine. Sugli sbancamenti della spiaggia, e il cemento già versato, alcune testate locali e associazioni per i beni culturali hanno sempre mantenuto alta l’attenzione, con inchieste, denunce e richieste che non hanno cambiato però l’esito finale: il recente via libera del Consiglio di Stato.

A rappresentare e difendere Salvatore Scalise nella lunga querelle legale contro i vincoli per il paesaggio, è  Domenico Grande Aracri, avvocato di Crotone, fratello di Nicolino Grande Aracri: il vertice della cosca intercettata dall’operazione Aemilia dell’Antimafia bolognese. Anche Domenico è stato imputato, poi assolto, nello stesso processo, per il trasporto di alcune armi e perché avrebbe partecipato, nell’interesse del fratello, «a tutte le operazioni di maggior impatto strategico» per il clan.

Contro la soprintendenza, al fianco di Salvatore e del suo avvocato, oltre ad Armando Scalise, c’è nei ricorsi anche l’architetto Gioacchino Buonaccorsi. Stesso nome e cognome di un’architetto che in un’altra intercettazione di Aemilia parla con Antonio Valerio. È il 2012, e «Gino si presenta come Buonaccorsi Gioacchino detto Gino» a Valerio, il costruttore, arrestato in qualità di “organizzatore”, anche lui, della cosca. Con l’ingegnere di Valerio, Buonaccorsi si scambia idee per portare avanti «l’operazione del villaggio turistico».

In più punti, ancora, Valerio e i suoi parlano di «Spa, bungalow e tutto il resto» in costruzione a Capo Colonna, di «80 bungalows», in un altro punto di «270», «fino a 360» casette di legno da portare, di ettari di terreno a ridosso della spiaggia su cui costruire. Scalise è citato indirettamente una sola volta: secondo l’interlocutore di Valerio, avrebbe chiesto «preventivi per il legno al alcune imprese del Nord», «con i mobili incastonati per recuperare spazio». «Recupera i progetti, noi li miglioriamo», dice Valerio.

Gli Scalise e l’architetto Buonaccorsi non sono coinvolti nell’operazione Aemilia. A settembre, dopo aver vinto le ultime opposizioni amministrative, hanno riaperto il cantiere. «Vogliamo dare un’identità turistica ai nostri posti», dice Armando Scalise in un’intervista su YouTube, in cui si scaglia contro l’attenzione ricevuta dai Beni Culturali: «Abbiamo fatto i saggi sull’area a nostre spese, e non è stato ritrovato nessun reperto archeologico. Questo è un complotto al non far fare».

L’acqua è cristallina. Il cielo azzuro. La torre di punta Scifo, Capo Colonna, la masseria del ‘700, il cantiere riaperto dal 26 settembre. La zona di tutela, la riserva di paesaggio e archeologia, rischia di diventare presto un ricordo: dal satellite le piazzole di cemento disposte a raggiera spiccano già, evidenti, fra i campi coltivati. Difficile non immaginare il loro impatto.

«Torniamo a chiedere al ministero di non ignorare le proprie gravissime responsabilità nell’iter autorizzativo del presunto agriturismo», scrive in un ultimo, sentito, appello a Dario Franceschini l’associazione culturale Sette Soli: «chiediamo fermare il cemento revocando l’autorizzazione al villaggio della vergogna», «a tutela dell’interesse pubblico, della dignità del ministero, a nome della comunità nazionale».