CAMORRA, USURA & SUPERMERCATI. Gli assegni dei Belforte per 86mila euro. I conti di Paolo Siciliano, inchiodato per il reato di impiego di proventi di attività di camorra
6 Febbraio 2022 – 20:00
La contestazione, l’unica per cui è stato arrestato, è naturalmente aggravata dall’articolo 416 bis comma 1 che assorbe in pratica quella che un tempo era la contestazione ai sensi dell’articolo 7, la quale rendeva e rende competente per questi reati la direzione distrettuale antimafia di Napoli. IN CALCE ALL’ARTICOLO, L’ILLUMINANTE STRALCIO DELL’ORDINANZA
MARCIANISE – (g.g.) E’ utile leggere e lo potrete fare consultando lo stralcio dell’ordinanza che pubblichiamo in calce all’articolo, la differenza che passa tra il reato di riciclaggio, regolato dall’articolo 648 bis del codice penale e quello di reimpiego di provento di reato, regolato sempre dell’articolo 648, ma dalla sua versione ter, che completa una filiera che parte dal 648 nudo e crudo che invece definisce il reato-padre della ricettazione, naturalmente aggravato dall’aver favorito il clan Belforte.
In estrema sintesi, mentre il riciclaggio è fondato su una volontà consapevole dell’attore il quale finalizza le sue azioni a nascondere, travisare, insomma fare in modo di non rendere leggibile la provenienza illecita del danaro che custodisce o reimpiega, nel caso del 648 ter, il legislatore ha voluto colpire l’aspetto economico di questo tipo di attività.
Per cui non è necessaria l’esistenza di un dolo, di una consapevolezza che si traduce in strategia finalizzata a nascondere la provenienza del danaro, ma basta solamente che quel danaro venga rimmesso nel mercato, andandone poi a turbarne gli equilibri.
Perchè è chiaro che chi utilizza danaro sporco, ne trae anche un vantaggio in termini di concorrenza. Ed è proprio questo che la legge va a colpire. Come abbiamo scritto nel precedente articolo (CLIKKA E LEGGI) Paolo Siciliano è stato arrestato solo per la violazione dell’articolo 648 ter, presente nel sesto capo di imputazione provvisoria della recente ordinanza sull’usura a Marcianise, da parte di soggetti legati e collegati al clan Belforte.
Non dunque la violenza e le minacce, finalizzate a orientare l’interrogatorio della vittime, l’imprenditore ugualmente marcianisano Giuliano Angioletto in modo che confermasse a Paolo Siciliano che aveva già detto ai finanzieri della compagnia di Marcianise, ma l’impiego di proventi illeciti. La quantificazione, per chi ha già letto l’articolo precedente, è nota. La ribadiamo, comunque in questa sede: sono circa 86mila euro, di cui 7mila e rotti frutto di assegni negoziati direttamente sui conti correnti dell’azienda del re dei supermercati casertani, la Paolo Siciliano srl, poi divenuta Big Shop srl.
Altri 9.500, rappresentanti dai due assegni da 4.700 euro e rotti, negoziati invece da Di Giovanni e Pedata, il primo sul conto del Banca Popolare di Torre del Greco, il secondo al bando di Napoli di Marcianise dove l’azienda di Siciliano possedeva i suoi conti. Sia Di Giovanni che Pedata hanno ricondotto quei titoli a loro relazioni dirette con lo stesso Siciliano.
Un punto soprattutto va sottolineato della ricostruzione, effettuata dal gip del tribunale di Napoli, Antonio Baldassarre: nel momento in cui – nota il giudice – Paolo Siciliano convoca, attraverso la sua dipendente Mariangela Valente, Giuliano Angioletto per un colloquio in modo da chiedergli di confermare la versione che lui, il Siciliano aveva esposto davanti ai finanzieri, dimostra di essere perfettamente consapevole della provenienza di quegli assegni.
Sapeva Siciliano, che la loro riconducibilità ai vari Campomaggiore, Buonanno padre, Buonanno figlio, avrebbe determinato una condizione pericolosissima per lui, visto e considerato che si trattava di soggetti storicamente legati al clan Belforte.
La circostanza della piena conferma delle tesi esporre da Giuliano Angioletto da parte del commerciante ittico Nazaro Bellopede, il quale dunque avendo capito che Angioletto non avrebbe accondisceso alla richiesta di Siciliano, non avallò le dichiarazioni di quest’ultimo, puntellano definitivamente l’accusa che diventa ancora più forte, solida nel momento in cui lo stesso Bellopede, così come abbiamo già scritto nell’articolo precedente, fa il nome di Camillo Belforte, figlio di Domenico, come persona connesa all’aassegno che al contrario Siciliano voleva che Giuliano Angioletto dichiarasse come consegnato direttamente a Nazaro Bellopede.