Camorra. Quel summit tra Vastarella ed i Sequino: ecco chi strinse il patto di sangue per spartirsi il territorio
di REDAZIONE
NAPOLI. Tra fiction e realtà, immagini che si sovrappongono, si mescolano quasi a diluirsi in un unico filone di violenza. Accade così molto spesso che la realtà superi i confini ben tracciati della fiction divenendo, se possibile, ancora più inquietante. Succede alla Sanità dove lo scontro, reale, duro, tra i Sequino e i Vastarella viene letto attraverso il prisma dell’etere: sceneggiature scritte col sangue e marchiate col piombo. Nella prima stagione della celebre serie tv Gomorra il protagonista Genny Savastano deve recarsi ostaggio in Honduras come garanzia che il suo clan deve fornire ai narcotrafficanti del luogo per la buona riuscita di uno dei tanti traffici di droga che dalla giungla centramericana arriva fin sotto i grigi palazzoni anonimi della periferia partenopea o tra i vicoli di un centro storico che sembra nascondere l’altra faccia della città.
Ciò che è stato raccontato dalla serie è stato replicato fedelmente circa un anno e mezzo fa quando proprio i Vastarella e i Sequino decisero di spartirsi il quartiere insieme al gruppo di Piero Esposito. Le due famiglie venivano da decenni di contrapposizione con i primi per anni confinati tra Melito e Secondigliano e da poco rientrati alle Fontanelle loro storica roccaforte, e i secondi, nipoti di Giulio Pirozzi (storico esponente del clan Misso-Savarese) che nel tempo avevano visto crescere in maniera sempre più proficua il loro carisma criminale. Fu un’alleanza di comodo, un patto dettato dall’occorrenza del momento che adesso è più che mai utile per leggere lo scontro che si sta consumando in queste settimane. Quell’accordo fu suggellato da un incontro tra i vertici delle due famiglie che, per assicurarsi reciprocamente ed evitare sorprese, stabilirono che i due rampolli, figli maschi dei due capiclan, fossero scambiati a garanzia del patto per essere poi ‘liberati’ una volta formalizzata l’intesa. Un modo per proteggersi, un mezzo per garantire la prosecuzione degli affari con la creazione di un trinomio che avrebbe per mesi controllato i traffici illeciti nel rione, un accordo su base tripolare poi tramutatosi in controllo a due quando Piero Esposito fu ucciso in piazza Sanità.
Da allora la sua famiglia e gli affiliati a lui legati sono stati marginalizzati, cacciati dal quartiere nonostante l’escalation di violenza (culminata con la strage di via Fontanelle dello scorso aprile), nonostante il gruppo di Pierino, quello dei cosiddetti ‘barbudos’ fosse passato sotto la reggenza del suo figliastro, Antonio Genidoni.
Progressivamente tra i Sequino e i Vastarella si cementificò un’intesa frutto del mero interesse e di quel patto siglato sulla vita di chi, secondo certe logiche di malavita, dovrebbe portare avanti il nome della famiglia. Non si sono mai fidati, tra loro c’è sempre stata diffidenza e quel patto è il segno più chiaro di quanto fossero precari gli equilibri criminali. A testimonianza di quest’accordo machiavellico anche alcune intercettazioni come quella tra Addolorata Spina, madre di Genidoni, e il figlio con cui la donna racconta come tentarono di cacciarla dal quartiere: «Sono arrivati sotto al mio palazzo trenta motorini, ci hanno dato sei ore per abbandonare la zona». E ancora: «Ci stava Fabio (Vastarella), Agostino (Riccio), Ciro o’ magall (Ciro Esposito), tutti i Miracoli, Gianni Gianni (Giovanni Sequino) e Peppe Vastarella, tutti…tutti». Parole chiare che confermano che a quel tempo i Sequino e i Vastarella avevano il comune interesse a spartirsi la zona. Accordo saltato da tempo con i Vastarella segnalati sempre più in compagnia di esponenti della famiglia Mauro dei Miracoli e i Sequino arroccati tra via Santa Maria Antasecula e via Arena alla Sanità dove sabato scorso è rimasto ferito Giovanni Sequino, segni evidenti che quello ‘scambio’ di ostaggi non ha salvato quell’alleanza d’interesse. Intanto le forze dell’ordine sono sulle tracce dei depositi clandestini di armi. Ne dispongono sia i Vastarella che i Sequino. Pistole, munizioni e giubbotti antiproiettile pronti all’uso nascosti all’interno di chiese sconsacrate nel cuore della Sanità. Kit per sicari affidati a donne anziane residenti nei bassi a ridosso delle “Fontanelle”. È qui che i killer dei due gruppi in lotta si «riforniscono» prima di compiere stese e agguati.
fonte: Metropolis
fonte:www.internapoli.it