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Cafiero de Raho: “La politica tenga alta l’attenzione, va colpita la borghesia mafiosa”.

Cafiero de Raho: “La politica tenga alta l’attenzione, va colpita la borghesia mafiosa”.
CARO PROCURATORE,NON FACCIAMOCI  ECCESSIVE ILLUSIONI PERCHE’ LA   BORGHESIA MAFIOSA STA PROPRIO NELLA POLITICA E NELLE ISTITUZIONI,POLITICA ED ISTITUZIONI CHE PER TRE QUARTI SONO MARCE E MAFIOSE.COMUNQUE ANDIAMO AVANTI
                                                       ASS.CAPONNETTO

La Repubblica, 17 novembre 2017

Cafiero de Raho: “La politica tenga alta l’attenzione, va colpita la borghesia mafiosa”

Intervista al procuratore nazionale Antimafia: “Collaborazione internazionale tra magistrati per colpire i cartelli criminali. I Casalesi? Non sono finiti”

di CONCHITA SANNINO

“Catturare i capi, abbattere le leadership cui fanno capo i cartelli criminali è fondamentale. Ma non basta”. Sempre di più, analizza con Repubblica il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, “in casa nostra ma anche a livello internazionale, dobbiamo cercare le casseforti, circoscrivere le alleanze delle organizzazioni tra politica ed economia. E soprattutto : individuare i loro complici nei ceti professionali”.

Le idee su come affrontare padrini, capitali marci e soci insospettabili, Cafiero de Raho, il 65enne ex procuratore aggiunto a Napoli, le ha sempre avute chiarissime. E lo ha mostrato scompaginando l’impero di Gomorra quando il mondo – addetti ai lavori a parte – non lo chiamava così e lui apriva un’inchiesta chiamata Spartacus, risalendo poi su in alto, controcorrente per oltre quindici anni, su fino alle più alte complicità della politica e dell’imprenditoria. E fino all’altro ieri, quando dalla sua stanza di procuratore capo di Reggio Calabria ha fatto arrestare capi e narcotrafficanti delle più potenti ‘ndrine fino in Paraguay.

Meno quattro giorni all’insediamento nel palazzetto seicentesco di via Giulia, sede della Dna e antiterrorismo, dove un napoletano succede a un napoletano. Dopo Roberti, Cafiero de Raho. Che aveva sfiorato l’incarico a Napoli (per pochi voti al plenum del Csm, la scorsa estate ) e ora invece ha già disposto i primi “viaggi” verso la capitale di carte, archivi, dossier, ricordi, foto, premi, le cornici con le foto di moglie e figlie.

Procuratore, se dovesse sintetizzare il suo modello?
“Credo che ci sia in questo passaggio il riconoscimento di un impegno profuso sia all’ufficio della Procura di Napoli, che in quello di Reggio Calabria, prendendo atto di risultati che, si badi, non sono mai il frutto dell’impegno di uno solo: ma conseguiti con il contributo delle professionalità che si sono dispiegate in questi territori, di tanti magistrati ed esponenti della polizia giudiziaria, pronti spesso a prove di dedizione e sacrifici non comuni. Il mio modello? La condivisione. Ed è questo che intendo trasferire alla Direzione Nazionale, anche attraverso una partecipazione allargata”.

Ha in mente un format improntato al massimo scambio tra Procure ?
“Mi ha preceduto un eccellente magistrato ed amico, Roberti. In questo nuovo impegno sono intenzionato solo a portare a un’esperienza di scambio e partecipazione molto attiva e aperta non solo con tutti i magistrati che personalmente conosco e sono forti di una straordinaria capacità , ma con tutti i procuratori distrettuali dei 26 uffici che compongono la struttura antimafia. E la stessa condivisione è importante che si attui con la Direzione investigativa antimafia, oltreché con i servizi centrali e interprovinciali della polizia giudiziaria”.

Totò Riina è morto. Cambiano volto, ma le nostre mafie restano cartelli transnazionali: tra i più potenti investitori al mondo.
“Sì ma dobbiamo partire dal dato che l’azione di contrasto in Italia sta dando risultati straordinari e questo anche grazie agli interventi legislativi che si sono susseguiti, e che fanno della disciplina antimafia nazionale, vista nel suo complesso, come uno dei modelli più avanzati e ai quali spesso attingono gli altri Paesi. Ciò non toglie che ci siano aree in cui la presenza delle organizzazioni storiche – non solo quelle storiche : ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, camorra, Sacra Corona – ma anche quelle straniere ha generato un profondo inquinamento economico; oltre che della parte politica che si è lasciata contaminare”.

Lei che aprì l’inchiesta che ha portato alla condanna per mafia di Cosentino, non pensa che la politica continui a non dotarsi di anticorpi?
“Su questo aspetto non c’è dubbio che sia necessario che la poltica tenga alta , intendo dire : particolarmente alta , l’attenzione. Perché le organizzazioni criminali sanno coltivare i rapporti e sui territori stringono relazioni con il potere economico e politico. E, di volta in volta, come vediamo, poi la penetrazione si insedia a livelli via via più profondi e avviene in modo silenzioso, quasi non percettibile. Parliamo di cartelli che ormai, quasi complessivamente, hanno abbandonato la strategia dell’intimidazione, della violenza per raggiungere i loro obiettivi non con il piombo, ma a tavola, o ai desk di lavoro manageriale : attraverso la corruzione, le collusioni, le contiguità”.

Su questo aspetto, la recente introduzione del Codice antimafia che equipara i corrotti ai mafiosi è dal suo punto di vista uno strumento utile?
“Resto assolutamente convinto che siano utilissime le innovazioni del codice antimafia. Così come sono importanti le introduzioni di reati in materia ambientale, l’innalzamento dei tetti massimi di pena per reati di mafia, la pluralità di attenzioni sul tema dell’Antiterrorismo. Per tornare alla corruzione: esiste un livello di ceti professionali collusi, la famosa borghesia mafiosa, di cui si è sempre parlato e che rappresenta l’aspetto più pericoloso. E insieme costituisce un obiettivo tra i più significativi nell’ambito dell’azione di contrasto. La forza delle mafie ora proviente dal reinvestimento dei grandissimi profitti che derivano dal narcotraffico : il primo strumento di arricchimento”.

La cooperazione internazionale tra magistrati può dare più frutti? Specie sul tema dei paradisi fiscali.
“Abbiamo già compiuto passi avanti che sembravano impossibili solo fino a poco fa. Basta guardare ciò che abbiamo ricostruito sulla ‘Ndrangheta in iItalia e anche in Europa. Lì operano soggetti ‘ndranghetisti che si riferiscono a brokerinternazionali che risiedono nei paesi produttuori”.

Parliamo della Colombia ?
“Non solo. Colombia, Costa Rica, Perù e Uruguay: paese , quest’ultimo , dove è stato catturato Rocco Morabito, boss delle cosche calabresi già condannato a pene rilevantisisme. Un frammento che lascia comprendere come questi cartelli abbiano la capacità di rigenerarsi sull’intero globo terreste”.

Avete registrato anche nuovi Patti tra mafie?
“Da questo angolo di visuale si è potuto assistere ad un accordo tra esponenti di Cosa Nosta e della camorra. Insieme decidevano strategie e accordi finalizzati all’importazione con grosse partite di cocaina. D’altro canto, le alleanze con Cosa Nostra giá nel periodo delle stragi con proiezioni nei territori europei e in America testimoniano come noi siamo all’inseguimento di modelli continuamente avanzati. E se da un lato rappresenta un costante campanello d’allarme, dall’altro questa verifica ci rafforza nella consapevolezza della necessità di puntare sulla cooperazione giudiziaria : che deve essere particolarmente stabile e tempestiva. Proprio in occasione degli arresti dei Morabito, che ci ha portato a catturare gli importatori di cocaina nei loro posti di origine, abbiamo verificato che solo una costante rete di relazioni anche umane, tra uffici e magistrati, puó assicurare una collaborazione che era impensabile fino a poco fa. Lo stesso avviene e deve avvenire sempre di più con la rete europea degli uffici giudiziari, Eurojust”.

Procuratore, dalle strategie internazionali alla visione manageriale di un padrino catturato da lei, Michele Zagaria. Come valuta la plateale protesta inscenata dal superboss, solo due giorni fa, in aula?
“Direi che i capi delle organizzazioni più storiche non sono nuovi ad atteggiamenti che mirano a condizionare i giudici e far deviare l’attenzione dal merito dell’impianto accusatorio”

Specie per un capo carismatico che sente la pressione dello Stato sull’individuazione del suo immenso patrimonio.
“Appunto. È una chiara strategia quella di rappresentarsi vittime, di spostare attenzione e riflettori su atteggiamenti che hanno l’unico scopo di allontanare il processo dal processo. È già avvenuto anche clamorosamente, in passato. Avverrà ancora”.

Lei si riferisce all’ istanza di remissione che fu letta dagli avvocati dei boss contro lei e Cantone, e per i quali sono finiti a giudizio anche due avvocati.
“La tattica è sempre la stessa: capovolgere la loro situazione, da criminali a vittime, spostare il focus dal dibattimento al dibattito”.

I casalesi sono finiti?
“No. I casalesi non sono finiti affatto. Nonostante ladecapitazione della prima linea di comando: così come tutte le cosche, che sono radicate sul territorio da oltre 40 anni, continuano ad operare”.

Non bastano, insomma, né i blitz, né le catture
“Come sempre. Perché le organizzazioni criminali sono diventate holding, con ramificazioni all’estero e articolazioni potenti ma leggere, spesso invisibili. Oltreché calate , spesso, nel volto dei top manager. Per questo bisogna cercare le loro casseforti. Individuare i loro riferimenti politici. Dare la caccia ai loro imprenditori e riciclatori” .