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Brunetta vorrebbe eliminare anche i certificati antimafia. Una follia!

Il ministro della Pubblica amministrazione anticipa uno dei contenuti del dl sviluppo: “Una delle vitamine per la crescita è la semplificazione”. Insorge l’opposizione. L’Idv: “Certo, con questi ministri…”. Stop anche da Maroni: “Strumento indispensabile”. La replica: “Non scompare il certificato, ma l’obbligo di presentazione”

ROMA – “Una delle vitamine per la crescita è la semplificazione. Perché famiglie e imprese devono fornire certificati alla pubblica amministrazione che li ha già in casa? Basta certificato antimafia, basta Durc (documento unico di regolarità contributiva, ndr). Basta pacchi di certificati per partecipare ai concorsi. Ci sono tante riforme che non costa niente attuare ma che producono crescita”. Il ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta anticipa una delle misure che saranno contenute nel decreto Sviluppo, ma tocca un tasto delicato: il certificato antimafia è una forma di controllo decisiva per lo sviluppo economico e per la lotta alla criminalità.

A margine della presentazione del nuovo logo della PA, il ministro ha detto che i certificati “inutili” dovrebbero essere eliminati completamente e sostituiti con autocertificazioni, mentre le certificazioni rilasciate dalla PA resteranno valide solo nei rapporti tra privati. Immediata la reazione delle opposizioni, cui il ministro ha replicato dicendo che non verrà abolito il certificato antimafia, ma l’obbligo di presentazione.

Le reazioni. Il vicepresidente dei deputati Pd, Michele Ventura, è il primo a reagire sdegnato: “Nel sacro fuoco della semplificazione amministrativa che, fin qui, ha soltanto complicato la vita a tutti, il ministro Brunetta vuole bruciare la certificazione antimafia per le imprese. Ecco le idee dell’esecutivo Berlusconi per la crescita:

meno legalità per tutti”. “Sono in attesa di capire cosa intenda veramennte Brunetta. Di certo non potrà essere accettata una misura che rende più fragile il sistema di controllo dello Stato”, ha commentato Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Pd.

“E’ evidente che il ministro Brunetta abbia voluto lanciare una provocazione”, ironizza il capogruppo dell’Italia dei Valori in commissione parlamentare antimafia, Luigi Li Gotti. “Proponendo l’abolizione della certificazione antimafia, Brunetta ha voluto dirci: se un indagato per mafia (Romano ndr) può fare il ministro, con la benedizione del ministro dell’Interno, perché mai le imprese dovrebbero farsi rilasciare dagli uffici periferici del ministero dell’Interno la certificazione antimafia?”. “Brunetta ha ragione – aggiunge – la mafia (prima con Cosentino ora con Romano) è, evidentemente, una componente della maggioranza e del governo. Brunetta, quindi, ha il merito di non essere ipocrita”. Il presidente dei deputati Idv Massimo Donadi rincara: “Una proposta assurda e pericolosa che lascia senza parole. Questo governo è sempre più sorprendente, in senso negativo naturalmente: è capace di penalizzare i lavoratori e fare favori alla mafia”.

Scettico il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso: “Il ministro Brunetta è sempre molto originale – ha detto – stop ai certificati antimafia? Faccia una proposta di legge, la valuteremo…”. “E’ stato da poco approvato il Codice antimafia – ha aggiunto – che tra l’altro disciplina in modo molto rigoroso tutta la certificazione antimafia. Se il ministro aveva qualche osservazione da fare poteva farla in sede di Consiglio dei ministri”. Al momento, comunque, “è inutile fare polemiche sterili – conclude – e non è mia abitudine prendere posizione su cose campate in aria”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo: “Concordo sulla necessità di semplificare la burocrazia, ma senza intaccare i controlli preventivi antimafia, perché il rischio di indebolire gli apparati di prevenzione dalle infiltrazioni mafiose c’è e credo che questi strumenti non dovrebbero essere toccati”.

Forti critiche all’annuncio di Brunetta arrivano anche da Libera, l’associazione per la legalità presieduta dadon Luigi Ciotti. “Il certificato antimafia – precisa in una nota – non è stato lo strumento straordinario nella lotta alla mafia ma è un importante presidio di prevenzione e conoscenza che in tanti casi ha permesso previa verifica di bloccare gli interessi delle mafie negli appalti. La scelta di indebolirlo e di scaricare la questione sulla pubbliche amministrazioni ha il sapore di una anestetico che invece di snellire la procedura rischia di rendere tutto ancor più complicato con una moltiplicazione di lavoro per gli enti che già devono affrontare e combattere i tagli e le riduzione di servizi e personale. Ci sembra che questa proposta è l’ennesimo segnale che qualcosa non va”. 

La replica del ministro. Alle critiche, in particolare a quelle del Pd, Brunetta replica dicendo che non “scomparirà” il certificato antimafia ma solo l’obbligo della sua presentazione. “Preso dal sacro fuoco della banalità politica, il Partito democratico non ha perso un solo minuto a riflettere su questa importante proposta di semplificazione, preferendo chiosare il tutto con l’abusato slogan ‘Meno legalità per tutti’. Che tristezza. I conservatori della sinistra – si legge in una nota – non riescono a capire che accadrà esattamente il contrario, in quanto la certezza dei dati non diminuirà ma verrà semmai rafforzata: invece di chiedere al singolo imprenditore di fare il fattorino tra le amministrazioni, saranno infatti queste ultime a procurarsi direttamente presso gli uffici competenti la documentazione richiesta”. “Tant’è vero – prosegue la nota – che le amministrazioni certificanti dovranno individuare un ufficio responsabile per tutte le attività volte a gestire, garantire e verificare la trasmissione dei dati o l’accesso diretto alle informazioni da parte delle amministrazioni procedenti. Solo così arriverà a compimento il cammino intrapreso sin dal 1997 con le prime norme sull’autocertificazione, che potrà adesso cedere finalmente il passo alla “decertificazione”. Per questo un portavoce del ministro ha definito “campate in aria” anche le critiche arrivate da imprenditori e magistratura, ricordando che “l’iniziativa di semplificazione annunciata dal ministro Brunetta serve proprio a rendere cogenti per le amministrazioni quanto già previsto in tema di certificazione antimafia dall’articolo 4, comma 13 del decreto Sviluppo (decreto legge n. 70/2011 convertito con la legge n. 106 del 12 luglio 2011) che prevede che ‘le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d’ufficio, anche in modalità telematica, a titolo gratuito ai sensi dell’articolo 43 comma 5 del Testo Unico sulla documentazione amministrativa la prescritta documentazione antimafia”.

L’altolà di Maroni. Evidentemente tra chi ha frainteso e male interpretato la proposta del responsabile della Funzione pubblica c’è però anche il Viminale. Con una nota il ministro dell’Interno Roberto Maroni ricorda infatti al collega che “la certificazione antimafia non può essere modificata perché è uno strumento indispensabile per combattere la criminalità organizzata e, in particolare per contrastare le infiltrazioni malavitose negli appalti pubblici”.

Stato in vendita. Brunetta ha parlato anche di privatizzazioni: “Vendere, vendere, vendere tutto il capitale morto che purtroppo ancora esiste nel nostro Paese, dagli asset pubblici, mobiliari e immobiliari, case, caserme. Vendere tutto quello che non serve e non è strategico. E investire in comunicazione e semplificazione. Vendiamo il patrimonio pubblico non produttore di ricchezza, pensiamo alle public utilities: luce, acqua, gas, trasporti, spazzatura, tutte quelle società che sono al 99% di proprietà degli enti locali e che spesso sono inefficienti”.

(Tratto da Repubblica)