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Berlusconi e i miliardi della mafia

Berlusconi e i miliardi della mafia

Graviano sentito dai pm di Firenze

Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari 21 Marzo 2021

“Parlo, non parlo. Scrivo, mi taccio. Riparlo”. E’ il modus operandi messo in atto da qualche anno a questa parte dal boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, già condannato definitivo assieme al fratello Filippo per le stragi del ’92-’93 e per l’omicidio di don Pino Puglisi.
Quel “balletto” che lo scorso anno lo aveva visto rispondere alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel processo ‘Ndrangheta stragista dove era imputato (poi condannato all’ergastolo) per gli attentati ai carabinieri in Calabria tra la fine del 1993 ed il 1994, poi bruscamente interrotto prima di stendere un memoriale, è ricominciato davanti ai magistrati della Procura di Firenze, nelle persone del Procuratore capo Giuseppe Creazzo, del procuratore aggiunto Luca Tescaroli ed il sostituto Luca Turco, che indagano sui mandanti esterni delle stragi.
riportare la notizia, così come era avvenuto per la “dissociazione” di Filippo Graviano, è stato il settimanale L’Espresso.
Nel fascicolo, è noto, vi sono i nomi dell’ex Premier Silvio Berlusconi e dell’ex senatore Marcello Dell’Utri (già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e nel primo grado del processo trattativa Stato-mafia, ndr).
Un’inchiesta avviata dopo le intercettazioni in carcere tra lo stesso Graviano ed il camorrista Umberto Adinolfi in cui parlava della “cortesia” che gli sarebbe stata chiesta da Berlusconi ai tempi delle stragi. E si era appreso durante il processo d’appello Stato-mafia che l’accusa nei confronti dell’ex Cavaliere e Dell’Utri riguarda non solo le stragi di Firenze, Roma e Milano, ma anche gli attentati falliti dell’Olimpico, quello al pentito Contorno e al conduttore Maurizio Costanzo.
Ma ovviamente la ricerca della verità sulle stragi non si è esaurita in questi punti perché, come detto dalla Presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria nelle motivazioni della sentenza ‘Ndrangheta stragista, nelle dichiarazioni di Giuseppe Graviano vi sono alcune circostanze che meritano certamente di essere valutate ed approfondite nelle sedi competenti nella speranza che possano giovare finalmente a fare completa chiarezza su avvenimenti che hanno segnato e continuano tuttora a segnare la storia dell’Italia”.
E il filone investigativo che i pm fiorentini stanno portando avanti partendo proprio dalle dichiarazioni che il boss stragista ha fatto davanti ai giudici della corte d’Assise di Reggio Calabria guarda ai denari che Berlusconi avrebbe ricevuto proprio da Graviano.
E così lo scorso novembre i magistrati di Firenze si sono recati nel carcere di Terni, dove Graviano è detenuto al 41 bis, per interrogare il boss di Brancaccio. La notizia clamorosa, dopo il silenzio in cui si era trincerato, è che il capomafia siciliano non si sarebbe negato e, assistito dal proprio legale di fiducia, avrebbe risposto alle domande che gli sono state poste.
Solite accuse
Durante le deposizioni a Reggio Calabria, come ha poi ripetuto nella memoria depositata nel processo, Graviano ribadì di aver incontrato durante la latitanza Silvio Berlusconi a Milano per tre volte. Disse anche degli investimenti che la sua famiglia, a partire dal nonno, fece nelle imprese dell’ex Cavaliere nel Nord Italia, parlando anche dell’esistenza di una “scrittura privata” che sarebbe stata in mano del cugino. Ed è facile pensare che di questo ha parlato con i magistrati di Firenze, anche cercando di smontare le accuse a lui rivolte dai collaboratori di giustizia.
Ma perché sia Giuseppe che Filippo Graviano hanno deciso di parlare, seppur in forma diversa, con i magistrati?
Nessuno dei due è un collaboratore di giustizia. E questo già la dice lunga sull’attendibilità che possono avere le loro dichiarazioni. Nelle parole di Graviano il “vero” e “falso” vengono continuamente mescolati a proprio uso e consumo, tanto che allontana da sé ogni accusa (“io non sono responsabile. Non posso accollarmi cose dopo 26 anni di carcerazione che ho fatto e mi trovo in ‘area riservata’”), pur dicendo di “rispettare le sentenze”. Certo è che, come da lui stesso spiegato, “sul 41 bis, sul 4 bis, o l’ergastolo io cerco di infilarmi sulla mia condizione con chiunque, di sinistra o di destra, che possa portare a compimento questa situazione”.
Uscire dal carcere è l’obiettivo dichiarato di entrambi i fratelli sanguinari. E se da una parte la speranza è nelle sentenze della Corte di Strasburgo o quelle della Corte Costituzionale che ha recentemente aperto ai permessi premiali per i boss, dall’altra c’è anche la volontà di non essere più inerme nella costruzione del proprio destino.
E da qualche anno ha iniziato a muoversi ad esempio scrivendo nel 2013 una lettera di cinque pagine alla ministra della Salute, Beatrice Lorenzin. Era quello il Governo di Enrico Letta in cui, allora come oggi, erano stabilite larghe intese con il Popolo delle libertà di Berlusconi che vi era entrato a pieno titolo. Quella missiva è stata acquisita dai pm fiorentini.

Fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/rassegna-stampa-sp-2087084558/114-mafia-flash/82851-berlusconi-e-i-miliardi-della-mafia.html