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Berlusconi attacca i magistrati in tv L’Anm, toghe rosse: accusa ridicola. Che vergogna! Un attacco al giorno all’unico presidio del diritto. Ma quali sono i piani di questo signore?

Il premier chiama a sorpresa Ballarò:
“L’anomalia sono i giudici comunisti”.
Il pm di Milano: rossi sì, ma di sangue
ROMA
Torna alta la tensione Berlusconi-giudici dopo la telefonata del premier di ieri a Ballarò contro «pm e giudici comunisti di Milano». Nel giorno della sentenza d’appello del processo Mills (condanna confermata all’avvocato inglese), il Cavaliere ha attaccato a tutto campo, i giudici, in primo luogo e in particolare le toghe rosse che sono «la vera opposizione nel nostro Paese».

La puntata di “Ballarò” ha fatto segnare il record stagionale con quasi cinque milioni di spettatori e uno share del 19,69 con punte che hanno raggiunto i 6.126.000 spettatori (21,28 di share). L’intervento di Berlusconi a Ballarò è stato contestato da Rosy Bindi, del Pd, ospite in studio con Pier Ferdinando Casini e i ministri Angelino Alfano e Ignazio La Russa: «Nessun politico al mondo ha la possibilità di intervenire in una trasmissione pubblica per fare affermazioni che non sono convincenti – ha detto la vicepresidente della Camera – L’unica possibilità che ha di dimostrare che è nella legalità, come ripete, è di farsi processare». La Bindi ha ingaggiato così un nuovo acceso duello con il Cavaliere dopo quello, sempre in diretta tv, avuto qualche settimana fa a Porta a Porta.

La prima risposta dei giudici è arrivata questa mattina per bocca del procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, titolare in passato di inchieste che riguardavano Berlusconi: «Se le nostre toghe sono rosse, lo sono per il sangue versato dai magistrati che hanno pagato con la vita la difesa della legalità e dei valori costituzionali, a cominciare da Falcone e Borsellino». Sulla stessa linea il procuratore capo della Repubblica di Siracusa Ugo Rossi: «Definire comunisti i colleghi delle procure che lavorano seriamente è inammissibile: il lavoro dei magistrati del pubblico ministero, per altro, trova poi conferma nelle pronunce dei giudici. E, allora, o siamo tutti comunisti o non possono esserlo solamente le procure». Alle domande dei giornalisti che chiedevano un commento sulle dichiarazioni sui giudici del premier, il procuratore capo Rossi le ha definite «un fatto gravissimo».

Poi è giunta la risposta ufficiale delle toghe. «Rispondiamo solo alla legge e alla Costituzione». «No alle intimidazioni». «Nessun ufficio giudiziario – ha replicato l’Anm – merita queste infondate e ridicole definizioni, tanto meno quello di Milano». E alle assemblee che sui svolgeranno domani in tutti i distretti giudiziari, afferma il sindacato dei magistrati, «la magistratura arriva compatta: sia nelle componenti associative, sia con la spontanea e massiccia adesione agli appelli in favore del collega Mesiano (sentenza Lodo Mondadori, ndr). Ciò testimonia il sentimento di solidarietà a un collega attaccato violente-mente solo per aver fatto il proprio dovere, e che ha poi tenuto un comportamento esemplare; ma testimonia soprattutto il rifiuto verso qualsiasi forma di intimidazione».

«Forse certe strategie non nascono a tavolino – prosegue l’Anm -. Ma neppure nascono dal nulla: dal “cappello in mano” del magistrato che si vuole parte, al calzino stravagante del giudice che si vorrebbe dimezzato più che terzo, alla stucchevole reiterazione di epiteti nei confronti di magistrati, ogni occasione sembra buona per denigrare l’ordine giudiziario e descrivere i palazzi di giustizia come sezioni di partito, frequentate da magistrati militanti. Nessun ufficio giudiziario merita queste infondate e ridicole definizioni, tanto meno quello di Milano. Da Milano, e dall’intero Paese, la magistratura ribadisce che intende continuare a vestire solo la toga e a rispondere solo alla legge. In primis alla Costituzione». «Le assemblee di protesta e dibattito convocate domani dall’Associazione nazionale magistrati in tutta Italia – scrive la giunta dell’Anm -, nascono dalla profonda e sincera preoccupazione per i continui tentativi di delegittimare e intimidire sia la giurisdizione nel suo complesso, sia i singoli magistrati in relazione a processi specifici o in ragione delle sentenze pronunciate».

(Tratto da La Stampa)