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Sabaudia, Latina, Sperlonga, Fondi: tra i “mostri” del Circeo

sabato 19/01/2019

di Antonello Caporale inviato a Latina

Tra i ricchi e gli schiavi ci sono le dune. Tra le dune e la Pontina c’è Sabaudia, disposta ai piedi del promontorio del Circeo, la magnifica gobba sfregiata da una iniezione super abusiva di circa 100 mila cubi di cemento, nell’area detta del “Quarto caldo”, che dopo quarant’anni le ruspe finanziate dall’Ente Parco hanno finito di rimuovere, restituendo in limine mortis alla legge la sua forza.
Sabaudia è connessa in spirito, e non solo, a Latina, Fondi e Sperlonga. Le magnifiche quattro dell’Agro Pontino, cinque con San Felice al Circeo, e formano un club esclusivo in cui il movimento di pensiero, insieme economico e, diciamo così, culturale, trasforma spesso il vizio in virtù, e interpreta, sovvertendone i canoni, l’illegale in legale, l’insolito con il possibile. Forse è per questa ragione che tre giorni fa, il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, generale di brigata, indica Antonio Ricciardi, generale dei carabinieri, come presidente del Parco Nazionale del Circeo. E forse è sempre per questa ragione che la nomina non passa, si blocca nella commissione parlamentare che deve ratificarla. “È una questione di metodo”, dichiara la Lega, il partito oggi monopolista quaggiù, dove Matteo Salvini è acclamato come l’erede della destra romantica, di quella muscolare e di quella imprenditoriale.
Cambio di scena. Ventiquattro ore dopo lo stop parlamentare, una retata manda in prigione alcuni schiavisti, i cosiddetti “caporali”, più un sindacalista e un ispettore del lavoro, per la gestione disumana dei braccianti agricoli, 20mila immigrati nell’area. “La pacchia è finita”, dice immediatamente Angelo Tripodi, capogruppo leghista alla Regione, già personal trainer e responsabile risorse umane della palestra PalaFitness di Latina. Finora la “pacchia” – se vogliamo chiamarla così – è dei padroncini, gli imprenditori agricoli, molti dei quali entusiasticamente di centrodestra. Hanno la fortuna di far raccogliere lattuga e rafano, fragole e melanzane a disgraziati che accettano una stalla per dormire, disponibili a lavorare 10-12 ore al giorno prima per 2, poi 3, oggi forse (calcolo ottimistico) per 4 euro all’ora, sempre meno della metà del dovuto. Quando la fatica era troppa – e questi sono sempre i verbali di polizia a raccontarcelo –, allora le metanfetamine, le droghe, rendevano possibile lo sforzo. Erano i sikh, l’etnia preponderante ingaggiata dal lontano Punjab, a utilizzare pure la droga per far fronte all’impegno. Docili, pazienti, disciplinati. Senza contributi, senza ferie. La pacchia, sì.
“Oggi gli ultimi degli ultimi non sono più i sikh. Il tempo li ha resi meno docili, la fatica e i soprusi li hanno indotti a denunciare le condizioni di lavoro impossibili. E infatti è iniziato, come dimostra questa inchiesta, il rimpiazzo con i romeni e i richiedenti asilo. Questi, per la fragilità della loro condizione, accettano ogni tipo di rapporto, e statuiscono una progressiva discesa agli inferi che permette all’imprenditoria locale, che da sempre fa riferimento ai partiti dominanti dell’area, di ottenere braccia a buon peso. È merce tradotta quotidianamente dai dormitori alle campagne e stipata in pulmini. Chi si sente male durante il tragitto, per esempio sviene per il troppo caldo d’estate, viene lasciato a terra. L’auto accosta e fa scendere o rotolare”, dice Marco Omizzolo, sociologo da sempre impegnato nella lotta allo sfruttamento e nel contrasto all’illegalità, e da poco insignito da Sergio Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere del lavoro.

Da feudo di FI e Alleanza nazionale a terra leghista
L’élite qui era con Forza Italia e Alleanza nazionale. Dimagrita la prima, evacuata la seconda, oggi si ritrova nelle braccia di Matteo Salvini, il trasformer giusto, il potente che decide e accoglie nel nome di “Prima gli italiani”.
Latina ha solo 86 anni e conta 120 mila abitanti. L’amatissima Littoria è fascista per nascita e conserva nella struttura urbanistica un sentimento indiscutibile, manifesto vivo dell’architettura futurista, e della devozione al Duce (il muscoloso palazzo M ne è il segno visibile). Latina è il luogo fisico in cui criminalità organizzata e devianza politica si incrociano, e sviluppano attraverso la finanza una connessione sentimentale. Dell’usura e nell’usura lo sviluppo sostenibile, e anche la rappresentazione cinematografica che la inchioda al suo vizio d’origine. Il regista Paolo Sorrentino scelse la Pontina per girare il suo Amico di famiglia, il cui protagonista, Geremia de Gemerei, nell’eccellente interpretazione di Giacomo Rizzo, è l’usuraio perfetto, figlio d’arte, romantico ma spietato.

Qualche anno fa Giorgia Meloni tentò di acchiappare una fetta di fan e traghettarli verso i suoi Fratelli d’Italia, e in Parlamento fece sedere Pasquale Maietta che scese in campo con la squadra di calcio, finalmente in serie B. L’epilogo è stato triste: Maietta non è più deputato, finito incarcerato per presunti reati di natura tributaria e per legami con i clan locali, e la compagine della Meloni ora è candela fioca dinanzi al fuoco che arde sotto i piedi di Alberto da Giussano.

Nera fuori e nera dentro. Instancabilmente di destra, affascinata dalle cubature fuori terra che sul litorale, specialmente nelle aree di pregio, ha raggiunto negli anni d’oro anche 15mila euro al metro quadrato. La tentazione di costruire sempre e comunque (il dato risale ad alcuni anni fa, ma fa ugualmente impressione: a Sabaudia 1 abuso ogni 3 residenti, 1 a 1 a San Felice al Circeo) è stata, se non scoraggiata, almeno un po’ ostruita dall’esistenza del Parco nazionale. Il presidente uscente Gaetano Benedetto (proveniente dal WWF), insieme al direttore Paolo Cassola, hanno per esempio vanificato la più incredibile e appetitosa operazione commerciale. Fare del Lago di Paola, il Lago del Circeo, patrimonio dell’umanità, un porto. Benché il divieto di navigazione fosse assoluto, i vincoli enormi quanto la montagna che lo sovrasta, il club dell’imprenditoria e della politica promosse l’idea e, senza l’ente Parco, avrebbe certamente avuto la forza contundente dei numeri: quanti nuovi occupati, quanta ricchezza traghettata, quante opportunità. Il Parco, dunque, e un generale che faccia rispettare le regole, in un territorio allenato a evaderle, può divenire un problema. Certo, la bolla immobiliare oggi è scoppiata, il mattone non tira più. Ma domani?

Qui uno strano intreccio delle tre mafie controlla tutto
“Il livello di commistione, l’intensità dell’intreccio tra criminalità e politica, tra clan e vita quotidiana è tale che le famiglie della ‘ndrangheta, della camorra, ma anche pezzi di Cosa Nostra arrivati nell’agro-pontino negli anni Settanta perché mandati al confino, controllano tutto, dalle pompe funebri agli appalti, al Mof – il mercato dell’ortofrutta più grande d’Europa – alle concessioni urbanistiche in aree con varianti vantaggiose”. È un passo, fosse il più noto e il più drammatico, della possente relazione della commissione d’accesso prefettizia che supplicava l’allora ministro dell’Interno di commissariare Fondi, la città che ospita questo enorme e incontrollato movimento merci, dietro le quali e sotto le quali hanno spesso viaggiato armi e droga.
Cinquecento pagine inviate al ministro dell’Interno che ieri come oggi era un leghista: si chiamava Bobo Maroni. L’unico caso in cui il Consiglio dei ministri non mostrò accordo. Tre, nella consultazione a palazzo Chigi, i membri contrari: Meloni, Brunetta e Matteoli. Era richiesta l’unanimità. E così Fondi fu l’unico municipio a salvarsi dalla legge, anzi a vederla elusa, mortificata e persino irrisa. I consiglieri comunali poi – come ciliegina sulla torta – scelsero le dimissioni anticipate, rendendo impossibile il commissariamento. Il boss politico, allora come ora era Claudio Fazzone, magistrale parlamentare di Forza Italia, ras delle tessere e onnipotente delle clientele, così tanto adeguato da essere indicato negli anni, senza che alcuno avvertisse almeno una punta di imbarazzo, prima nella Commissione antimafia e poi nel Copasir, il comitato parlamentare per i servizi segreti. E l’allora sindaco di Sperlonga, pluri indagato, anche rimosso e pure arrestato, accusò i funzionari che avevano osato chiedere il commissariamento di Fondi di essere “pezzi deviati” dello Stato.
Fazzone è dove l’avevamo lasciato, politicamente super attivo, anche se il tramonto berlusconiano ne ha ridotto le aspirazioni. E quel sindaco arrestato, rimosso, inquisito, è tornato nel municipio con la fascia tricolore. Armando Cusani si chiama: acclamato dalla sua gente, che lo amava e lo ama.

Ecco il quadrilatero su cui svetta Latina, cioè Littoria, che Antonio Pennacchi, l’autore di Canale Mussolini, ama e difende. “Non mi piace che Latina venga dipinta come il luogo dei fetenti, la fogna d’Italia. La città sta nel medesimo gorgo delle altre, ha le sue vanità, le sue debolezze, le sue porcherie ma anche il suo lavoro, la sua storia, la sua grande bonifica. Certo, vennero a colonizzarla non i migliori ma i peggiori, o i figli dei peggiori, i più disgraziati e poveri. Però resta un fatto: Latina ha una sua vitalità persino intellettuale, e una radice che in qualche modo parla al Paese”.

Editoriale – il Fatto Quotidiano