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Beni confiscati alle mafie, una clamorosa occasione mancata

La Stampa, 06 Marzo 2021

Beni confiscati alle mafie, una clamorosa occasione mancata

25 anni fa fu approvata la legge: ma migliaia di proprietà sono inutilizzate: Le aziende confiscate e rimesse in moto sono solo poche decine mentre centinaia sono da anni in amministrazione giudiziaria

CARLO BORGOMEO*

PUBBLICATO IL 06 Marzo 2021

Venticinque anni fa, a seguito di una straordinaria mobilitazione popolare promossa da Libera, che portò alla raccolta di oltre un milione di firme, fu approvata la legge per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. L’Italia si dotava della legislazione più avanzata al mondo in materia di confische: legislazione ancora oggi presa a modello da numerosi Paesi.

In questi 25 anni è stato possibile valorizzare a fini sociali centinaia di beni confiscati. Vi sono storie ed esperienze bellissime che hanno restituito ai territori, come beni comuni, veri e propri simboli del potere mafioso; che hanno certificato il prevalere delle comunità positive sulle comunità dell’illegalità, della violenza, della morte. Anche la Fondazione Con il Sud ha contribuito a questo straordinario processo, sostenendo progetti del Terzo settore che hanno valorizzato oltre 100 beni confiscati.

 

 

E tuttavia questa ricorrenza trova il Paese complessivamente impreparato ed in ritardo sul tema dei beni confiscati. Possiamo parlare certamente di una clamorosa opportunità mancata: decine di migliaia di beni confiscati sono inutilizzati e questo determina in molti territori disorientamento nell’opinione pubblica; il numero delle aziende confiscate e poi rimesse in moto sono solo poche decine, mentre centinaia e centinaia di aziende sono per lunghissimi anni in amministrazione giudiziaria, senza possibili sbocchi; nulla si sa dei beni mobili registrati e confiscati; le ingenti somme confiscate confluiscono nel FUG – Fondo unico di giustizia che le destina alle più svariate utilizzazioni.

Libera ha giustamente denunciato la opacità nella gestione dei beni confiscati da parte dei Comuni; l’Agenzia per i beni confiscati mette a bando, con un’iniziativa certamente da apprezzare, mille beni confiscati da destinare alle organizzazioni di Terzo settore, ma non può prevedere l’erogazione di contributi per la ristrutturazione dei beni e l’avvio delle attività di gestione; nell’ultima versione del documento italiano per il Recovery plan vengono stanziati 300 milioni di euro per i beni confiscati, senza però l’indicazione di un criterio, di un risultato atteso, di una possibile riforma della materia: un esempio, francamente, insopportabile di retorica sui beni confiscati.

Insomma dobbiamo festeggiare questi 25 anni rivendicando un deciso cambio di passo sulla materia: di fronte ai numeri dei beni confiscati, delle aziende confiscate, delle risorse finanziarie confiscate l’impianto legislativo e, soprattutto, l’impianto amministrativo, non reggono più. In questi 25 anni vi sono stati numerosi interventi legislativi in materia, tutti dettati dall’emergenza; dall’esigenza di risolvere un problema o di rimediare ad uno scandalo: anche il Codice antimafia di 10 anni fa.

Bisogna prendere atto che le dimensioni del fenomeno rappresentano una grande opportunità: oltre ad affermare la vittoria della legalità sulle mafie, oltre a dimostrare che lo Stato è più forte delle famiglie mafiose perché sottrae loro beni e prestigio, bisogna fare in modo che questi beni diventino leve di sviluppo e di lavoro nei territori, moltiplicando e rafforzando le esperienze in atto. Altrimenti migliaia di beni non utilizzati, centinaia di imprese chiuse costituiranno un vulnus nella battaglia contro le mafie.

Bisogna rafforzare i poteri ed il ruolo dell’Agenzia, trasformandola in un Ente pubblico economico dotato di tutte le competenze necessarie in campo immobiliare, finanziario, agricolo, industriale. Bisogna che tutti i beni, imprese, risorse finanziarie vengano assegnate a questo Ente che potrà realizzare i necessari investimenti per la valorizzazione dei beni, finanziare la ripresa delle attività delle imprese, sostenere in modo immediato ed adeguato i lavoratori dipendenti da aziende sequestrate e confiscate.

Bisognerà accorciare al massimo le procedure sulle imprese confiscate; bisognerà riconoscere un ruolo diverso ai Comuni rispetto alla situazione attuale, spesso fonte di ritardi o anche di gestioni opache. In una parola bisognerà cambiare radicalmente. Quella dei beni confiscati non può essere più questione di addetti ai lavori, affidata a procedure incomprensibili e tuttavia difese strenuamente da alcuni ambienti.  Venticinque anni fa fu vinta una grande sfida: oggi questa sfida va rinnovata, facendo della concreta valorizzazione dei beni confiscati una grande battaglia nazionale per la legalità e lo sviluppo.

*(Presidente Fondazione Con il Sud)