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Autonomia e Indipendenza: la riforma Cartabia mette a rischio anche i processi di mafia

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Autonomia e Indipendenza: la riforma Cartabia mette a rischio anche i processi di mafia

La corrente dei magistrati critica pesantemente, nel metodo e nel merito, il testo licenziato qualche giorno fa dal Consiglio dei ministri, che potrebbe non garantire “in molti casi la possibilità di dare una risposta di giustizia ai cittadini”

di Ilaria Proietti | 15 LUGLIO 2021

La Riforma Cartabia mette a rischio anche i processi di mafia. È l’allarme della corrente della magistratura “Autonomia e Indipendenza” che ha bocciato senza appello il testo licenziato qualche giorno fa dal Consiglio dei ministri e che ha già destato critiche di autorevoli giuristi (tra tutti l’avvocato Franco Coppi) e le perplessità anche dell’Associazione nazionale magistrati. Critiche di merito formulate anche da A&I che fa notare innanzitutto l’enormità di intervenire “per la terza volta negli ultimi tre anni sulla prescrizione” introducendo l’istituto della improcedibilità per i processi di secondo grado e di legittimità che non si concludano rispettivamente entro due anni e un anno decorrenti dall’ultimo termine utile per proporre impugnazione. Ma è il meno perché fioccano anche le critiche di merito, punto per punto. “La norma non tiene conto dell’arretrato di molte Corti D’Appello, che non consente di gestire contemporaneamente i processi più datati a rischio prescrizione e quelli rientranti nell’ambito di applicazione del nuovo istituto; non tiene neppure conto del fatto che il passaggio formale dei processi dal primo grado a quelli successivi non è immediato, e può richiedere anche molti mesi, con la conseguenza che il tempo a disposizione per la celebrazione del secondo grado e del giudizio di legittimità sarà sicuramente inferiore a quello previsto”.

Risultato? Devastante. Perché si teme che nella sua applicazione pratica, la riforma “finirebbe per mettere a rischio in molti casi la possibilità di dare una risposta di giustizia ai cittadini, ed in particolare alle vittime dei reati che destano maggiore allarme sociale, soprattutto nei processi in cui l’aspettativa di giustizia è più forte: avuto riguardo ai tempi di celebrazione in concreto dei giudizi di appello relativi a vicende di mafia ovvero per gravi disastri, diventa agevole prevedere che queste vicende delittuose possano essere colpite dalla scure impietosa dell’improcedibilità”. Insomma se davvero quel che preoccupa è la durata dei processi, bisogna agire su altre leve, sicuramente meno problematiche. “Riteniamo che la contrazione della durata dei processi possa essere assicurata in maniera efficace attraverso un’ampia depenalizzazione, che si estenda ai reati che destano minore allarme sociale, molti dei quali sarebbero in ogni caso destinati a essere sacrificati, data la necessità di definire gli altri processi. Altri rimedi sono rinvenibili nel potenziamento dei riti alternativi a carattere premiale e nell’abolizione del divieto della reformatio in peius, che scoraggerebbe gli appelli a rischio zero, motivati esclusivamente da intento dilatorio”.

Ma le critiche non finiscono qui. Forte perplessità desta pure la previsione normativa di una competenza del Parlamento nell’indicazione dei criteri di priorità da seguire per la trattazione dei procedimenti, che appare in contrasto con i principi costituzionali. “Quanto alle innovazioni in materia di indagini preliminari va segnalato il rischio che una discovery degli atti anticipata alla scadenza del termine delle indagini, limiterebbe fortemente la tutela del segreto investigativo incidendo in maniera rilevante sulla possibilità di chiedere e applicare misure cautelari”. E ancora. “Anche le previsioni relative al controllo del Giudice sulla tempestività delle iscrizioni nel registro delle notizie di reato e al potere del Giudice di retrodatazione dell’iscrizione, destano perplessità in quanto, oltre a sottrarre al pubblico ministero un potere a lui affidato quale parte pubblica inserita nel quadro della giurisdizione, appaiono di difficile attuabilità ad organici invariati, potendo costituire un forte aggravio del lavoro degli Uffici GIP la cui composizione, stabilita in pianta organica secondo una proporzione numerica rispetto alle relative Procure, è segnalata da tempo come inadeguata, soprattutto nelle Procure Distrettuali”.

Per finire con la disposizione contenuta nella Riforma che prevede, in caso di mutamento del giudice o di uno dei componenti del collegio, la possibilità “a richiesta di parte la riassunzione della prova dichiarativa, con un inspiegabile ritorno al passato rispetto alla recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di rinnovazione dibattimentale che ha avuto il pregio di favorire in modo significativo la speditezza dei processi”. Il Gruppo di Coordinamento di Autonomia e Indipendenza chiede pertanto “con forza che tali disposizioni possano essere rivalutate nel corso degli imminenti lavori parlamentari”.