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Assalto al PM. Storia di un “cattivo” magistrato

Intervista a Luigi de Magistris l’europarlamentare dell’Italia dei Valori, sul suo ultimo libro (“Assalto al pm. Storia di un cattivo magistrato”. Ed. Chiarelettere) che racconta la carriera del pm delle inchieste “Why Not” e “Poseidone” , che ha fatto esplodere la guerra tra le procure di Catanzaro e di Salerno. Nelle sue indagini si era già imbattuto nei personaggi della cosiddetta “cricca”

Luigi de Magistris è l’ex pm di Catanzaro titolare di inchieste che hanno fatto molto discutere, che hanno coinvolto il potere in modo trasversale, che si sono occupate dell’affarismo criminale che si consuma sul terreno dei finanziamenti pubblici e che ha come protagonisti pezzi di istituzioni deviati, imprenditori rapaci, massoni senza scrupoli. Ma è anche il pm che è stato esautorato delle sue funzioni, che ha fatto esplodere “la guerra fra Procure” (Catanzaro e Salerno), che è stato additato da alcuni come incapace e da altri come emblema del magistrato dalla schiena dritta. Figura che ha fatto parlare di sé, anche dopo aver scelto la via politica, diventando europarlamentare dell’IdV, e che oggi si racconta in un libro: “Assalto al pm. Storia di un cattivo magistrato” (Ed.Chiarelettere). Con lui abbiamo parlato di questa iniziativa e del perché sia nata.

De Magistris sotto “assalto”, de Magistris “cattivo magistrato”. Cito questi sostantivi e questi aggettivi che compaiono nel titolo del suo libro (“Assalto al pm. Storia di un cattivo magistrato”, ed.Chiarelettere) per chiederle come stanno in relazione e quindi di cosa tratta questo suo nuovo lavoro editoriale.
Sono stato giudicato un bravo magistrato finché mi sono occupato di reati ambientali, omicidi, estorsioni, tratta di essere umani, spaccio di stupefacenti. Ho cessato di esserlo quando le mie indagini, in Calabria, hanno iniziato a concentrarsi sul legame fra politica, istituzioni (magistratura compresa), “prenditori” economici che, per decenni, si sono spartiti la succosa torta dei finanziamenti pubblici, anche europei, sottraendoli al compito per il quale erano stati erogati: garantire lo sviluppo delle aree depresse e bisognose del Sud. Così nel tentativo di compiere il mio mestiere, secondo l’indipendenza e l’autonomia che sono riconosciute dalla Costituzione, mi sono trovato di fronte al “simulacro” del potere e dell’economia scoprendone il vero volto, anzi i veri volti in cui esso può, purtroppo, manifestarsi: quello della borghesia mafiosa, fatta di frammenti corrotti della politica, di esponenti deviati della magistratura, di personaggi senza scrupoli dell’economia, di uomini legati ad una massoneria mai morta.

Ed è a questo punto che lei smette di essere il bravo magistrato?
Si, quando sono nate le indagini Why not e Poseidone è nato anche Luigi de Magistris come cattivo pm. Tanto cattivo da trasformarsi in bersaglio di una cascata di procedimenti disciplinari di varia natura da parte del Csm e di interrogazioni parlamentari a pioggia da parte di diversi esponenti politici, fino alla decisione del trasferimento per incompatibilità ambientale e, in ultimo, alla sottrazione delle funzioni di pm. E’ stato l’assalto, l’assedio, l’accerchiamento per mezzo delle carte da bollo, proveniente dal ministero della Giustizia e dallo stesso Csm, oltre che dalla politica, che alla fine mi ha spinto a lasciare. Restare alle loro condizioni significava non essere più un magistrato. Almeno come lo intende Calamandrei.

Quindi un libro che racconta la sua vicenda professionale?
Si, sicuramente, correlato anche da un’appendice con tutta la documentazione in merito alla mia storia professionale. Però questo libro, almeno per me che l’ho scritto, rappresenta qualcosa di più e qualcosa di più vuole essere. E’ certamente la mia verità – sottolineo mia- rispetto alla vicenda professionale di cui sono stato protagonista, ma è anche una testimonianza umana in cui ricostruisco rapporti e legami creati in Calabria e in Campania con uomini e donne delle forze dell’ordine che assolvono coraggiosamente il loro dovere, con magistrati che altrettanto coraggiosamente svolgono il loro. C’è, infine, la mia formazione giovanile come studente di legge, i miti che hanno alimentato gli studi giuridici (da Borsellino a Calamandrei), e poi la maturità di magistrato, compresa l’adesione ad un movimento interno che sognava una giustizia giusta e una magistratura libera e dalla schiena dritta. E c’è, naturalmente, il racconto della mia vita privata, anche se tratteggiata con delicatezza, perché quella del magistrato è una professione che si ripercuote anche sulle persone che ami e ti sono vicine, segnando -forse in una modalità non troppo altruistica- la loro vita tanto quanto segna quella di chi la sceglie.

Perché raccontare tutto questo?
Perché tutto questo rischiava di non essere più raccontato, il che avrebbe significato una perdita e uno smarrimento. Non perché sia interessante, alle orecchie dell’opinione pubblica, la storia di Luigi de Magistris in se stessa, cioè la vicenda del pm di Catanzaro e titolare di Why not e Poseidone allontanato dalla magistratura, bensì per ciò che questa mia storia e vicenda portano in superficie e il messaggio che testimoniano: chi tocca i fili del legame fra deviazioni politico-istituzionali (magistratura inclusa), crimine organizzato, economia rapace è destinato al killeraggio professionale, quando la sorte è magnanima, oppure alla morte, se il destino non gioca favorevolmente. Ecco, di questo credo che debba essere custodita memoria, lo dico con il massimo dell’umiltà.

Però Luigi de Magistris qualcosa da magistrato l’avrà anche sbagliata? In molti, nel settore e nella politica, le contestano di non aver svolto in modo corretto il suo mestiere e la criticano perché le sue inchieste si sarebbero rivelate delle bolle di sapone esplose alla prima verifica.
Soltanto chi non agisce non sbaglia, dice un vecchio proverbio. Certo, de Magistris avrà compiuto errori e avrà avuto i suoi limiti di magistrato: non lo metto in dubbio questo. Ma è altrettanto certo che le indagini che avevo intrapreso sono state fermate e affidate ad altri colleghi, quindi snaturate e stravolte. Come se ad chirurgo fosse chiesto di allontanarsi a metà intervento per esser sostituito da un altro collega: possiamo poi imputargli la morte del paziente? Questo è accaduto a Why not e Poseidone, perché questo era interesse che accadesse ed era interesse di tutti quegli ambienti che da queste inchieste si sentivano minacciati. Poi c’è stato il lavoro della Procura di Salerno che ha stabilito la verità dei fatti, la sottrazione illecita di cui sono stato oggetto, la reticenza -diciamo così- della Procura di Catanzaro a fornire gli atti sulla mia vicenda, la stessa Procura in cui mi sono sentito sempre in pericolo, soprattutto professionale, perché mai ho smesso di denunciarne l’opacità. Tanto che la Procura di Salerno è stata falcidiata per la sua attività: trasferimenti, regressioni, pensionamenti indotti. Colleghi insomma puniti perché a loro volta non avevano abbastanza punito de Magistris. E poi c’è la cronaca giudiziario – politica attuale…

Cioè?
“Appaltopoli”, l’inchiesta che ruota intorno al costruttore Anemone e al capo della Protezione Civile Bertolaso, in cui ritornano nomi e cognomi già presenti nelle mie inchieste. Lo dico con amarezza, perché è segno che questo Paese di strada da percorrere ne ha ancora tanta da compiere, almeno per diventare una democrazia compiuta e onesta. Corsi e ricorsi storici tristi e drammatici. La marea nera della cronaca odierna è la stessa in cui mi sono imbattuto: i soliti politici, faccendieri, esponenti deviati delle Forze dell’Ordine e della magistratura, la massoneria, l’economia criminale. Le solite circostanze di appalti e affarismo illecito. Tutto solito, ma evidentemente così solito da destare paura e timore. Spero che questa volta le Procure interessate -Firenze e Perugia e Roma- non vengano contrastate.

Dopo la magistratura, la politica. Rimpianti e speranze, passato e futuro…
Costretto con dolore a lasciare la magistratura, che resta il sogno e il rimpianto della vita, si è aperta una stagione politica che rappresenta un’occasione preziosa per continuare a lottare per un Paese diverso. In Europa, come in Italia, il mio impegno è alla luce dei valori di sempre, quelli che ci devono indirizzare a costruire una società giusta. Giusta vuol dire con la garanzia di vivere in uno Stato di diritto, dove la Costituzione è rispettata, dove la trasparenza governa le istituzioni, dove le mafie sono uno sbiadito ricordo, dove il lavoro non è clientela da elargire per incassare voti e potere, dove l’accesso alla formazione o alla salute o all’acqua non è tutelato soltanto per pochi. Sogno? No, credo realismo, perché è l’unica possibilità per vivere degnamente evitando di autodistruggerci. L’Europa, rispetto a cui siamo un’anomalia, può esserci di aiuto e sostegno in direzione del cambiamento. Da presidente della Commissione sul controllo dei bilanci, posso dire che stiamo facendo un lavoro consistente per verificare “chi” dispone dei fondi comunitari e soprattutto per far luce su “come” li investe. Un’operazione di contrasto a frodi e corruzione, alle mafie che se ne avvantaggiano, per restituire dignità ai cittadini e alle cittadine, evitando quel conato di antipolitica che pure è crescente ma a cui si deve dar risposta
Nilde Terracini

(Tratto da Aprile online)