Cerca

Arrestati la moglie, i figli e le nuore di Dante Passerelli, il “signore dello zucchero” dei Casalesi e sequestrati beni per un miliardo di euro. Operava anche nel Basso Lazio

Si conclude con l’arresto ed il sequestro dei beni per circa 1 miliardo di euro la saga familiare dei Passarelli, imprenditori casertani ritenuti prestanome della mafia dei “casalesi”, titolari del marchio Kerò.

Se vi trovate in provincia di Caserta ed entrate in un bar, per un cappuccino o per un caffè, sappiate che lo zucchero raffinato e prodotto dalla “Commerciale Europea S. p. a. ” di Pignataro Maggiore, e prima ancora dalla “Ipam Srl” di Villa Literno, è l’unico a vostra disposizione, a meno che non soffriate di diabete, oppure la dieta non vi imponga un dolcificante o di bere il caffè amaro. Non c’è bar, ristorante, hotel, tavola calda, circolo culturale e ricreativo, club, oppure lounge bar, chill out bar, buddha bar, disco-pub e discoteca della provincia di Caserta che non esponga sul bancone le bustine del famigerato zucchero “Kerò”.

Anche nella stragrande maggioranza degli alimentari e dei supermarket non avrete scelta. Arrendetevi.

Se proprio siete affezionati ad un’altra marca potete andare però nei centri commerciali dove, accanto alle buste da 1kg di zucchero “Kerò”, appaiono anche le altre marche nazionali, che ovviamente costano di più e… si capisce il perché.

La giornalista antimafia, Rosaria Capacchione, nel suo libro “L’oro della camorra”, scrive che, negli anni ’90, lo zucchero prodotto dalla Ipam di Dante Passarelli pesava praticamente 950 grammi al chilo, perché il resto era acqua trattenuta dalla grana grossa, e costava mediamente 200 lire in meno degli altri.

Poco importava che lo zucchero zuccherasse poco e richiedesse sempre un dosaggio abbondante. Un paio di bustine nel caffè, minimo tre nel cappuccino, qualche cucchiaiata per la zuppa di latte la mattina, prima di andare a scuola. Poi bisognava agitare parecchio la bevanda e, prima che i cristalli si sciogliessero, ce ne voleva. Quasi come se lo zucchero fosse stato “tagliato”. Commovente la maestria delle mamme quando facevano i dolci per i loro bambini basandosi sulle ricette lette sulle riviste. Quanto facevano in unità di misura “Kerò” o “Ipam” 250gr. di “zucchero”? “Mettiamocene 350 e vediamo che succede”. “Ah! Non è dolce il dolce? No ma quella è la ricetta che è scritta sbagliata”.

Sul piano industriale, l’Ipam di Villa Literno era una azienda modello della ruggente imprenditoria della “tigre casertana”, nella quale era necessaria ovviamente la raccomandazione di un politico, meglio ancora di un boss, per essere assunti e, ancora adesso, è veramente raro trovare qualcuno che si ricordi se sia mai stato fatto almeno uno sciopero lì dentro. Da questo punto di vista era una impresa assolutamente ineccepibile. Mentre in Italia la sinistra e i sindacati facevano a capocciate con Romiti sul tema della “qualità totale”, la Ipam di Villa Literno era avanti persino alla Toyota in termini di conflittualità con i propri “dipendenti”.

L’Ipam, la società sequestrata tra il 2001 ed il 2002 dalla DDA, a seguito di una denuncia presentata dalla Eridania, il colosso italiano dello zucchero, aveva conosciuto una rapida ascesa già dalla fine degli anni ’80, “imponendosi” prima in tutta la provincia di Caserta e poi allargandosi nel basso Lazio, nel napoletano, per arrivare in Toscana ed in Emilia Romagna, fino alla bouvette di Montecitorio, seguendo le geometrie, in orizzontale ed in verticale, delle alleanze del clan dei “casalesi”, dei quali Dante Passarelli era il prestanome, secondo la magistratura antimafia.

Originario di Casal di Principe, Dante Passarelli fu definito, dal collaboratore di giustizia Dario De Simone, il “perno portante dell’organizzazione”, per la quale svolgeva anche “servizi finanziari”, cambiando assegni e mettendo a disposizione del clan il suo nome per i conti bancari, sui quali venivano riciclati i capitali del traffico di droga e delle “quote” estorte alle imprese. A lui erano intestate anche importanti aziende nel settore delle conserve, delle confetture, della fornitura del servizio di catering per la refezione negli ospedali e nelle scuole, oltre a terreni e case. Società sequestrate nell’ambito delle indagini che portarono al processo “Spartacus”, insieme ai terreni dell’azienda agricola “La Balzana”, che Dante Passarelli acquistò dalla Cirio per conto dei boss Zagaria, Schiavone e Bidognetti.

Quando fu arrestato era anche il presidente dell’Albanova, la squadra di calcio di Casale e San Cipriano, orgoglio e vanto di Antonio Iovine, con la quale arrivò ad un passo dalla soglia della serie C1.

Il pm Federico Cafiero de Raho chiese, nel 2004, la condanna ad otto anni di reclusione per l’imprenditore colluso, ma Passarelli morì pochi mesi dopo, il 2 novembre 2004, a 67 anni, ufficialmente per una caduta accidentale dal quarto piano della sede di una delle sue società, la Euro Service di Villa Literno.

Una settimana prima della sua morte, aveva stipulato una polizza nella sede del Monte dei Paschi di Siena di Cancello Arnone, garantita da obbligazioni, “costituita in pegno per linee di credito della Ipam”, con un premio per un milione di euro ai figli ed alla moglie, i quali riuscirono ed entrare in possesso di parte dei beni sequestrati.

Prima della scomparsa di Passarelli, l’azienda, l’Ipam, aveva già subito un sequestro dalla magistratura che però non aveva scoraggiato gli affari, al punto che, addirittura, anche durante il sequestro giudiziario, tra il 1995 ed il 1999, l’azienda di Passarelli riuscì misteriosamente a raddoppiare il fatturato. A dispetto delle competenze manageriali del custode giudiziale nominato dal tribunale, che fu poi rimosso dall’incarico nel 1999, si scoprì che la crescita dei fatturati era dovuta ad una truffa da 50 miliardi di lire realizzata con la Zucker & Susswaren, una società con sede a Klagenfurt, in Austria. Prodotti acquistati da società estere non vincolate ai versamenti fiscali venivano importati illecitamente, mentre lo zucchero, esportato fittiziamente in Austria o a San Marino veniva poi reimportato ed immesso illegalmente sul mercato. L’amministratore nominato dal giudice non si era accorto proprio di niente. Ma forse veramente non ne capiva molto della materia.

Da allora il marchio dello zucchero è diventato “Kerò”, e la produzione è passata da Villa Literno a Pignataro Maggiore.

La realizzazione dello stabilimento nella zona calena segnò anche un accordo tra i “casalesi” ed i (una volta odiatissimi) clan Lubrano-Ligato di Pignataro, un tempo legati ai Nuvoletta ed alla fazione di Totò Riina in Cosa Nostra. Un esponente di Calvi Risorta, legato alla famiglia Passarelli, fu intercettato mentre parlava con il boss Vincenzo Lubrano della realizzazione dello stabilimento della “Commerciale Europea S. p. a. ”, i cui lavori furono affidati all’imprenditore casertano Francesco Boccardi, il proprietario del celebre Hotel Vanvitelli, (e questo è uno famoso anche perché diffida spesso, giornalisti, sindacalisti, etc. ) al quale si sarebbe poi rivolto il reggente del clan Lubrano, ed ex esponente del clan Piccolo di Marcianise, Giuseppe Pettrone (diventato in seguito collaboratore di giustizia).

A svelare il collegamento dei Lubrano-Ligato con i casalesi fu una inchiesta giornalistica condotta da Enzo Palmesano, attraverso il “Giornale di Caserta”, il quale per primo individuò in Susanna Cantelli, moglie di Dante Passarelli, rappresentante legale della “Commerciale Europea spa”, il ruolo di collegamento con i vertici casalesi. L’articolo provocò durissimi attacchi da parte di giornalisti con precedenti penali e periodi di detenzione scontati per reati di bancarotta fraudolenta ed associazione, nonché da parte dell’editore del “Giornale di Caserta”, Pasquale Piccirillo, benché fosse già intervenuto un sequestro giudiziario sui beni dei figli e della moglie di Passarelli da qualche settimana.

Con l’arresto, lunedì, dei quattro figli di Dante Passarelli, Franco, Davide, Biagio e Gianluca, della sig. ra Cantelli e della sig. ra Natale, nell’ambito dell’inchiesta originata dall’operazione “Nuova Calatia” del 17 marzo 2008, che ha portato all’arresto di 28 esponenti dei clan Farina- Martino- Micillo di Maddaloni, e del clan Belforte di Marcianise, si chiude un altro capitolo della saga familiare.

Ai figli di Passarelli in particolare, vengono contestati i reati di reimpiego di capitali e beni di provenienza illecita. In particolare a Franco e Biagio Passarelli vengono contestati anche reati importanti, in quanto si sarebbero occupati di una estorsione ai danni della Alvi S. p. A. , una grossa società campana di supermercati.

Tra i beni già sequestrati nell’estate scorsa, dal comando provinciale dei Carabinieri di Caserta, per un valore stimato di circa 660 milioni di euro, anche lo stabilimento della «Commerciale Europea S. p. a. » di Pignataro Maggiore, dove viene prodotto lo zucchero Kerò.

Verrebbe a questo punto da dire che c’è da sperare che da domani inizi una nuova era in provincia di Caserta. Forse potremo addirittura scegliere dove fare colazione o prendere il caffè, magari anche in base alla marca di zucchero?

In tutta questa vicenda in conclusione, come sempre, è difficile trovare una morale che non sia frutto di un punto di vista soggettivo. Non è che ci sia tanto da gioire sulle disgrazie altrui, soprattutto quando una intera famiglia fa una fine del genere, nonostante le ricchezze che ha posseduto e le possibiltà che ha avuto di cambiare rotta. Evidentemente non potevano cambiare. Ed il problema è proprio questo e non è solo il loro. Perché in Italia c’è ancora chi è convinto che se dai una matita ad una scimmia, nell’arco di trent’anni, prima o poi arriverà a scrivere la Divina Commedia. Al massimo, invece, sembra che impari giusto a fare qualche scarabocchio.

(Tratto da AgoraVox)