di Chiara Brusini | 10 DICEMBRE 2023 – Il Fatto Quotidiano
Prestanome, fiduciari ed evasori che riciclano offshore possono continuare a dormire sonni tranquilli. L’Italia rimarrà almeno fino alla prossima primavera l’unico Paese europeo – insieme alla Spagna che ha legiferato sul tema durante l’estate – privo del Registro dei titolari effettivi. Uno strumento previsto dalla V direttiva Ue antiriciclaggio del 2018 e ancora inattuato, con tanto di messa in mora da parte della Commissione Ue arrivata lo scorso gennaio. Questa sembrava la volta buona: entro lunedì 11 dicembre società, fondazioni, associazioni e trust avrebbero dovuto inviare alle Camere di Commercio le informazioni necessarie per alimentare la nuova sezione del Registro delle Imprese. Ma a pochi giorni dalla scadenza il Tar del Lazio ha accolto una richiesta di sospensiva dell’atteso decreto con cui a fine settembre il Mimit aveva stabilito un “termine perentorio di 60 giorni” per completare l’adempimento. La trattazione di merito è attesa per fine marzo 2024: fino ad allora tutto si blocca.
Resteranno così nel limbo anche gli obblighi di fornire le informazioni sul titolare effettivo previsti dal Regolamento Ue del 2021 per gli appalti del Pnrr. Che puntava a far sì che le pubbliche amministrazioni possano sapere “chi effettivamente sta dietro le scatole cinesi che spesso coprono il vero titolare della società che vince l’appalto, evitando così corruzione e riciclaggio”, come ha ricordato il presidente dell’authority Anticorruzione Giuseppe Busia presentando il nuovo Piano nazionale anticorruzione 2022-2024. Busia del resto aveva anche sollecitato l’introduzione nel nuovo Codice degli appalti dell’obbligo per gli operatori economici di dichiarare il loro titolare effettivo, con sanzioni per l’omessa o falsa dichiarazione. Richiesta rimasta inascoltata.
A presentare la richiesta di sospensiva accolta dal Tar era stata Assoservizi Fiduciari con l’intervento ad adiuvandum di Aletti Fiduciaria, entrambe rappresentate dagli avvocati Bernardo Giorgio Mattarella, Francesco Sciaudone, Davide Giorgio Contini e Carlo Angelici. La società sosteneva che il mandato fiduciario classico – quello con cui si affida a una società fiduciaria l’amministrazione di beni sulla base di istruzioni del fiduciante – non ha alcuna affinità con il trust, in cui la titolarità dei beni passa al trustee. E dunque non deve essere tenuto alla comunicazione dei titolari effettivi al Registro. Il Tribunale amministrativo ha ritenuto che ci sia “fumus boni iuris” e ha dunque congelato l’efficacia del decreto del 29 settembre. Anche i presidenti dei Consigli nazionali dei commercialisti, notai e avvocati si erano spesi per un rinvio, con una lettera inviata alla premier Giorgia Meloni e al ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, lamentando dubbi sulla sanzionabilità di alcune categorie professionali legittimate a fare la comunicazione ma non esplicitamente obbligate.
Anche quando finalmente il Registro diventerà realtà, peraltro, società civile e giornalisti non potranno consultarlo. Il problema stavolta dipende solo in parte dal governo italiano. Dietro c’è la sentenza della Corte di giustizia europea che nel novembre 2022 ha bocciato l’accesso delle informazioni al pubblico valutando che “interferisce con i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali”. Con il risultato che Roma ha disapplicato l’articolo del decreto del Mef che prevedeva l’accessibilità al pubblico, disponendo che i dati siano resi disponibili solo ai “titolari di un interesse giuridico rilevante e differenziato“. Come aveva fatto notare Transparency International Italia, in realtà la Corte “aveva ribadito che i giornalisti e le organizzazioni della società civile dovrebbero poter accedere a queste informazioni senza dover dimostrare il loro legittimo interesse in casi specifici”. Ma diversi Paesi hanno reagito sospendendo tout court l’accesso pubblico. Da un’analisi di Transparency è emerso il mese scorso che ancora oggi “in 13 dei 27 Stati membri, i media e le organizzazioni della società civile non possono accedere alle informazioni o devono dimostrare dimostrare il loro legittimo interesse con requisiti spesso complessi”.