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“Antimafia spaccata” : la solita, vecchia solfa ritorna con Salvini. L’ANTIMAFIA SPETTACOLO E L’ANTIMAFIA REALE. LA STORIA NON FINISCE MAI  

Il Fatto Quotidiano, LUNEDÌ 27 MAGGIO 2019

Antimafia spaccata” : la solita, vecchia solfa ritorna con Salvini

NANDO DALLA CHIESA

E ora ripetete con me: “Spaccato il movimento antimafia”. Ditelo bene quello “spaccato”. Non ne sentite la forza onomatopeica? Non sentite il brivido che trasmette quel suono, sillaba per sillaba? Non avvertite qualcosa di voluttuoso, perfino? Dev’essere per questo che da trentasette (37!) anni a questa parte leggo e sento generazioni di giornalisti e politici e opinionisti annunciare al pubblico che il movimento antimafia si è “spaccato”. Ogni anno. Per ogni ragione. In genere davanti a una lapide, a un’o ccasione simbolica. Per una presenza, una stretta di mano. Per un intero repertorio di motivi: temperamentali, biografici, politici, personali. Che in un partito politico, organizzazione con tanto di capo supremo, sono pluralismo o diversità di scelte. Ma che nel movimento antimafia, che è per definizione fluido e senza segretari nazionali, evocano quella parola irresistibile: “sp accat ura”. Nel 1982, dopo l’assassinio di mio padre, lessi che era “spaccata”la mia famiglia. Vergine di queste pratiche, ne rimasi sgomento, perché era proprio difficile trovare famiglia più unita. Poi capii che il verbo era qualcosa a metà tra una tecnica esorcistica e un riflesso pavloviano.

L’ANTIMAFIA era una creatura anomala, non doveva durare. Ogni forma di antimafia si “spaccava”, ineluttabilmente. Perché ineluttabilmente si hanno ogni tanto idee diverse su quel che ci accade intorno. Spesso per trovare la “spacca – tura” si arruolavano nel movimento persone che non vi appartenevano affatto, ma avevano cariche formalmente “antimafia” nelle istituzioni o in qualche associazione. Oppure alcune ne diventavano portabandiera per decreto della stampa senza che il movimento nemmeno le conoscesse. Come quella “eroi – na” della lotta alla ‘ndranghe – ta di cui nulla avevo mai sentito dire e che venne poi inquisita per uso privato di fondi antimafia. A furia di “spaccar – si” per trentasette anni il movimento antimafia dovrebbe essere oggi meno che un atomo. E invece, prodigio della fisica, è il movimento più esteso e appassionato che ci sia in Italia, quello più capace di riempire sistematicamente le piazze e di far viaggiare d’esta – te migliaia di giovani volontari per campi di formazione e beni confiscati. Quel che è accaduto a Palermo lo scorso 23 non ha dunque nulla di speciale. Solo, qualcuno ha valutato diversamente che cosa fosse più giusto fare davanti all’ar – rivo di Matteo Salvini ministro dell’interno. Dentro o fuori dall’aula bunker? Molti di quelli rimasti fuori dall’aula non vi sono in realtà mai entrati nemmeno negli anni passati. Mentre il luogo della manifestazione “al t e r n a t iv a ” ha tranquillamente ricevuto la visita (giudicata scandalosa per l’aula bunker) dei membri del governo. Il fatto è che c’è chi, come ha ben ricordato su queste pagine Marco Lillo, ha anteposto una legittima scelta ideologica alla considerazione che l’au – la bunker è un monumento alla parte migliore della nostra storia (per me è anche il luogo in cui mio padre ha avuto giustizia), dotato di una potenza simbolica che batte quella di dieci governi messi insieme. E c’è chi, dai lati del corteo, ha voluto intonare “Bella ciao”pro – prio mentre un fiume di ragazzi ritmava i nomi di due grandi partigiani della democrazia, “Giovanni e Paolo”, camminando, fra l’altro, con Fico, Orlando e Zingaretti, Maria Falcone e Cafiero de Raho, figurarsi se non ci fosse stata la “sp ac c at ur a ”. Passerella? Certo, nell’aula bunker ce n’è sempre. Può urticare quel baluginio di potere, ma è il segno che tutti si devono inchinare alla memoria di Falcone. Se i ministri non ci fossero ci chiederemmo (come mi chiedo spesso alle commemorazioni di mio padre) “ma il governo d ov ’è ?”. Ma la divisione tra politica e società civile è una bufala. Un bel po’di politica era fuori dall’aula. Molta società civile era dentro, a partire dalle scuole. E dall’università. A nome della quale mi è stato chiesto di parlare della convenzione di Palermo (ovvero la lotta al crimine transnazionale) fatta, senza protocolli, da studenti o ricercatori all’estero. Ho raccontato di loro, della lotta alla mafia che esportano con passione in Spagna e in Germania, in Messico e a Berkeley. Ma a chi ha poi deplorato l’assenza della società civile nell’aula bunker non è fregato nulla. Ma non era quella che interessava. Certo, dall’anno venturo, cerchiamo di sapere che progetti hanno i ragazzi. Meno spazio alle istituzioni, più alle scuole. D ’ accordo? Oddio, ho ri–“spaccato” l’antimafia…