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ANTIMAFIA. DIA: A LATINA SINTI, BARDELLINO, ‘NDRANGHETA E TRAFFICO DI RIFIUTI

ANTIMAFIA. DIA: A LATINA SINTI, BARDELLINO, ‘NDRANGHETA E TRAFFICO DI RIFIUTI

18 Gennaio 2020

di Alessandranna Nocella

È stata pubblicata oggi, 17 gennaio 2020, la Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento inerente all’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia per il semestre gennaio-giugno 2019, nelle cui pagine viene riservato anche un paragrafo alle infiltrazioni delle criminalità organizzate all’interno della Provincia di Latina.

UNO SGUARDO D’INSIEME SULLA PROVINCIA PONTINA

Al pari della provincia di Roma, anche l’area pontina si caratterizza per la compresenza di vari tipi di organizzazioni criminali, siano esse locali o proiezioni di quelle mafiose tradizionali (‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra). Una convivenza funzionale alla realizzazione degli affari illeciti. Emblematico, in tal senso, quanto esposto nella Relazione del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019, nella quale è riportato che “…il territorio del basso Lazio è stato oggetto di una espansione via via sempre più profonda e ramificata non soltanto ad opera di clan camorristici e del corrispondente insediamento dei relativi esponenti, ma anche di cosche di ‘ndrangheta, la cui presenza si è con il tempo estesa e strutturata, fino a determinare la compresenza su quel territorio di un coacervo di gruppi, la cui attività, fortemente caratterizzata dal metodo mafioso, ne ha segnato profondamente il tessuto economico-sociale ed anche politico. … Si tratta, in altri termini, di nuclei criminali che, rafforzatisi e strutturatisi nel tempo, hanno finito per dare luogo a vere e proprie associazioni mafiose autoctone”.

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Il Sud Pontino è infatti caratterizzato da presenze di personaggi legati a vari gruppi criminali, quali ad esempio esponenti delle ‘ndrine calabresi dei BELLOCCO, dei TRIPODO, degli ALVARO e dei LA ROSA-GARRUZZO. Una conferma dell’attualità del coinvolgimento di soggetti di matrice calabrese nei traffici di stupefacenti condotti sul territorio pontino viene, nel semestre, precisamente nel mese di maggio, dall’operazione “Selfie”, già citata con riferimento a Roma. Sono inoltre attivi sul medesimo territorio anche elementi dei clan camorristici facenti capo ai CASALESI, ai BIDOGNETTI, ai BARDELLINO, ai MOCCIA, ai MALLARDO, ai GIULIANO, ai LICCIARDI, ai SENESE ed agli ZAZZA. È innegabile come tale composita presenza sia stata incentivata dalle potenzialità affaristiche offerte dal contesto socio-economico. Ad esempio il Mercato Ortofrutticolo di Fondi (M.O.F.) rappresenta, a livello nazionale, un importante polo del settore logistico-alimentare, nel quale le organizzazioni criminali si sono più volte inserite per incrementare i propri affari illeciti.

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La collocazione di Latina, inoltre, costituisce uno snodo per i collegamenti tra le province di Roma, Napoli e Caserta. Non a caso, appartenenti alla camorra hanno preferito spostarsi nell’area pontina, continuando così a gestire le attività illecite sui limitrofi territori di origine. Per i sodalizi campani, vista la contiguità geografica, l’area costituisce inoltre la naturale “cassa d’espansione” dei propri interessi illeciti, nonché per il riciclaggio ed il reimpiego dei capitali nei settori dell’edilizia e del commercio, ove le risorse risultano investite soprattutto nel circuito agroalimentare e della ristorazione, nonché nell’acquisizione e nella gestione delle sale da gioco. Per completare la descrizione del contesto delinquenziale si evidenzia anche il diffuso fenomeno degli incendi dolosi, verosimile testimonianza del tentativo dei sodalizi criminali di imporre il controllo sulle attività economiche locali. Nella provincia si confermano, inoltre, le illecite attività delle famiglie di sinti stanziali dei DI SILVIO e CASAMONICA, che recenti sentenze hanno ricondotto nei canoni dell’azione mafiosa“.

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INDAGINE E PROCESSO “ALBA PONTINA”

Il semestre in esame si è infatti principalmente caratterizzato, per la città di Latina, per l’operatività di un’organizzazione criminale autoctona, nei confronti della quale la sentenza del Tribunale di Roma, in data 19 luglio 2019, ha per la prima volta riconosciuto l’aggravante del cosiddetto “metodo mafioso”. L’aggravante venne contestata con le operazioni “Alba Pontina”e “Alba Pontina 2”, rispettivamente del 12 giugno e del 5 novembre 2018, quando vennero arrestati i 34 componenti di una consorteria legata ad un ramo della famiglia di sinti stanziali dei DI SILVIO, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, violenza privata, favoreggiamento, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e reati elettorali, tutti aggravati dalle modalità mafiose.

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L’investigazione ed il successivo sviluppo giudiziario hanno consentito di riconoscere, pertanto, l’esistenza di un’associazione mafiosa autoctona, non legata agli storici sodalizi criminali siciliani, calabresi o campani. A seguito dell’arresto, un esponente di rilevo del clan ha inoltre deciso (segnando un altro primato nella storia della criminalità pontina) di collaborare, rilasciando una serie di dichiarazioni che hanno consentito di ricostruire ulteriormente l’organigramma e le numerose attività illecite dell’agguerrito sodalizio criminale. Più nel dettaglio, le evidenze giudiziarie hanno disvelato come tale clan, insediatosi nella provincia in parola dagli anni ’50, sia riuscito ad imporsi sul territorio operando un controllo del territorio assimilabile a quello praticato nei territori di origine dalle cosiddette “mafie tradizionali”: estorsioni nei confronti di commercianti, imprenditori, professionisti e politici, sulla base di una violenza e di un potere intimidatorio da tutti riconosciuto.

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Le citate operazioni “Alba Pontina” hanno inoltre accertato come il clan DI SILVIO abbia dimostrato interesse e capacità nel “gestire” le campagne elettorali di diversi candidati alle consultazioni amministrative del 2016 per i comuni di Latina e Terracina, direttamente o per il tramite di affiliati. Alcuni membri del clan, infatti, gestivano la propaganda elettorale in favore di alcuni candidati, provvedendo – dietro compenso – all’affissione dei manifesti elettorali ed imponendosi, grazie alla propria caratura criminale, sulla scelta di luoghi che garantissero, per posizione ed affluenza di pubblico, maggiore visibilità ai candidati “sponsorizzati”. Le indagini hanno, in aggiunta, disvelato la compravendita di voti: esponenti del clan DI SILVIO inducevano numerosi tossicodipendenti ad esprimere la propria preferenza in favore di alcuni candidati, ricevendo in cambio un compenso in danaro. E’ emerso, dunque, il quadro di una consistente influenza criminale dei DI SILVIO sulle attività elettorali che, talvolta imponendo i propri servizi ed in altri casi organizzando un vero e proprio mercato di consensi, condizionavano le preferenze degli elettori residenti nelle zone della città soggette al loro controllo criminale“.

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BARDELLINO NEL SUD DELLA PROVINCIA PONTINA

Proseguendo nella descrizione dei fatti che hanno interessato il territorio si segnala che a Formia, il 1 giugno 2019, sono stati eseguiti gli ordini di esecuzione per la carcerazione, emessi dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma, esecutivi della sentenza di condanna resa definitiva dalla Corte Cassazione, in relazione alle indagini al tempo condotte con l’operazione “Formia Connection”. Sono così stati arrestati 4 soggetti, di cui uno ritenuto esponente di spicco del clan dei CASALESI, colpevoli di numerose estorsioni, minacce e aggressioni nei confronti del responsabile di una cooperativa che all’epoca svolgeva opere di manutenzione appaltate dal Comune di Formia e che era stato costretto a versare parte dei compensi ricevuti all’organizzazione criminale“.

L’esponente di spicco del clan dei Casalesi di cui parla la Relazione del Ministro degli interni è senz’altro da identificare con la persona di Angelo Bardellino, arrestato il 1° giugno 2019 insieme a Tommaso Desiato, Franco D’Onorio De Meo e Giovanni Luglio, dando esecuzione alla sentenza di condanna in Cassazione arrivata ieri a conclusione del processo Formia Connection, dove il nipote del fondatore del Clan dei Casalesi Antonio, era accusato insieme agli altri tre di estorsione in concorso con utilizzo di armi da fuoco. Per i quattro confermate le condanne comminate sia nel processo di primo grado che in quello di Appello: 7 anni e 5 mesi per Bardellino (che si sarebbe costituito spontaneamente al carcere di Cassino), 6 anni e 11 mesi per Franco D’Onorio De Meo, 6 anni e 11 mesi per Tommaso Desiato, e 7 anni per Giovanni Luglio.

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CRIMINALITÀ E GESTIONE DEI RIFIUTI

L’intervento della criminalità tende ad emergere soprattutto nella fase dello smaltimento, che è quella nella quale una gestione spregiudicata può generare il maggior profitto. Si tratta, spesso, di imprese di dimensioni medio-grandi che, dopo avere acquisito ingenti quantità di rifiuti, li avviano allo smaltimento senza sottoporli al necessario, preventivo trattamento.

[…] Nel mese di gennaio dello stesso anno, a Terracina (LT), era già stato posto sotto sequestro un impianto di trattamento di rifiuti plastici, i cui proprietari sono stati denunciati per gestione illecita di rifiuti e illecito smaltimento di fanghi di depurazione. I residui del processo di lavorazione aziendale erano stoccati nelle aree esterne dell’impianto, contaminando una superficie di circa 6000 metri quadri. Si aggiunga che gli impianti di trattamento erano stati modificati in difformità dalle autorizzazioni e che le balle di materiali plastici venivano accatastate in maniera irregolare.

La gestione dei materiali di scarto al di fuori delle normative di tutela dell’ambiente e della salute emerge, poi, dalla recente operazione “Smokin’ Fields”, condotta il 13 giugno 2019, in provincia di Latina e di Roma, riguardante la produzione di materiale fertilizzante per l’agricoltura e realizzata al di fuori di contesti associativi. Il quadro probatorio ha evidenziato, in particolare, come il guadagno sia stato ricercato, soprattutto, attraverso l’illecito abbattimento dei costi connessi alla realizzazione del servizio, traendo peraltro vantaggio dalla complessità del quadro normativo vigente e degli accertamenti tecnici necessari all’acquisizione delle fonti di prova. L’operazione trae la sua denominazione dalla circostanza che i terreni sui quali veniva effettuato lo spandimento del falso compost, siti nelle aree dei comuni di Aprilia (LT) ed Ardea (RM), “fumavano” per la mancata maturazione del materiale organico di risulta, che continuava quindi a fermentare, contravvenendo in tal modo ai principi di rispetto dell’ambiente cui si sarebbero dovuti attenere i responsabili degli impianti sequestrati. In particolare, una società di Pontinia [SEP, Società Ecologica Pontina, ndr] gestiva un impianto di produzione di “ammendante compostato misto” (ACM) – normalmente utilizzato come fertilizzante per terreni adibiti ad uso agricolo – attraverso un ciclo di lavorazione dei rifiuti, in violazione dell’autorizzazione e della normativa in materia, anche servendosi di certificazioni, ritenute false o non veritiere, emesse da laboratori di analisi compiacenti. Il prodotto finale era, quindi, non un concimante ma una sostanza qualificabile a tutti gli effetti come rifiuto che, pertanto, doveva essere smaltita in discariche autorizzate. Il seguente passaggio del decreto di sequestro preventivo è esplicativo del metodo utilizzato dalla società per massimizzare i guadagni: “…è ad esempio, il caso del cd. “umido”, conferito dalle società di raccolta…, spesso ricco di altri rifiuti non biodegradabili, ciò che rende laboriose e prolungate (nonché onerose) le operazioni di ‘separazione’ di tali materiali; perciò la (…omissis…), anziché respingere i carichi non conformi, come previsto nei relativi contratti, per salvaguardare il proprio utile abusivamente esegue una grossolana selezione dei rifiuti (assai meno costosa), procedendo poi a triturare i residui materiali inquinanti non biodegradabili (come la plastica e gli altri sopra indicati) assieme al resto, miscelandoli nella composizione che dovrebbe dar luogo all’ACM e che invece per tale sua caratteristica costituisce ‘rifiuto’(compost fuori specifica)”.

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La sensibilità dell’area di Aprilia (LT) al fenomeno in esame trova fondamento anche nei contenuti di un recentissimo provvedimento ablativo, eseguito il 22 ottobre 2019 dalla Polizia di Stato, che ha riguardato 9 immobili, 7 terreni e 19 rapporti bancari del valore di 1,5 milioni di euro – nella disponibilità di un soggetto residente in quel comune pontino. Il provvedimento trae fondamento da una condanna e da precedenti specifici per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di attività organizzate per il traffico di illecito di rifiuti, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e trasferimento fraudolento di valori. Infatti, nel luglio del 2017 il proposto era stato colpito da un provvedimento restrittivo emesso dall’AG capitolina nell’ambito dell’inchiesta “Dark Side”, che aveva fatto luce sull’operatività di un sodalizio criminale che aveva sversato tonnellate di rifiuti di qualsiasi tipologia in una ex cava di pozzolana, alla periferia di Aprilia, nella sua disponibilità. Il tutto senza alcuna autorizzazione al trattamento e senza alcun tipo di preventiva “preparazione” del sito, volta ad evitare che i rifiuti potessero disperdersi ed entrare in contatto con l’ambiente, arrecando in tal modo grave danno alla collettività.

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fonte:www.latinatu.it