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ANTIMAFIA DI PROFESSIONE GIA’ STIGMATIZZATA DA LO VOI E GRATTERI.SE NE COMINCIANO AD ACCORGERE TUTTI-O QUASI – E SI STANNO ROMPENDO LE PALLE. SPERIAMO CHE SE LE ROMPA ANCHE IL GOVERNO E LEVI DI  MEZZO BARACCHE E BARACCONI CHE NON SERVONO PROPRIO A NIENTE SE NON  A COSTARE ALLO STATO ED A NOI TUTTI UN OCCHIO DELLA FRONTE.VIA L’ANTIMAFIA FASULLA, DELLE PARATE E DELLE PAGLIACCIATE.

Bertolone: «La lotta ai clan arrivi anche in diocesi e parrocchie»

L’arcivescovo di Catanzaro-Squillace a Repubblica ricorda l’esempio di don Pino Puglisi. «Contro le mafie si può lottare nel silenzio e con coerenza. Antimafia di professione già stigmatizzata da Lo Voi e Gratteri»

11 settembre 2018

«Padre Puglisi non aveva né i toni né la veste del rivoluzionario, ancor meno del professionista dell’antimafia». Eppure la sua «straordinaria normalità, in un quartiere che aveva il suo unico dio nel boss, era motivo di disturbo». L’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, è stato il postulatore della causa che ha portato al riconoscimento del martirio di don Pino. A Repubblica racconta quanto contino esempi come quello del prete di Brancaccio. E quanto ancora resti fare ispirandosi all’esempio di Papa Francesco. «La povertà personale come scelta di vita, missioni popolari tra la gente, l’analisi anche scientifica dei reali bisogni delle persone, la moralizzazione delle feste popolari, la corresponsabilità pastorale dei laici, momenti civici per far sentire la voce dell’intera comunità su particolari temi sociali. È stato – spiega Bertolone – il metodo Puglisi, il dono grande di un prete con le suole delle forate per il suo continuo camminare fra la gente. Il messaggio è chiaro, ma resta molto da fare perché esso si incarni nella quotidianità». Puglisi era temuto dai clan perché «prete autentico», perché «teneva lontani i fanciulli dalla malapianta». E il suo sacrificio «è servito per porre fine al grande inganno» di una mafia che si vestiva di religiosità , di ciò che non è per trovare una legittimazione che andasse oltre la violenza.

Oggi l’esempio del parroco ucciso dai clan palermitani trova una continuità a partire dal discorso del Papa a Sibari nel giugno 2014. «Il Santo Padre ha ribadito con nettezza – dice Bertolone a Repubblica – l’orientamento pastorale e magisteriale. Il richiamo alla scomunica per chi è affiliato ha chiuso il cerchio: si pongono automaticamente al di fuori della comunità cristiana non solo i mafiosi condannati con sentenza passata in giudicato, ma tutti coloro i quai di essa fanno parte a pieno titolo, in colletti bianchi o rosa». Non è finita, ovviamente. Perché «tocca adesso alle diocesi, alle parrocchie, al laicato, darsi da fare. Anche in questo caso ci vorrà del tempo, ma non si torna indietro». Restando fuori dal recinto dell’antimafia di professione, un fenomeno «già denunciato da Sciascia e di recente stigmatizzato anche da magistrati inappuntabili come il procuratore di Palermo Lo Voi e il procuratore di Catanzaro Gratteri. Puglisi ha dimostrato che si può fare molto, forse anche di più, nel silenzio e con l’umiltà, purché con coerenza e dignità non si rinunci mai a compiere per intero il proprio dovere».

 

fonte:https://www.corrieredellacalabria.it