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Anna Carrino, chi è la camorrista diventata collaboratrice di giustizia ospite del programma «Insider»

Anna Carrino, chi è la camorrista diventata collaboratrice di giustizia ospite del programma «Insider»

Roberto Saviano

Anna Carrino è la prima ospite di Insider, in onda sabato 12 febbraio alle 21.45 su Rai 3

«Il clan dei Casalesi non morirà mai. Perché è una radice: tu la tagli e spunta la pianta, la tagli e quella esce di nuovo».

Queste sono parole di Anna Carrino, camorrista divenuta collaboratrice di giustizia, che per quasi trent’anni è stata la compagna di uno dei capi del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, conosciuto anche come Cicciotto ‘e Mezzanotte.

Intervistarla per me ha significato trovarmi faccia a faccia con la compagna del boss che mi ha stravolto la vita. Nel maggio 2021, Francesco Bidognetti e il suo avvocato Michele Santonastaso sono stati condannati per aver minacciato me e la giornalista Rosaria Capacchione in un’aula di tribunale. Era il 2008, era in corso il processo Spartacus, il maxi processo contro i Casalesi. Il clan si trovava, quindi, in un momento di estrema difficoltà, tanto da sentire la necessità di attaccare anche la narrazione che gli aveva puntato i riflettori addosso a livello nazionale e internazionale. Una mossa che, se da una parte mostrava la debolezza dei Casalesi, dall’altra faceva emergere il loro sentirsi sicuri e potenti al punto da lanciare intimidazioni in un’alula di giustizia, come a dire: se ci condannate, ci saranno conseguenze per tutti.

Ho dedicato gran parte della mia vita alla denuncia dei crimini compiuti nella mia terra dal clan dei Casalesi, il gruppo camorristico che per decenni ha comandato, avvelenato e distrutto l’area dell’Agro Aversano. I suoi affiliati sono responsabili delle peggiori speculazioni edilizie del territorio, ma anche dell’irreversibile inquinamento del suolo portato avanti attraverso lo sversamento dei rifiuti tossici, che ha causato la malattia e la morte di un numero di persone che forse ancora non conosciamo, perché le conseguenze di questo disastro continueremo a pagarle negli anni a venire.

I boss Francesco Bidognetti, Francesco Schiavone, Michele Zagaria e Antonio Iovine – pupilli del capostipite Antonio Bardellino – insieme al loro esercito di affiliati hanno costruito una holding criminale che trovava sponde nell’imprenditoria collusa e nella politica corrotta, e intanto, dietro alla loro veste da manager, continuavano a commettere omicidi e combattere faide. Anna Carrino li ha conosciuti tutti. Tutti i capi del clan, i loro guardaspalle, i sicari, e mentre era al fianco di Francesco Bidognetti è stata testimone diretta dei crimini che questi uomini compivano. Ma non è rimasta solo una spettatrice.

Tra i suoi compiti, c’era la gestione della cassa della famiglia Bidognetti: nelle sue mani arrivavano i proventi di alcune delle aziende di proprietà del clan, come la Cobit Sud, un consorzio che operava nel settore della manutenzione e dell’asfalto (gestito tramite prestanome da Francesco Bidognetti e da Francesco Schiavone «Sandokan») e la Concordia, un’impresa di pompe funebri anch’essa di proprietà del clan. E poi c’era il grande affare dei rifiuti, che scorreva su due binari paralleli: il controllo del ciclo dei rifiuti urbani negli anni dell’emergenza in Campania e lo sversamento illegale dei rifiuti tossici nelle cave e nei terreni agricoli della regione per conto di numerose imprese del Nord. Quest’ultimo è stato il business di gran lunga più remunerativo per l’organizzazione, e Anna Carrino ha ricordi molto vividi di quel periodo: «Una sera portarono dei sacchi neri pieni di soldi, non me lo dimenticherò mai. Pieni. Pieni, erano quei sacchi. E loro dissero che dovevano andare a fare una buca a Giugliano, perché dovevano arrivare dei camion che dovevano sversare questi rifiuti». Carrino sostiene di non aver mai saputo che si trattasse di rifiuti tossici, tanto che quando pensa al suo ex compagno Bidognetti e ai suoi complici si domanda: «Hanno distrutto tutto il terreno di tutta la zona casalese, casertana, napoletana. Come fanno a guardare i propri figli? Io quello non riesco a capire, i nipoti. Lui ha quattro nipoti, giù. Come fa a vivere?».

Ma Anna Carrino non si è limitata al ruolo di cassiera della famiglia o di donna del boss: a un certo punto si è trovata ad essere un elemento fondamentale per tutto il clan. Infatti, quando nel 1993 il suo compagno e padre dei suoi tre figli viene arrestato e finisce al 41bis, cioè il regime di carcere duro, lei, essendo l’unica ad avere accesso ai colloqui, diventa la messaggera tra il capo detenuto e l’organizzazione. Comincia così a portare segretamente fuori dal carcere le imbasciate per gli affiliati che Bidognetti le comunica attraverso segnali criptati che riescono ad eludere anche il constante controllo della polizia penitenziaria. Ad esempio, per indicare Francesco Schiavone, lui si passa una mano sulla barba, tratto distintivo del boss casalese; oppure, per parlare di Alessandro Cirillo detto ‘o Sergente, lui le fa il segno dei gradi sulla spalla. È proprio in questi anni che Anna Carrino diventa un membro a tutti gli effetti del clan, fino ad arrivare a compiere un crimine per cui riceverà una condanna a 16 anni e 8 mesi come mandante di omicidio. A perdere la vita, il giovane Antonio Petito, un ragazzo di 20 anni che aveva avuto un diverbio per una banale questione di viabilità con Gianluca Bidognetti, il figlio allora quindicenne di Carrino e Cicciotto ‘e Mezzanotte. «Tu non sai chi sono io», aveva detto con boria il figlio del boss, e Petito avevo osato rispondergli: «E che me ne importa?», firmando così la sua condanna a morte.

Fu solo quando apprese che il suo compagno portava avanti da vent’anni una relazione con un’altra donna, Angela Barra, dalla quale aveva avuto anche tre figlie, che Anna Carrino cominciò a valutare l’ipotesi del pentimento. Questo tradimento e gli equilibri difficili all’interno della famiglia la spinsero a intraprendere la strada della collaborazione con la giustizia. Una volta presa la decisione, Carrino lasciò Casale e i suoi tre figli. Dopo la sua fuga, la sua famiglia fece un falò con i suoi oggetti personali, ma questo non bastò a lavare l’onta della collaborazione, la peggior infamia per una famiglia mafiosa. A guidarla nel percorso di collaborazione è stato il pm Antonello Ardituro, che raccogliendo le sue importanti testimonianze ha potuto incriminare decine di membri dell’organizzazione.

Oggi Anna Carrino vive sotto falso nome in una località protetta, dove sta scontando una pena in detenzione domiciliare per associazione mafiosa e omicidio. Afferma di non portare rancore verso l’ex compagno Francesco Bidognetti, nonostante sia consapevole di essere finita sulla sua lista nera.

Quando l’ho incontrata, una delle cose che più mi premeva domandarle è perché. Perché i Casalesi mi hanno minacciato e condannato a una vita sotto protezione? «Perché diceva tante cattiverie su di loro – mi ha risposto – Sentivo che lei stava facendo tutto questo per far venire polizia, carabinieri, tante forze dell’ordine a Casal di Principe. E loro non sarebbero stati più tranquilli nel loro territorio. Perché la latitanza i Casalesi la fanno a Casale. Non è che vanno in Brasile oppure in America. La fanno lì. E quando viene una persona e incomincia a parlare del clan dei Casalesi, e incomincia a parlare del paese di Casale, è come se si andasse a rovinare qualcosa che loro comunque hanno creato per tanti anni. A volte capitava che venisse qualche affiliato a casa che diceva: ‘Quel pezzo di merda è venuto a Casal di Principe e non ci vuole lasciare proprio in pace’».

Ecco, su una cosa non sbagliavano: non li voglio proprio lasciare in pace.

Fonte: https://www.corriere.it/cronache/22_febbraio_12/anna-carrino-insider-roberto-saviano-ae6f6a48-8b51-11ec-8ff0-286fb7a9f896.shtml