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Allarme usura nella provincia di Salerno, a rischio un commerciante su tre

Il Mattino, Sabato 13 Agosto 2016

Allarme usura nella provincia, a rischio un commerciante su tre

di Gianluca Sollazzo

La provincia di Salerno è ad alto rischio usura ed indebitamento. E dietro le centinaia di negozi al dettaglio che chiudono i battenti o le aperture di attività che hanno una vita media di due anni si nasconde troppo spesso il cappio del mancato accesso al credito bancario. Chi è in difficoltà è un commerciante su 3 che spesso è costretto a ricorrere a prestiti non legali, traditi da finanziamenti che non arrivano perché bloccati dalla palude della burocrazia. E a pagarne le spese sono ancora una volta gli imprenditori. La crisi abbatte i redditi delle famiglie e delle imprese ed estende le maglie dell’usura. Quella di Salerno è una delle province italiane a più elevato rischio, lo dicono gli ultimi studi di Unioncamere che ha preso in esame l’andamento del rischio usura in 103 province monitorate.
Rispetto ad un indicatore nazionale medio stabilito pari a 100, la situazione più critica si presenta in Campania: l’indice del rischio usura risulta infatti pari a 169,2 (ossia il 69,2% in più della media Italia), in Basilicata si attesta al 159,2 (59,2% in più rispetto alla media Italia), in Molise si ferma a 153,1 (53,1% in più della media Italia), in Calabria a 150,4 (50,4% in più della media nazionale) e in Puglia il livello si attesta a quota 139 (39% in più della media Italia). La nostra provincia si piazza in questa classifica addirittura settima con 222 punti alle spalle solo della provincia di Napoli e di Caserta.
Proprio la crisi attuale, con la conseguente perdita di redditività delle piccole e medie imprese, con la diminuzione del potere di acquisto di salari e stipendi, ha fatto si che l’usura si insinuasse tra tutti gli strati sociali della popolazione rendendo particolarmente rischiosa l’attività della piccola impresa, del commercio al dettaglio, dell’artigianato di vicinato, dei ceti più poveri. E ad essere vittime eccellenti dell’usura sono proprio i negozianti. Quasi un commerciante su tre (46%) ha, avuto quantomeno un contatto con il fenomeno. Seguono, poi, gli imprenditori (30%), gli artigiani (10%), i dipendenti (7%), i liberi professionisti (6%). Il clima di difficoltà nelle relazioni banche-imprese trova ulteriore conferma nei numeri riferiti ai protesti di assegni e cambiali che, soprattutto nelle province di Napoli e Salerno, assumono in termini numerici le dimensioni di un fenomeno dilagante. Proprio dietro i negozi storici che chiudono i battenti ed i franchising che li rimpiazzano si nasconde una difficoltà di settore che amplifica il rischio usura. Questo perché la crisi finanziaria è considerata da Unioncamere il principale indicatore per calcolare il tasso di rischio usura delle imprese. Basti pensare che nel secondo semestre del 2015 in provincia di Salerno si sono registrati ben 14.211 protesti per titoli di credito non onorati. La media mensile di protesti sfiora i 1200 casi.
Tra gli oltre 14mila protestati nel salernitano, il triste record nel 60% dei casi è detenuto dai piccoli commercianti che ricorrono troppo spesso a cambiali e meno ad assegni per far fronte a debiti. E proprio da questa tipologia di protesti per cambiali non onorate è possibile tracciare l’identikit del negoziante a rischio usuraio. Alimentaristi, fruttivendoli, gestori di negozi di abbigliamento, fiorai, mobilieri, sono loro a pagare il prezzo più alto. In gran parte si tratta di persone che hanno difficoltà a trovare una nuova collocazione sul mercato del lavoro e di conseguenza cercano in ogni modo di evitare protesti o il fallimento della loro attività, e così quando le porte del credito legale vengono chiuse il ricorso al prestito a nero risulta l’unica possibile via d’uscita. Ma può anche capitare che ci si rivolga agli usurai anche per aprire bottega o per avviare un’attività: difficile in questo caso accertare la presenza di un sommerso illegale che però trova terreno fertile in presenza di un innalzamento del tasso di mortalità delle imprese.