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Al Convegno a Roma del 14 e 15 ottobre si é parlato anche dei Testimoni di Giustizia

LA LENTE DI UNA CRONISTA

Considerazioni e riflessioni per vaccinarsi dall’indifferenza

“Piaccia o non piaccia a noi servono i collaboratori di giustizia. Ai testimoni di giustizia noi dobbiamo molto per l’impegno civile, per il coraggio, per il rischio. Ma i testimoni di giustizia sono per legge dei soggetti che rendono una dichiarazione, dopo lo Stato gli può dare tutto ma loro devono sparire.” A dirlo nel corso del convegno ‘Il processo di mafia 30 anni dopo’ dello scorso 14 ottobre è Maurizio De Lucia, sostituto Procuratore nazionale Antimafia che ha mosso i primi passi nella Procura di Palermo poco prima delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. E ha poi aggiunto: “A noi servono i collaboratori di giustizia, quelli che hanno le mani sporche, perché sono loro che ci devono raccontare gli affari, gli amici. Il testimone di giustizia può essere testimone dell’omicidio e può dirci chi è stato, ma non ci potrà mai dire chi ha ordinato di sparare.”

Maurizio De Lucia, sostituto procuratore nazionale Antimafia

Maurizio De Lucia, sostituto procuratore nazionale Antimafia

 

Parole che, oltre ad essere un dato di fatto delle indagini antimafia degli ultimi 30 anni, sono rimbombate come un tuono nell’Aula Magna della Corte di Cassazione dove era presente anche un testimone di giustizia, Gennaro Ciliberto che, dopo aver deciso di denunciare la camorra infiltrata negli appalti, da tempo lotta per avere maggiori diritti e tutele. “Ho percorso circa tremila chilometri per essere presente al convegno organizzato dall’Associazione Caponnetto. Una giornata trascorsa con la serenità di un uomo libero, ma che ad un certo punto ha turbato il mio animo. – commenta Ciliberto – Un’analisi, quella del Dottor De Lucia, che ha lasciato perplessità nella sala ma che in un testimone si traduce in una ennesima umiliazione. In quella sala della Cassazione è stata non solo sminuita la figura del testimone, il valore della scelta, ma addirittura si è detto che l’utilità del testimone è inferiore a quella dei collaboratori”. “Udire questo è come ricevere uno schiaffo, e ancora più grave è che chi lo afferma è membro della Commissione – chiosa Ciliberto – A tal punto mi viene un dubbio atroce, che viene rafforzato giorno dopo giorno: forse lo Stato non vuole più testimoni di giustizia? La frase ‘i testimoni devono scomparire’ ha un duplice significato?”. L’amarezza diventa una beffa di fronte alla vicenda di un altro testimone di giustizia, il siciliano Ignazio Cutrò, il quale nelle ultime ore si è visto revocare il programma di protezione perché sarebbero “venute meno le esigenze”. “Ribadisco tutto il mio grave rammarico per la decisione con la quale la Commissione Centrale, presieduta dal viceministro Filippo Bubbico, ha revocato il programma di protezione. Non ho mai detto che mi è stata revocata la scorta – spiega in un comunicato Cutrò – La Commissione Centrale mi ha revocato il programma di protezione, si rifiuta di consegnarmi le due perizie dello stesso Ministero degli Interni nelle quali si evince che la mia azienda è fallita perché lo Stato non ha fatto per intero la sua parte, e mi si dice che possiamo fare sonni tranquilli perché lo Stato non mi ha abbandonato.” E conclude: “E mentre gli italiani sonnecchiano dopo aver sentito questa balla, nella mia abitazione si consuma un dramma familiare che ci sta distruggendo. Con buona pace dell’antimafia istituzionale e civile.”

Revoca protezione ad Ignazio Cutrò (Fote: web)

Revoca protezione ad Ignazio Cutrò (Fote: web)

 

Un’antimafia istituzionale attenta alle condizioni e alle tutele per i collaboratori di giustizia, e per la quale oggi è un problema non avere più i ‘pentiti di una volta’ (“i collaboratori di giustizia in questo momento hanno una qualità più bassa che in passato”, ha puntualizzato De Lucia durante il convegno). La stessa antimafia che, spostando di sfuggita lo sguardo sui testimoni di giustizia, non è in grado di garantire neanche un supporto psicologico costante a uomini e donne che avendo scelto di essere cittadini onesti hanno denunciato e vivono sotto assedio.
Un’antimafia che si preoccupa solo del numero in calo dei collaboratori di giustizia andando alla ricerca delle ragioni di tale situazione, ma che non fa nulla per incoraggiare gli 83 testimoni di giustizia attuali a proseguire sulla strada della legalità, né tanto meno invita altri cittadini all’onestà e alla denuncia. Un’antimafia, istituzionale, che si sente a posto con la coscienza perché con le sue leggi non fa scorrere troppo sangue, quello dei cittadini onesti e coraggiosi (“Possiamo dire che chi è entrato dal 1991 sotto protezione dello Stato non è mai più stato toccato, il che vuol dire che con tutti i difetti che questo sistema ha, il sistema funziona”, ha dichiarato il sostituto Procuratore De Lucia).
Un’antimafia, istituzionale e civile, che sa dare le medaglie agli eroi, che celebra la memoria di uomini e donne coraggiosi perché morti, ma scomodi finché erano vivi. Un’antimafia istituzionale che tratta questa piccola comunità di italiani coraggiosi come merce usa e getta e che non si sa (né vuole) attivare per garantire minime tutele e diritti a questi testimoni di giustizia e alle loro famiglie. La stessa antimafia che allo stesso tempo sottolinea con insistenza i rischi corsi dai collaboratori di giustizia “che ti affidano sé stessi e anche il futuro dei loro figli che sono incolpevoli”, come spiegato sempre da De Lucia.

“Da anni è iniziata la rottamazione dei testimoni di giustizia, e questa nobile figura scomparirà per volere di chi legifera e di chi dovrebbe applicare la legge ma che invece ci confonde con i collaboratori”, ha commentato dopo il convegno Gennaro Ciliberto. Ma la differenza tra due categorie così distanti adesso è forse ancora più evidente. Se ne facciano una ragione, nelle stanze del ministero e della Commissione: piaccia o non piaccia a noi servono i testimoni di giustizia.