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Aiuti a 50 ditte “fantasma” Morandi, aperta l’inchiesta

Il Fatto Quotidiano

Aiuti a 50 ditte “fantasma” Morandi, aperta l’inchiesta

Il caso – I fondi per l’emergenza sono andati a imprese gestite da prestanome o sotto sequestro antimafia. Gdf: “Truffa allo Stato”. E nessuno ha controllato

di Marco Grasso | 14 FEBBRAIO 2021

L’intento sulla carta era nobile: risollevare un’economia in ginocchio, appena colpita dal crollo del Ponte Morandi. Un disastro senza precedenti. Centinaia di aziende sull’orlo del fallimento. Migliaia di lavoratori licenziati o in cassa integrazione. Un porto fermo per mesi. Negozi improvvisamente vuoti e isolati. Come in molte altre emergenze italiane, è nello stanziamento dei fondi che qualcosa è andato storto. Una pioggia di milioni è stata riversata su Genova, sostanzialmente senza alcun controllo. E adesso sugli sprechi indagano la Procura e la Guardia di Finanza.
Una parte dei fondi previsti dal Decreto Genova, erogati come aiuti una tantum (15mila euro per ogni titolare di ditta individuale), hanno tagliato fuori piccole e medie imprese della zona più colpita, la Valpolcevera, per questioni burocratiche legate alla formulazione dei bandi. Una seconda parte, la cosiddetta istituzione di una “zona franca fiscale”, è arrivata invece attraverso incentivi fiscali, assegnati a imprese già esistenti o a start up. Ed è qui che si è materializzato il peggiore finale di quasi ogni emergenza italiana. Gli aiuti sono finiti a decine di aziende fantasma, società con sedi fittizie, teste di legno, professionisti che hanno creato scatole vuote al solo scopo di capitalizzare e rivendere gli sconti fiscali. Tra i beneficiari c’è addirittura un’azienda sotto sequestro antimafia, perché ritenuta di fatto di proprietà di un boss della ‘ndrangheta.
Nelle scorse settimane i militari del Primo Gruppo (coordinati dal colonnello Ivan Bixio) e del Nucleo Metropolitano (guidati dal colonnello Giampaolo Lo Turco) hanno consegnato ai magistrati una prima informativa che spalanca uno scenario sconfortante. I casi più eclatanti riguardano una decina di beneficiari, palesemente irregolari. Ma nel primo monitoraggio ci sono quasi cinquanta società. E il numero, secondo chi indaga, è destinato a salire esponenzialmente. Gli accertamenti saranno estesi a tutti gli elenchi, che riguardano migliaia di aziende.
Sono due le ipotesi di reato. La prima è di truffa ai danni dello Stato ed è affidata al pool genovese che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione, procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati e il pm Francesco Cardona Albini. La seconda esplora il mondo dei reati tributari, collegati alla cessione indebita del credito d’imposta: un mercato degli sgravi che, ottenuti da ditte che formalmente ne avrebbero diritto, vengono poi incamerati da altre società che non hanno nulla a che vedere con la tragedia del Ponte Morandi. Ovvero con la ragione per cui il governo aveva stanziato i fondi. In entrambi i casi, si profila l’ipotesi di indebita percezione di soldi pubblici.
C’è inoltre un terzo filone, ancora tutto da esplorare, non meno interessante. Chi doveva vigilare sull’assegnazione di quei fondi? E perché, aldilà di pochi criteri formali, non sono stati introdotti meccanismi di controllo adeguati? Sono domande che derivano da una prima constatazione degli inquirenti: non si tratta di casi isolati. Il vaglio di possibili contestazioni in questo caso è molto ampio. Si va da rilievi amministrativi fino a veri e propri reati, passando per il sospetto di danno erariale, su cui indaga anche la Corte dei Conti.
La relazione è stata anticipata da una visita della Finanza presso la sede della Regione Liguria, che ospita gli uffici del commissario all’emergenza Giovanni Toti. Dal governatore sono passati soprattutto i 31 milioni di euro previsti negli aiuti “una tantum”. La gestione di questi fondi è stata contestata in modo molto polemico dal Comitato Zona Arancione, che raggruppa decine di imprese radicate a ridosso del Ponte Morandi rimaste fuori dagli aiuti: “Il governo aveva stanziato i fondi, ma non sono nemmeno riusciti a spenderli tutti – attacca il presidente Massimiliano Braibanti – Sono avanzati 16 milioni che ora, forse per ragioni di consenso, si sta cercando di dare a pioggia in tutta la Liguria”. Le proteste degli imprenditori si concentrano soprattutto su due criteri di distribuzione: l’esclusione delle srl dai destinatari degli aiuti e la necessità di dimostrare di aver chiuso per almeno 4 giorni (molti commercianti, di fronte all’emergenza, hanno fatto l’esatto contrario). Su questi punti Toti ha sempre dato la responsabilità al governo giallo-verde: “Hanno fissato loro i paletti”.
La zona franca urbana è invece materia del Ministero dello Sviluppo Economico, che si è rivolto al commissario all’Emergenza per disegnare la cartina entro la quale dovevano essere comprese le aziende destinatarie degli aiuti: “Dopo averci chiuso la porta in faccia – conclude Braibanti – è arrivata la beffa: la platea di chi ha avuto accesso a questi aiuti si è allargata in un modo per noi inspiegabile”.