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Abbate: Trattativa? I fatti restano, Ros trattò con Ciancimino mentre lo Stato era in ginocchio

Karim El Sadi 29 Aprile 2023

Il giornalista di Repubblica commenta con i colleghi del Fatto Quotidiano la clamorosa sentenza della Cassazione sul processo Stato-Mafia

Un dato di base rimane: comunque i carabinieri con Vito Ciancimino sono andati a parlare. Noi dobbiamo guardare al fatto sociale e politico, lo Stato era in ginocchio e uomini di Stato con le stellette sono andati a bussare alla porta del sindaco mafioso, che in realtà era la porta dei corleonesi, e questo, ai miei occhi, non va bene”. E’ questo il commento del giornalista Lirio Abbate, già direttore de LEspresso, all’indomani della clamorosa sentenza della Cassazione sulla vicenda della trattativa Stato-mafia. In diretta sul canale YouTube de Il Fatto Quotidiano, Abbate ha analizzato, confrontandosi con i colleghi Marco Lillo e Giuseppe Pipitone, la decisione dei giudici di annullare, senza rinvio, la sentenza d’appello, assolvendo così tutti gli imputati del processo che erano accusati di minaccia e attentato a corpo politico dello Stato. Nello specifico: i boss di Cosa Nostra Antonino Cinà e Leoluca Bagarella, gli ex vertici del Ros Mario MoriAntonio Subranni Giuseppe De Donno e l’ex senatore Marcello Dell’Utri. “Il reato era minaccia e attentato a corpo politico dello Stato, cioè si minacciò lo Stato di mettere altre bombe se non avesse alleggerito il 41bis”, ha ricordato Pipitone. I giudici d’appello di Palermo che avevano assolto nel 2021 tutti gli imputati tranne i boss mafiosi, avevano riconosciuto che trattativa ci fu, che fu fatta dal Ros, ma senza dolo perché pensata con “fini solidaristici”. “L’impressione – però – è che la Cassazione sia andata oltre”, ha commentato il giornalista “perché in secondo grado i giudici avevano detto che i carabinieri avrebbero commesso il fatto, cioè avevano trasmesso la minaccia, ma a fin di bene, non per agevolare i mafiosi ma per far finire le stragi. In Cassazione, invece, sono stati proprio assolti per non averlo commesso questo fatto”. “Eppure gli incontri con Ciancimino sono avvenuti”, ha ricordato Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it, che ha moderato l’evento, concordando con Abbate. Secondo il giornalista di La Repubblica, uscito stamane con un articolo dal titolo “Il peccato originale che le sentenze non cancellano”, “potrebbe essere che i giudici motiveranno la sentenza dicendo che non è stato dimostrato che le minacce sono state trasmesse”. “Spetta ai giudici motivare”, ha continuato. “Ricordiamo poi che è stato derubricato il reato di Bagarella e Cinà a tentata minaccia, quindi è intervenuta la prescrizione”, ha spiegato ironizzando che “questa è una macchia sulla carriera criminale di Bagarella, che non è mai andata in prescrizione”. Tornando ai vertici del Ros, Gomez, riprendendo parola, ha ricordato che gli stessi carabinieri al processo di Firenze “parlarono di trattativa e dissero di aver parlato con Ciancimino e aggiunsero che erano disperati, che non sapevamo dove sbattere la testa”. Il guaio, ha quindi ragionato Marco Lillo, intervenendo in diretta sul punto, “è che in quel momento Mori a Firenze diede ragione ai pentiti mafiosi, parlò di disperazione dello Stato e degli uomini delle istituzioni e in quel momento Riina si sentì onnipotente e capace di chiedere qualsiasi cosa o di andare avanti perché quello che stava facendo stava mettendo in ginocchio lo Stato. E questa cosa, anche con il dialogo che si aprì, portò i mafiosi a pensare che erano relatori (i carabinieri, ndrdi un messaggio istituzionale. Questo è un fatto di rilevanza nazionale”, ha puntualizzato il giornalista. Nonostante ciò, sia Mori che Subranni che De Donno sono stati assolti per non aver proprio trattato secondo i giudici ermellini.

Il risultato è sempre quello che quando si tratta di uomini di Stato e colletti bianchi è molto difficile che si arrivi a condanna. Quando si tratta invece di mafiosi è molto più semplice”, ha commentato Gomez. Ad ogni modo, al di là delle assoluzioni, il processo andava fatto comunque secondo Marco Lillo “perché c’è stata una sentenza di primo grado che andava in senso opposto e che ha un’argomentazione stringente dal punto di vista logico”, ha detto il direttore di Paper First. “Il fatto che giudici di alto livello come Montalto, che si occupa di mafia di tantissimi anni, abbia ritenuto che quei fatti devono avere una comprensione giuridica diversa è già una risposta alla domanda se valeva la pena fare questo processo”. Inoltre, un secondo motivo “per cui secondo me non è stato inutile” è dovuto al fatto che “sono emerse cose enormi grazie a questo processo”. “Anzitutto – ha ricordato Lillo – le intercettazioni fatte al Capo dei Capi Totò Riina (mentre era detenuto al 41bis, ndrhanno consegnato delle verità storiche sulle quali ci dobbiamo confrontare. Abbiamo la confessione di Riina su gravissimi fatti di sangue, abbiamo la spiegazione di rapporti con personaggi importanti legati alla mafia e lo sappiamo grazie a intercettazioni disposte dai pm di questo processo”, ha ricordato ancora il giornalista. “Poi abbiamo un patrimonio conoscitivo enorme grazie alle intercettazioni disposte su Giuseppe Graviano, fatte sempre al 41bis. Graviano che fu personaggio chiave, secondo l’accusa, della seconda fase della trattativa con Forza Italia e Berlusconi.
Abbiamo avuto deposizioni importanti come quella di 
Luciano Violante su Balduccio Di Maggio e sull’arresto di Totò Riina. Noi tuttora non siamo riusciti a ricostruire come è stato effettivamente arrestato Riina, e se sappiamo qualcosa in più lo sappiamo grazie a questo processo. Dobbiamo storicizzare la sentenza di ieri e vedere anche altri casi del passato, basta vedere quanti verdetti altalenanti ci sono stati sulla strage di Piazza Fontana o su quella di Bologna, nessuno però può ritenere inutile questi processi anche se terminati con assoluzione”.

La sentenza d’appello tra fatti sviscerati e illogicità
Sempre commentando il processo Trattativa, Lillo, Abbate, Pipitone e Gomez hanno sollevato critiche sulle valutazioni dei giudici d’appello che assolsero i carabinieri (perché il fatto non costituisce reato) e Dell’Utri (“per non aver commesso il fatto”).
Torniamo all’appello che ora è stata annullata senza rinvio, parliamo dell’ultimo grado conosciuto con motivazione. Quella motivazione dice che non è reato quello dei carabinieri perché non è vero che hanno trattato con Riina ma hanno di fatto trattato, si sostiene, con l’ala meno stragista di Provenzano per arrestare Riina”, ha riassunto Marco Lillo. “E poi i giudici portavano una serie di esempi come la mancata perquisizione del covo di Riina e una serie di fatti tutti non considerati reato secondo altre sentenze che però venivano rilette in quella sentenza”.

Noi – ha ricordato Lillo – abbiamo commentato queste valutazioni con alcuni storici come Paolo Mieli. E ci siamo chiesti: E’ legittimo andare a trattare con il meno cattivo o avendo un occhio di riguardo verso di lui, verso i suoi familiari e verso anche i boss? Queste questioni qui nella sentenza d’Appello sono state sviscerate”. “C’è forse stata un’attenzione maggiore rispetto agli stragisti di Riina e una minore rispetto a quella di Provenzano che ha garantito la pax?”. Continuando sull’analisi della sentenza della corte d’Appello di Palermo, Peter Gomez ha ripreso parola e ha ricordato che Dell’Utri (condannato in primo grado insieme agli altri ex imputati) è stato assolto con “motivazioni del tubo cioè che non è provato il fatto che abbia trasmesso a Silvio Berlusconi le minacce”. “Io stesso – ha continuato – avevo notizie che Dell’Utri era tornato a vivere ad Arcore in quelle settimane, lo sappiamo tutti. E i giudici che in secondo grado lo hanno assolto con quelle motivazioni si devono semplicemente vergognare perché vuol dire di nelle sentenze puoi scrivere quello che vuoi”, ha denunciato. “Non si tratta di non poteva non sapere, si tratta di ignorare un fatto noto, cioè il fatto che abbiano fondato un partito insieme, che abbiano fondato Publitalia insieme, che siano stati culo e camicia tutta la vita e che come lui (Dell’Utri, ndr) fu da tramite per le estorsioni mafiose, lui non può essere stato zitto. E non hai bisogno di provarlo perché la prova logica esiste nel nostro diritto. E allora la verità è che questi giudici sono conformisti. E se non cominciamo a dirla questa cosa finiamo così. Ci sono sentenze giuste altre schifose”. Sulla questione è intervenuto anche Pipitone sollevando un’altra illogicità riguardo alla sentenza con cui venne condannato per concorso esterno. “Praticamente Dell’Utri diceva: mi hanno condannato fino al 1992, mi metto a fare politica e quando inizio a farlo, che avrei potuto servire di più a Cosa Nostra, secondo la sentenza questa cosa fa? Mi molla?”.
Quella è stata una sentenza politica, bisognava salvare Forza Italia e Berlusconi. Non dobbiamo inginocchiarci di fronte a ogni sentenza”, ha affermato poi Peter Gomez.
A distanza di 30 anni sarà molto complicato trovare prove e un collaboratore delle istituzioni che possa raccontare dall’interno quello che avvenne veramente”, ha ragionato Lirio Abbate che ha poi lasciato parola a Marco Lillo. “Siamo noi a dover dare risposte non i magistrati anche perché nel passato, nei processi per la strage di piazza Fontana e stazione di Bologna, sono state sbagliate. Dobbiamo prendere atto di questa sentenza ma dobbiamo capire cosa accadde negli anni ’90 e questa non è una questione penale ma politica. Il processo penale serve per accettare un capo di imputazione”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

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fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/309-topnews/95173-abbate-trattativa-i-fatti-restano-ros-tratto-con-ciancimino-mentre-lo-stato-era-in-ginocchio.html