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A proposito di intercettazioni telefoniche…

Intercettazioni, tra interesse pubblico e privacy

Diverse indagini giudiziarie, in Italia e all’estero, sono nate dall’ascolto delle telefonate di politici e non solo. Il loro uso, al contrario di quanto sostiene il centrodestra, dovrebbe essere implementato. Ciò che si dovrebbe invece valutare è se, caso per caso, debba prevalere il diritto alla tutela del privato oppure quello all’informazione, facendo si che fatti penalmente irrilevanti e politicamente non significativi non siano resi pubblici

Nel commentare le ultime vicende giudiziarie, alcuni esponenti del centrodestra hanno lamentato un utilizzo eccessivo delle intercettazioni. Non si comprende, tuttavia, in cosa si sarebbero tradotti tali eccessi: certamente le intercettazioni hanno consentito di far emergere numerosi fatti che, ove confermati in giudizio, costituirebbero dei gravi reati, nonché di acquisire importanti elementi di prova contro un nutrito numero di politici.

È vero, invece, che solo grazie alle intercettazioni è stato possibile dar corso alle indagini giudiziarie delle quali si discute, così come è vero che le intercettazioni costituiscono l’unico mezzo che consente di accertare molti reati particolarmente gravi e socialmente allarmanti, quali quelli contro la pubblica amministrazione e quelli connessi con la criminalità organizzata, ambiti sovente strettamente connessi, considerato che per realizzare i suoi fini la criminalità organizzata ha di norma necessità di connivenze o del concorso di coloro che ricoprono posizioni di vertice nella vita pubblica.

Il caso del governatore dell’Illinois, intercettato ed accusato di aver messo in “vendita” il seggio di senatore di quello Stato, liberato dal Obama, dimostra che anche negli altri paesi si ricorre a tale strumento di indagine, la cui efficacia è indiscutibile. Negli Stati Uniti, tuttavia, a differenza di quanto avviene nel nostro Paese, a nessuno viene neppure in mente di lamentare un’invasione di campo: semplicemente, il politico coinvolto viene arrestato ed invitato dal suo partito a dimettersi dalla carica.

Un ulteriore esempio sempre tratto dai recenti fatti di cronaca è costituito dalle dimissioni del capo del governo belga, coinvolto in uno scandalo giudiziario in quanto accusato di aver fatto pressioni sulla magistratura locale affinché questa confermasse la validità della cessione delle quote di maggioranza di un’importante banca belga ad un gruppo bancario francese.

L’utilizzo delle intercettazioni, pertanto, anziché limitato in ragione della gravità dei reati commessi e sotto il profilo delle modalità e dei tempi di utilizzo – come propone l’attuale maggioranza politica, spesso nell’imbarazzante silenzio dell’opposizione – dovrebbe essere esteso ed implementato.

Semmai, ma questa è un’altra questione, specie con riguardo ai fatti penalmente irrilevanti ma politicamente significativi, che emergono dalle intercettazioni, si tratta di valutare volta per volta se debba prevalere il diritto alla privacy dell’uomo politico o dell’amministratore coinvolto oppure il diritto all’informazione del cittadino/elettore ed il diritto di cronaca. È un conflitto noto e ampiamente affrontato dalla giurisprudenza con riguardo ad altre categorie di soggetti (attori, personaggi pubblici, ecc.) e che potrebbe trovare corretta soluzione in ambito giurisprudenziale anche per quanto attiene alle ipotesi in cui tale conflitto veda coinvolto un politico.

A garanzia dell’imputato, si dovrebbe inoltre valutare l’opportunità di stabilire che le intercettazioni telefoniche ed ambientali restino secretate almeno sino ad una certa fase del processo, per esempio, il dibattimento, al fine di consentire un controllo e dunque una garanzia anche in merito all’affidabilità delle trascrizioni, con la conseguenza che la loro diffusione, anche a mezzo stampa, prima di tale fase integri un reato. Attualmente, infatti, la frequente fuga di notizie durante le indagini e la loro diffusione a mezzo stampa da luogo a processi mediatici sommari che non giovano a nessuno ed ancor prima non giovano all’immagine della magistratura.

Nel merito, si tratta inoltre di valutare la sussistenza di un legittimo interesse dell’opinione pubblica a conoscere il loro contenuto. In linea di principio, mi pare corretto affermare che i fatti penalmente irrilevanti e politicamente non significativi non possano essere portati a conoscenza dell’opinione pubblica. Saranno rilevanti politicamente quei fatti che, essendo attinenti al profilo politico, pubblico e sociale del politico coinvolto, il cittadino/elettore ha un legittimo interesse a conoscere al fine di poter formare la sua opinione politica e determinare la sua scelta, anche con il volto. Non rileveranno, invece, quei fatti attinenti esclusivamente alla sfera privata, rispetto ai quali l’interesse è rappresentato dalla mera curiosità, spesso morbosa, dell’opinione pubblica -insito, a quanto pare, nella natura umana – a conoscere i fatti degli altri. Certo non sempre la linea di confine sarà chiara, ma sul punto si potrà fare riferimento al contributo capillare e costante della giurisprudenza.

Conseguentemente, i soggetti che abbiano resi pubblici tali fatti privati (perché irrilevanti penalmente e politicamente non significativi) potranno essere condannati a risarcire tutti i danni subiti dal soggetto interessato. Tuttavia, poiché sovente i profitti conseguiti con l’illecita pubblicazione delle notizie potrebbero superare, anche di gran lunga, le somme liquidate al soggetto leso a titolo di risarcimento del danno, al fine di scoraggiare il fenomeno dovrebbero essere previsti dei rimedi adeguati. A tal fine, per esempio, si potrebbero stabilire delle sanzioni pecuniarie aggiuntive rispetto al risarcimento riconosciuto al danneggiato e commisurate ad un multiplo dei profitti ottenuti dal soggetto che ha diffuso le notizie. Le somme corrisposte a titolo di sanzioni pecuniarie potrebbero essere attribuite, eventualmente con una destinazione specifica (per esempio, l’amministrazione della giustizia, che tanto ne ha bisogno), allo Stato, riservando eventualmente una quota delle stesse al danneggiato che ha promosso l’azione.

Per quanto concerne, invece, tutti i fatti politicamente significativi, mi pare corretto affermare che in tali casi debba prevalere sul diritto alla privacy del politico coinvolto il diritto del cittadino/elettore all’informazione ed il diritto di cronaca. D’altronde, un noto brocardo latino recita, significativamente, cuius commoda, euis et incommoda: nel caso specifico, a grandi poteri, fanno da contraltare grandi responsabilità e, al contempo, un arretramento della sfera privata.

Vicende che se riferite ad un comune cittadino sarebbero prive di qualsiasi rilevanza sociale e, dunque, non coperte dal diritto di cronaca ed all’informazione, potrebbero invece assumere enorme rilevanza sociale e politica ove riferite ad un politico e, più in generale, ad un soggetto che ricopre incarichi pubblici. Un esempio chiarificatore per tutti. Presumibilmente, la vicenda che vide coinvolto il Presidente degli Stati uniti d’America Bill Clinton e la sig.ra Monica Lewinsky sarebbe stata coperta dal diritto alla privacy (e non avrebbe potuto essere oggetto del diritto di cronaca ed all’informazione) ove avesse avuto quali protagonisti due soggetti qualunque, mentre a nessuno è mai venuto in mente di affermare che i rapporti fra Clinton e Lewinsky non potessero essere portati all’attenzione dell’opinione pubblica.
Franco Bandiera, Avvocato e professore associato di Diritto privato presso l’Università degli Studi di Cagliari

(tratto da www.aprileonline.info)