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A noi dell’Associazione Caponnetto non servono chiacchiere ed analisi politiche o sociologiche. Noi siamo un’Associazione antimafia non di regime che opera al fronte ed ha bisogno di fatti, segnalazioni di nomi e cognomi da segnalare, poi, a chi di dovere, pronta anche, poi, a DENUNCIARE eventualmente anche chi deve agire e non agisce. NOI SIAMO E VOGLIAMO ESSERE SEMPRE PIU’ L’ANTIMAFIA SERIA, QUELLA DELLA DENUNCIA E DELLA PROPOSTA, non quella della retorica, delle chiacchiere, delle commemorazioni che servono solo a distrarre l’attenzione del pubblico allocco per tentare di salvare l’immagine di una partitocrazia e di istituzioni pienamente responsabili di quanto registriamo in Italia. Se la mafia è diventata Stato la colpa maggiore è proprio della politica e di queste istituzioni. Non dimenticatelo mai. Ecco perché noi stiamo concentrando i nostri sforzi sull’indicazione a tutte le persone in buonafede, interne ed esterne all’Associazione Caponnetto, di UN NUOVO MODO DI FARE ANTIMAFIA E COMUNICAZIONE. Niente chiacchiere, niente analisi politiche, niente sociologia, ma DENUNCIA, DENUNCIA, DENUNCIA. E PROPOSTA, ovviamente.

SI TRATTA DI UN SUNTO DEL DOCUMENTO CHE NOI DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO ABBIAMO PREPARATO PER SOTTOPORLO ALL’ATTENZIONE DEI GRUPPI PARLAMENTARI CHE VORRANNO CONFRONTARSI CON NOI.
POCHI PROBLEMI, COME SI VEDE, PER NON CONFONDERE LE IDEE DEI NOSTRI INTERLOCUTORI, PROBLEMI LA CUI SOLUZIONE NOI RITENIAMO FONDAMENTALE PER COMINCIARE A FARE UNA LOTTA SERIA ALLE MAFIE.
PER ONESTA’ INTELLETTUALE DOBBIAMO RENDERE NOTO CHE SOLAMENTE IL GRUPPO PARLAMENTARE DEL MOVIMENTO 5 STELLE HA VOLUTO INCONTRARE UNA NOSTRA RAPPRESENTANZA MENTRE TUTTI GLI ALTRI, A COMINCIARE DAL PD, HANNO, COME AL SOLITO, FATTO ORECCHIE DA MERCANTE..
E, POI, IN TEMA DI LOTTA ALLE MAFIE FANNO I SOLITI BLA BLA INCONCLUDENTI, SCAPPANDO QUANDO INDICHI AD ESSI I PROBLEMI REALI DA AFFRONTARE E RISOLVERE. IRRESPONSABILI!
AL GRUPPO PARLAMENTARE DEL M5S, OLTRE A QUESTO DOCUMENTO, NE ABBIAMO CONSEGNATO UN SECONDO CHE CONTIENE ALCUNI ELEMENTI PARTICOLARI UTILI AI FINI DI INTERROGAZIONI E MOZIONI.
UNA NOSTRA CHIOSA:
DA TEMPO, COME AVRANNO NOTATO TUTTI COLORO CHE CI SEGUONO, CI STIAMO SFORZANDO DI FORNIRE A TUTTI UN TIPO DIVERSO DI COMUNICAZIONE.
LO STIAMO FACENDO PER DUE FINI: INTERNI ED ESTERNI.
INTERNI, IN QUANTO VOGLIAMO FORMARE SEMPRE PIU’ GLI ADERENTI ALL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO AD ESSERE PIU’ SELETTIVI E PRAGMATICI.
QUALCUNO PREFERISCE DIRE ” OPERATIVI”
A NOI NON IONTERESSA L’ANTIMAFIA DELLA RETORICA, DELLE COMMEMORAZIONI, DEL RACCONTO.
A NOI INTERESSA, INVECE, L’ANTIMAFIA SERIA, QUELLA DELLE DENUNCIA E DELLA PROPOSTA E VOGLIAMO, QUINDI, CHE I NOSTRI AMICI CI INVIINO NOTE CHE SIANO IN LINEA CON I NOSTRI INDIRIZZI:
MA LO FACCIAMO ANCHE PER FINI ESTERNI DOPO CHE ALCUNI RAGAZZI DI UNA REGIONE DEL NORD DEL PAESE CI HANNO INVIATO UNA NOTA CON LA QUALE, DICHIARANDOSI “STUFI DI FARE UN’ANTIMAFIA DEL NULLA CHE NON CONSENTE DI PARLARE DEI PROBLEMI REALI DELL’OGGI E NON SOLO DEL PASSATO”, CI CHIEDONO ” COME SI FA UN’ANTIMAFIA SERIA”..
ECCO: UN’ANTIMAFIA SERIA INTANTO SI FA ROMPENDO OGNI LEGAME CON LA PARTITOCRAZIA DI QUALUNQUE COLORE E CON LE ISTITUZIONI PERCHE’ E’ PROPRIO LA’ CHE SI TROVA LA MAFIA PIU’ PERICOLOSA, QUELLA CHE SI E’ FATTA STATO.
SE PRENDI UN SOLO EURO O UN SOLO PRIVILEGIO DA COSTORO, PUOI FARE SOLAMENTE UN’ANTIMAFIA FINTA MA NON REALE.
E, POI, DALL’ANTIMAFIA RETORICA E COMMEMORATIVA DEVI PASSARE ALL’ANTIMAFIA DELLE DENUNCIA FIORNALIERA, DI FATTI E NOMI SPECIFICI, PRONTI, PERALTRO, A DENUNCIARE ANCHE I RESPONSABILI DI QUEGLI UFFICI, PRESIDI DI POLIZIA, PROCURE CHE DOVESSERO RENDERSI RESPONSABILI DI OMISSIONI O CARENZE DI OGNI GENERE.
QUESTA E’ LA VERA ANTIMAFIA.
TUTTO IL RESTO E’… ” ANTIMAFIA DI REGIME”!!!
A NOI DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO NON SERVONO LE CHIACCHIERE!!!

Associazione per la lotta contro le illegalità e le mafie
“Antonino Caponnetto”
Nell’attuale “agenda” politica la fondamentale questione del contrasto alle mafie è, purtroppo, del tutto assente. Basta prendere in esame i programmi di tutte le formazioni e da nessuno una parola. Di più: negli otto – dieci punti di “emergenza” elaborati dai partiti quale accordo di governo, non si riscontra alcun accenno a tale questione. E mentre l’attenzione politica è pari a ZERO, il potere delle mafie, invece, cresce a dismisura; un tumore che divora l’intera penisola, controlla capillarmente ampie fette del territorio nazionale esautorando giorno dopo giorno interi comparti e settori economici: le mafie, ormai, sono alta finanza, istituzioni (ormai abbondantemente contaminate), Stato.
Non si tratta più di contrasto a un potere antistatuale: la mafia si è fatta Stato, è dentro lo Stato. Un dato su tutti (documentato, per fare un solo esempio, dalle analisi e denunce di Elio Veltri, animatore del movimento Democrazia Legalità e autore di alcuni testi sull’argomento): l’economia “illegale” sta sopravanzando quella “legale”, a livello di numeri e fatturati. In soldoni, l’economia illegale (capitali mafiosi e riciclati, economia da lavoro in nero, capitali evasi) ha un valore (sic) pari a circa il 40 per cento di quella legale. In questi termini, sembrano sempre più illuminanti le parole di un autentico studioso dell’economia illegale, Amato Lamberti (scomparso un anno fa), che parlava, già una quindicina d’anni fa, di mafia come la vera Fiat del Sud: figuriamoci adesso, con i passi da gigante compiuti dalle mafie negli ultimi anni (e ancor più da alcuni anni, con un’economia legale sempre più in ginocchio per la gravissima crisi economica). In tutto ciò, gli strumenti di contrasto sono sempre più spuntati, pochi i mezzi, poche le forze impiegate, spesso sbagliati gli indirizzi; una situazione che lascia trasparire sullo sfondo, una sempre più precisa non-volontà politica di intervenire. Del resto, si può mai chiedere ai capponi di anticipare il Natale? Si può mai pretendere da quella classe politica troppo spesso nata dal voto mafioso e cresciuta a botte di contiguità-collusioni-connivenze, di far leggi contro se stessa e i suoi sodali???
Tutto ciò detto e premesso, riteniamo utile, e doveroso, fornire alcune possibili linee di indirizzo, per una seria e concreta azione di contrasto che vada al di là di opportunistiche quanto inutili celebrazioni o lezioncine sulla legalità
1) – DEL CONCORSO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA. L’esecutivo appena insediato non ha speso una sola parola per un’auspicabile (ma nei fatti inesistente) azione di contrasto alle mafie. Anzi il disegno di legge per dimezzare le pene per il “CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA” presentato dal PDL, e per ora accantonato per le polemiche, andava in senso esattamente contrario: le pene sarebbero diventate ridicole e tali da far in modo che in galera il “colluso” non ci andasse mai, In sostanza, un vero e proprio disco verde per mafie, mafiosi e collusi (spesso eccellenti).
Basti ricordare che negli ultimi anni sono passate per la Cassazione (firmate in particolare dal Presidente della Seconda Sezione Penale della Suprema Corte, Antonio Esposito) importantissime sentenze a carico di “colletti bianchi” (politici, medici, ingegneri, avvocati e, purtroppo, anche magistrati), tutti inquisiti e condannati per concorso esterno, che hanno costituito un vero e proprio (giusto) “grimaldello” per cercare di scalfire quel muro che protegge e rafforza le mafie nella loro conquista non solo dei territori, ma, soprattutto, di larghe fette dell’economia, penetrando nella società, acquisendo consensi e potendo contare, perfino, su “sponde” nel mondo giudiziario. Una chiave – quindi – il concorso esterno, indispensabile per colpire “al cuore” le mafie colpendo lo strategico contorno, quella zona grigia, sempre più vasta, fatta di colletti bianchi che contano e pezzi da novanta del mondo politico, economico, professionale. Ben si comprende, quindi, che qualora la proposta venisse ripresentata, un “colpo” del genere – il dimezzamento delle pene – sarebbe letale per l’azione di contrasto alle mafie. Con l’aggravante che al fine di provare il vincolo associativo, occorrerebbe – sempre stando alla proposta del senatore Pdl Luigi Compagna – provare il “beneficio economico” che l’associato ha avuto: circostanza del tutto folle, come se le mafie pagassero con bonifici o assegni bancari i loro aficionados!!! Siamo ai confini della realtà; alla prova provata che il Governo Letta appena insediato non ha la benché minima volontà di colpire le mafie ed anzi agisca al fine di indebolire l’azione di contrasto. Quindi occorre che i parlamentari seriamente interessati ad un concreto contrasto al fenomeno mafioso vigilino attentamente affinché questo abominio non vada in porto, anche in forme surrettizie o mascherate. Se mai, si adoperino affinché quelle pene siano INASPRITE e venga facilitata la dimostrazione (e non resa impossibile con “il beneficio economico”) del vincolo associativo!
2) – LE CONFISCHE. E’ uno dei nodi centrali, di cui si parla inutilmente da anni, senza trovare una soluzione (proprio per la specifica mancanza di volontà politica di cui sopra). È. Infatti, dai tempi della legge Rognoni-La Torre – quindi inizio anni ’80, oltre trent’anni fa – che si è posto il problema senza, di fatto, individuare una soluzione realmente efficace. I processi ultradecennali fanno sì che i tempi per passare dai sequestri alle confische siano estremamente lunghi, e quando alla fine – in una piccola parte dei casi – il fiasco finale, con una non gestione o malagestione dei beni. Quindi, oltre al danno, la beffa. Una situazione inaccettabile soprattutto perché è ormai dato acclarato che proprio aggredendo al cuore economico le mafie si possono ottenere i maggiori risultati: aggredire il nemico sul suo terreno, che è quello dei soldi, economico-finanziario. Al tempo stesso, soprattutto in un tragico momento economico per il Paese come l’attuale, l’introito dalle confische può rappresentare un grosso sollievo per le esangui casse pubbliche.
Il punto è, quindi, dar corpo e gambe, in tempi estremamente celeri, ad una NUOVA ED EFFICACE LEGGE in tema di CONFISCA dei BENI MAFIOSI, che riveda le burocrazie e le farraginosità attuali, dia certezza dei TEMPI e dei RISULTATI in termini economici; una legge che non sia una finzione (come capitato spesso con la pratica “restituzione” – anche via aste taroccate – dei beni a prestanome degli stessi mafiosi “confiscati”), ma un concreto strumento di lotta antimafia. In due parole: RIFARE una NORMATIVA semplice, agile, non burocratica, ma inattaccabile e soprattutto efficace: capace, cioè, di raggiungere gli obiettivi originariamente previsti ma regolarmente mai raggiunti, anzi calpestati.
3) – APPALTI E SUBAPPALTI. Da anni si è posto il problema della necessità di varare una concreta ed efficace normativa sugli appalti che contenga specifiche norme atte a contrastare l’infiltrazione mafiosa. Gli appalti pubblici, infatti, essendo un settore in cui confluiscono enormi flussi di denaro, costituiscono un settore estremamente appetibile sia per la criminalità organizzata. La crisi economica in atto, non ha fatto che amplificare tale importanza e la mancanza di liquidità e di credito che ne è discesa ha reso tale settore terreno sempre più fertile per l’infiltrazione delle organizzazioni mafiose nell’economia legale. Purtroppo, però, in tale settore trasparenza e legalità sono totalmente carenti, a partire, in particolare, da quelle tipologie di lavori che sono diventati, nel tempo, veri e proprio “feudi” per le mafie: movimento terra, calcestruzzo, nolo a freddo di macchinari, autotrasporti, guardianie, edilizia, infrastrutture ed ancor di più, per citare due esempi eclatanti, il mega business dei rifiuti e l’arcipelago delle commesse in campo sanitario (apparecchiature, forniture ospedaliere, lavanderie, mense etc). Un meccanismo ormai consolidato in cui alle imprese che gareggiano per gli appalti pubblici (da quelli medio piccoli e quelli giganteschi, come, ad esempio, tanto per citare un caso
su tutti, l’Alta velocità) viene chiesto solamente il solito e, per come viene rilasciato, ormai obsoleto certificato antimafia che riescono ad ottenere (immacolato) anche le imprese di mafia e camorra con qualche santo in paradiso (o meglio in prefettura).
Appare evidente, anche alla luce di queste poche considerazioni, come occorra RIVEDERE alla RADICE tutta la NORMATIVA sugli APPALTI per porre maglie più strette atte ad arginare, per quanto possibile, il fenomeno di infiltrazione. In tale contesto non risultano certo sufficienti le Stazioni Uniche Appaltanti (SUA), peraltro mai entrate in funzione a pieno ed in modo capillare, che seppure utili ad evitare l’eccessiva parcellizzazione delle gare, rischiano, se non si pongono precise norme di funzionamento e non si rendono obbligatori, nel contempo, i meccanismi di controllo e verifica approfonditi sulle varie società coinvolte a diverso titolo nelle procedure di appalto, la concentrazione nel SUA dell’intera procedura e l’azione di monitoraggio dell’andamento dell’appalto (Es. ricorso eccessivo ai subappalti e/o alle varianti in corso d’opera al fine di far lievitare i costi), di diventare mere ripetizioni di meccanismi poco trasparenti e per nulla garantisti (per le imprese ancora non contaminate). Va inoltre riformata la partecipazione agli appalti pubblici e/o alla forniture di merci e servizi delle società fiduciarie e/o anonime, vera e propria zona d’ombra ai fini della verifica di eventuali infiltrazione mafiose e per una trasparente tracciabilità dei capitali.
È, infatti, evidente che una seria azione di contrasto di eventuali infiltrazioni non può prescindere dal fatto che le Amministrazioni debbano conoscere i propri interlocutori, nella fattispecie, l’impresa o l’eventuale subappaltatore, onde verificare la serietà morale della stessa e dei suoi soci, diretti ed indiretti ed abbia certezze circa la provenienza dei capitali investiti.
Infine un ruolo centrale nella prevenzione e nel contrasto della corruzione e delle infiltrazioni mafiose è assunto dal principio di trasparenza, strumento essenziale per assicurare i valori costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento delle pubbliche amministrazioni, per favorire il controllo sociale sull’azione amministrativa e sul rispetto del principio di legalità, tanto che l’adempimento egli obblighi di trasparenza da parte di tutte le pubbliche amministrazioni rientra, secondo la legge, nei livelli essenziali delle prestazioni disciplinati nella Costituzione.
Purtroppo però nonostante siano ormai svariate le leggi che sanciscono l’obbligo delle Pubbliche Amministrazioni di rendere pubblici procedure e provvedimenti, , così come la situazione patrimoniale di quanti a diverso titolo coinvolto nelle amministrazioni, in realtà tale norme, oltre che incomplete, sono quasi completamente disapplicate non essendovi nessuna autorità di monitoraggio e controllo che ne verifichi la puntuale attuazione.
Insomma semplici norme ma che di fatto, se rese chiare, inderogabili e funzionanti, potrebbero costituire la base di una RIFORMA RADICALE della NORMATIVA che regola gli APPALTI PUBBLICI chiudendo definitivamente con l’epoca delle pseudo normative, la cui interpretazione risulta ambigua e le cui maglie larghe consentono agevolmente alle imprese di mafia di dribblarle. Un meccanismo che ha devastato il tessuto sociale ed economico nazionale è che ha originato nei troppi conflitti di interessi e nella presenza, in parlamento, di troppi “politici” di riferimento delle mafie certo non interessati a varare una normativa che va contro i loro stessi interessi (e dei loro sodali).
4) – TESTIMONI E COLLABORATORI DI GIUSTIZIA. Va prevista una rimodulazione della normativa a tutela dei testimoni e collaboratori di giustizia, che nel corso degli anni si è affievolita o – addirittura – non è mai esistita. Tante, troppe, le storie di testimoni di giustizia del tutto abbandonati al loro destino (che può anche essere di morte). Si tratta di persone che hanno “testimoniato” di vicende delle quali sono venute – spesso loro malgrado – a conoscenza, sovente perché hanno assistito ad episodi di sangue. Hanno deciso di collaborare con la giustizia, di raccontare la verità dei fatti, di fare in pieno il loro dovere di cittadini, al contrario di tanti altri che preferiscono ancora voltare la faccia dall’altra parte, chiudere bocche, occhi e orecchi. Nonostante le prime tutele (a base di trasferimenti lontani dai loro luoghi di origine e di residenza/lavoro), poi il nulla: nessuna protezione, nessun futuro, e un presente che può suonare come una condanna, braccati da chi hanno denunciato (o, evidentemente, membri del clan). Stesso destino, molto spesso, per altri “testimoni” bollenti (comunque non etichettabili come testimoni di giustizia né come collaboratori di giustizia): ossia persone che hanno avuto la forza e il coraggio di raccontare agli inquirenti storie di mafia, di riciclaggi, di reinvestimenti illeciti: come – per fare un solo caso – è di recente capitato ad un dipendente di una ditta che per anni ha fatto man bassa di appalti stradali, una vera e propria regina del settore, azienda originaria dell’area vesuviana e allargatasi con appalti in tutta Italia. Il dipendente ha verbalizzato, davanti a svariate procure a numerosi pm, su quanto ha potuto conoscere – era il “contabile” dell’azienda – in quegli anni, ha ricostruito meccanismi, svelato protezioin e collusioni. Ebbene, oggi è SOLO, senza tutele, senza protezione, fuggiasco per mezza Italia. Per questo, è necessario RI-CREARE una legislazione ad hoc, capace di tutelare in concreto – e non al solito a parole – chi decide di mettere in gioco la propria vita (e quella dei propri familiari) per servire lo Stato. Fatti, atti, norme, provvedimenti. Non le solite, liturgiche, ed ormai scontate “adesioni” di facciata.
5) – PRESIDI DDA. La penetrazione sempre più incisiva e pervasiva dei clan nelle regioni del centro-nord, rende necessario predisporre un’adeguata azione
di contrasto sui territori, ad oggi quasi del tutto assente, per il fatto, tra l’altro, che esistono ancora poche DDA (Direzioni distrettuali antimafia) sul territorio nazionale. Prendiamo il caso del Lazio, territorio in cui ormai da anni, le mafie si sono radicate ed hanno infiltrato il tessuto economico/sociale ed in cui insiste solo la DDA di Roma, poi il deserto. Ad esempio, in una procura di frontiera come quella di Cassino (con un tribunale a stento “ripescato” dal taglio) dove corrono fiumi di denunce su reati chiaramente mafiosi, non esiste una Dda né un solo Pm antimafia. Il che la dice lunga – ancora una volta – sulla reale volontà politica di fronteggiare il fenomeno. I Pm locali che si trovano ad affrontare il problema, nel migliore dei casi, sono costretti a chiedere una co-delega alla Dda più vicina, nel peggiore, chiudono gli occhi; una situazione che riduce l’azione antimafia alla raccolta del mare col secchiello. Lo stesso discorso vale un po’ per tutte le aree del Paese: possibile che non vi siano presidi antimafia nelle procure che si trovano in quei territori ormai invasi dalle mafie? Possibile chiudere sempre non uno, ma due occhi? E’ NECESSARIO, quindi, che a livello legislativo e normativo, venga prevista l’istituzione di DDA localizzate strategicamente su tutto il territorio nazionale: non una dislocazione a vanvera, posta in essere tanto per mettere una pezza a colori su un cancro ormai quasi inarrestabile. Ma precisi presidi DDA nei principali capoluoghi di regione dove le mafie hanno ormai allungato – e da anni – i loro tentacoli. Inoltre, al fine di coadiuvare il lavoro dei magistrati della DDA con un necessario e valido supporto investigativo specialistico, occorrerebbe prevedere anche l’istituzione di nuclei DIA presso i commissariati e le compagnie CC e GDF, operanti nelle zone, per così dire, “sensibili”. Ciò consentirebbe, tra l’altro, di tenere sotto monitoraggio il fenomeno della corruzione che alligna, purtroppo (e lo diciamo per esperienza), anche nell’ambito delle Forze dell’Ordine.
6) – IL RUOLO DELLE PREFETTURE. Altro punto-base è rappresentato dalla necessita di maggiore trasparenza, in organismi vitali sul fronte dell’ordine pubblico e, quindi, del contrasto antimafia, come le Prefetture. Vale ricordare che lo stesso Capo dello Stato, quando ricopriva la carica di Ministro degli Interni, inviò una circolare a tutte le Prefetture, affinché nei Comitati Provinciali per l’Ordine Pubblico, attivati presso le stesse Prefetture, venisse inserito un rappresentante della Dda, quindi un magistrato antimafia. Quella circolare di Napolitano è rimasta lettera morta, mai applicata. E’ necessario, in un momento di particolare forza (soprattutto economica) delle mafie, realizzare quell’obiettivo e andare molto oltre.
In particolare, è necessario vengano attivati a livello territoriale/comprensoriale organismi ad hoc (“osservatori”) capaci di monitorare in modo capillare la presenza di fatti anomali (quali ingenti flussi di capitali sporchi in un momento di scarsissima liquidità, eccesso di varianti in corso d’opera negli appalti delle
grandi infrastrutture, etc). Organismi che vedano la presenza di Comuni, enti locali, forze dell’ordine, inquirenti, associazioni di categoria e antimafia. La non-presenza, in tali organismi, di Comuni ed enti locali sarebbe già sintomo di “non gradimento” (quindi di possibile “contaminazione”, quanto meno). Altro problema è riscontrabile nell’individuazione delle Giunte Commissariali nominate a seguito di scioglimento di comuni per infiltrazioni mafiose. È, infatti, sempre più frequente il caso di scioglimento di Comuni per infiltrazioni mafiose: fenomeno frequente soprattutto nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa, ma ormai sempre meno inusuale in altre regioni. Bene continuare su questa strada e procedere ad un monitoraggio sempre più efficace. Ma va segnalato, con preoccupazione, un altro – ancor più insidioso – fenomeno: quello che nelle amministrazioni sciolte dopo il lavoro della Commissione d’Accesso e il provvedimento siglato dal Ministro degli Interni, s’insedi una Giunta Commissariale (per il tempo necessario ad indire poi nuove elezioni), a volte se non peggiore, quanto meno “non migliore” della giunta estromessa. Ciò è tanto più grave in quanto avviene sotto l’egida statale, per mano delle Prefetture. E’ necessario, quindi, prendere adeguati provvedimenti normativi. E cioè far sì che venga istituito – presso la Direzione Nazione Antimafia – un comitato ad hoc, che controlli e dia il suo ok su tutto quanto ha a che vedere non solo con lo scioglimento dei Comuni e di altri enti locali (ad esempio le ASL, ormai al sud preda delle cosche), ma soprattutto con l’insediamento dei nuovi organismi, seppur provvisori. E’ un’emergenza sempre più avvertita sui territori, e in modo particolare da quei funzionari ancora “fedeli” dello Stato, che – per il sol fatto di cercar di fare il loro dovere – vengono regolarmente marginalizzati e delegittimati. Un’emergenza che, però, al solito è assente nell’agenda politica del Parlamento.