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A NOI DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO – CHE CI RITENIAMO LIBERI ED INDIPENDENTI DA TUTTO E DA TUTTI NON CHIEDENDO,PERTANTO , SOLDI ,AGEVOLAZIONI O CONVENZIONI A CHICCHESSIA E TANTO MENO ALLE ISTITUZIONI – LE POLEMICHE E LE BEGHE POLITICHE INTERESSANO POCO O NIENTE,G GIUDICHIAMO LA GENTE,QUINDI,DAGLI ATTI CHE COMPIE E GLI ATTI SONO QUESTI,COME ANCHE IL BLOCCO DEI FONDI PER LE VITTIME DI MAFIA,IL TRATTAMENTO VERGOGNOSO RISERVATO AI TESTIMONI DI GIUSTIZIA,AI GIORNALISTI LIBERI ED A TUTTI COLORO CHE COMBATTONO CON I FATTI, – L’INDAGINE E LA DENUNCIA,NOMI E COGNOMI-, E NON SOLO CON LE CHIACCHIERE CONTRO LE MAFIE MILITARI,ECONOMICHE O POLITICHE CHE ESSE SIANO.

 

I fascicoli del processo “Mafia Capitale” (Getty Images/Alberto Pizzoli)

21 Marzo Mar 2016

Se sul sito del governo italiano si cercano notizie della “Commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità”l’unica pagina che viene fuori è quella degli auguri per l’insediamento del gruppo di lavoro presieduto dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri. Era il 30 luglio 2014. La Commissione, voluta dal governo Renzi, ha lavorato per cinque mesi. E a gennaio 2015 ha depositato la bozza con le proposte di riforma delle norme per potenziare la lotta alle mafie. Ma a più di un anno di distanza, mentre si celebra la 21esima giornata in ricordo delle vittime di mafia, quelle proposte sono rimaste proposte.

Di quella bozza non si è fatto nulla. Anche se, come ha detto Gratteri a Linkiesta, gran parte di quel documento si potrebbe approvare con un decreto legge. E con queste modifiche legislative, «in quattro o cinque anni si potrebbero vedere i primi risultati».

Tra i 15 membri della Commissione, c’erano magistrati, avvocati e docenti universitari di diritto penale. Tutti hanno lavorato gratuitamente. E alla fine è venuta fuori un documento di 266 pagine che propone la modifica di 150 articoli, tra codice penale, codice di procedura penale e ordinamento giudiziario, per inasprire la lotta alla criminalità, ma «senza alcun sacrificio delle necessarie garanzie difensive per gli imputati».

Da luglio 2014, la Commissione voluta dal governo Renzi ha lavorato per cinque mesi. E a gennaio 2015 ha depositato la bozza con le proposte di riforma delle norme per potenziare la lotta alle mafie. Ma a più di un anno di distanza, quelle proposte sono rimaste proposte

Per prima cosa, Gratteri e colleghi propongono l’inasprimento delle pene per i reati previsti dall’articolo 416 bis. Con particolare riferimento ai boss che guidano i clan, spesso condannati per il solo reato associativo. Il risultato paradossale è che tornano in libertà dopo pochi anni. La proposta è di innalzare le pene a non meno di 12 anni, paragonandole a quelle previste per i narcotrafficanti. Non solo: la Commissione ha proposto anche di rivedere il reato di voto di scambio politico-mafioso, anche qui con un inasprimento della pena, che non deve essere inferiore ai dieci anni. L’intento è quello di colpire i piani alti delle mafie, cercando di recidere il legame con la politica. Le nuove norme prevedono la confisca obbligatoria dei guadagni frutto del malaffare. Anche per i condannati per il reato di autoriciclaggio.

Vengono proposte anche nuove regole per la prescrizione. Dopo la sentenza di primo grado, il reato non potrà più estinguersi.

La Commissione Gratteri ha anche lavorato a una riforma dello strumento delle intercettazioni, prevedendo la possibilità di prolungarne la durata, con l’adeguamento alle nuove tecnologie, e inserendo anche una stretta sulle pubblicazioni («Chiunque, fuori dai casi consentiti, pubblica o diffonde il testo delle intercettazioni o altri documenti di indagine, il cui contenuto sia diffamatorio e che risulti irrilevanti ai fini della prova, è punito con la reclusione da due a sei anni e con una multa da 2mila a 10mila euro»).

Sul fronte delle indagini, viene proposta una più stretta collaborazione tra polizia giudiziaria e servizi segreti, e l’utilizzo di infiltrati delle forze dell’ordine nelle cosche. Anche nelle inchieste sulla corruzione nella pubblica amministrazione. In questo quadro, la polizia penitenziaria non dipenderà più dal Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ma dal ministero della Giustizia e si occuperà in via esclusiva di pentiti e collaboratori di giustizia.

I boss che guidano i clan spesso sono condannati per il solo reato associativo. Il risultato paradossale è che tornano in libertà dopo pochi anni. La proposta è di innalzare la pena a non meno di 12 anni, paragonandola alle pene previste per i narcotrafficanti

Nel documento è prevista anche una riforma dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, che nel progetto della Commissione dovrà avere una sede unica a Roma. Oggi l’agenzia ha ben cinque sedi. A guidarla, secondo la Commissione, dovrebbe essere un manager con l’aiuto di un personale specializzato, selezionato con concorsi pubblici. In modo da evitare, come avviene oggi, il fallimento delle aziende confiscate.

Per tagliare i costi della giustizia, accelerare i processi ed evitare che i detenuti facciano affari tra loro nelle aule di tribunale, la Commissione propone di fare largo uso delle tecnologie. L’idea, come ha detto Gratteri a Linkiesta, è quella di estendere la videoconferenza a tutti i detenuti nelle carceri di massima sicurezza, a qualsiasi titolo, in modo da evitare gli spostamenti da una città all’altra. Spostamenti, che costano 70 milioni l’anno. 

Non solo. Oggi, se un giudice viene trasferito o non può più partecipare a un processo, il procedimento deve ricominciare dall’inizio. La proposta è quella di realizzare video ad alta risoluzione degli interrogatori, in modo da poter essere rivisti e riutilizzati (tranne nei casi in cui ci siano particolari «esigenze difensive e di accertamento»). Gli atti del processo, inoltre, si potranno avere sempre «su supporto informatico e, solo se non disponibile, cartaceo». In questo modo, secondo gli esperti della Commissione, si potrebbero abbattere i tempi del processo del 60 per cento. L’idea è che con un processo più snello e veloce anche le vittime delle mafie sarebbero più incentivate a denunciare.

Il problema è che il testo, depositato nell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi a inizio 2015, per il momento è rimasto inascoltato. Alcune di queste proposte si discutono in Parlamento, ma niente di più. Qualunque parlamentare potrebbe riprendere il documento, facendone una proposta di legge. Ma in un anno nessuno l’ha fatto.

L’idea è che con un processo più snello e veloce anche le vittime delle mafie sarebbero più incentivate a denunciare