” SONO UN COLLABORATORE DEI SERVIZI DI SICUREZZA ED HO AVUTO UN INCARICO DA CHI SI OCCUPA DI INTERCETTAZIONI IN PROVINCIA DI LATINA”.
SONO,QUESTE LE PAROLE PRONUNCIATE DA UN SIGNORE TROVATO IN POSSESSO DI BOBINE CONTENENTI MATERIA DI INDAGINI DELICATISSIME E SEGRETISSIME DELLA DDA DI ROMA SUL SUD PONTINO.
IL PROBLEMA DEI PROBLEMI IN PROVINCIA DI LATINA.
QUANDO SI ARRIVA AD INTERCETTARE QUELLO CHE FA LA DDA CONTRO LE MAFIE CHE DOMINANO IN PROVINCIA DI LATINA ,CI TROVIAMO DI FRONTE A QUALCOSA DI GROSSO,DI ECCEZIONALE.
QUALCHE GIORNALE CAMPANO HA PARLATO IN PASSATO DI “INCONTRI” E “TRATTATIVE ” CHE CI SAREBBERO STATI “IN UNA VILLA DI GAETA” FRA UOMINI DELLE ISTITUZIONI E DELLA CAMORRA.
UN SECONDO “PATTO FRA MAFIA E STATO ” DOPO QUELLO DI PALERMO ?
SE NON SI RIESCE A DARE UNA RISPOSTA A QUESTA DOMANDA NON SI CAPIRANNO MAI LE RAGIONI PER LE QUALI IN PROVINCIA DI LATINA LE STRUTTURE DELLO STATO LOCALI SONO ESTREMAMENTE CARENTI.SE NON ASSENTI, SUL PIANO DELL’AZIONE DI CONTRASTO ALLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA.
C’E’ STATA UNA DICHIARAZIONE FATTA QUALCHE MESE FA DAL PREFETTO DI LATINA DI FRONTE ALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA CHE CI HA DATO IL QUADRO DELLA SITUAZIONE.
ALLA DOMANDA DI UN COMMISSARIO CHE GLI CHIEDEVA QUANTE INTERDITTIVE ANTIMAFIA HA FATTO FINORA LA PREFETTURA DI LATINA EGLI HA RISPOSTO :
“NESSUNA “.
NON C’E’ BISOGNO DI ALTRE PAROLE !!!!!!!!!!!!!!!!!………………….
Da “ Il Fatto Quotidiano”
Mafia capitale e la palude di Latina: tra omertà e minacce, indagare non si può
Mafie
di Andrea Palladino | 13 dicembre 2014
Latina è da decenni un pezzo dello scacchiere delle mafie, dove ‘ndrangheta, Cosa Nostra e camorra si spartiscono affari, pezzi di territorio, conquista del litorale, logistica: “Una presenza ormai radicata e strutturata” avevano spiegato il procuratore della Dda di Roma Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto Michele Prestipino, dopo aver a lungo raccontato l’inchiesta di Mafia Capitale, basando le parole sui tanti fascicoli accumulati dall’antimafia da più di un decennio. Processi che hanno visto imputati – poi condannati – gente del calibro di Zagaria, o i fratelli Tripodo, figli del mammasantissima di Reggio Calabria don Mico, nome storico delle cosche del sud, ucciso nel carcere di Poggio Reale negli anni ’70.
Su una cosa Fazzone non ha dubbi: “Il consiglio comunale di Roma va sciolto per infiltrazione mafiosa”, racconta ai giornalisti a margine della audizioni che la commissione parlamentare ha tenuto oggi. In tanti si guardano negli occhi: “A Fondi era differente – aggiunge, intuendo il paradosso delle sue parole – lì non c’era un solo consigliere comunale condannato, solo un assessore finito nell’inchiesta per problemi personali. Qui le mafie non sono strutturate – spiega – la presenza è la conseguenza di qualche personaggio arrivato da fuori. Non generalizziamo, ne va di mezzo l’economia del territorio”. Una realtà ben lontana da quella disegnata dagli ufficiali che nel 2008 analizzarono le carte del comune del sud pontino, sottolineando in rosso gare d’appalto, procedure extra ordinem, amicizie sospette. Se Roma brucia, Latina per il momento sonnecchia.
Dietro l’aria di festa natalizia che già si respira nelle strade c’è un giudiceminacciato pesantemente, con due manifesti funebri appesi davanti alla scuola delle figlie. Si chiama Lucia Aiello, e fu lei a presiedere la sezione penale che giudicò i mafiosi di Fondi. La commissione parlamentare antimafia l’ha convocata per ascoltare il suo racconto, che viene definito “toccante e intenso”. Uscendo dalla sala della prefettura di Latina spiega di aver ricordato il clima pesante che viveva quando doveva giudicare i fratelli Tripodo di Fondi, poi condannati fino in Cassazione per mafia. Sensazioni che difficilmente può dimenticare, che si mescolano con l’immagine di quei due manifesti funebri che una mano ignota le ha dedicato poco meno di un mese fa. Poi tocca al procuratore Andrea De Gasperis, al presidente del Tribunale e ai comandanti delle forze dell’ordine. Cosa hanno raccontato? “Non chiediamo dettagli sulle indagini in corso, neanche in seduta segreta – spiega il capogruppo del M5s in commissione antimafia Francesco D’Uva – perché c’è sempre il rischio che tra i 50 parlamentari commissari vi possa essere qualcuno che poi riferisca le notizie riservate”. Insomma, non si sa mai, di questi tempi meglio non fidarsi. E a Latina certe prudenze assumono un certo peso.
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Il giorno prima della missione e delle audizioni nella capitale pontina è stato il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino a spiegare alla commissione come sia difficile fareindagini antimafia da queste parti. “Vi racconto un episodio significativo”, aveva esordito, chiedendo apertamente di non secretare il suo racconto. Una storia apparentemente strampalata di spioni e ricatti, ma che bene descrive la palude pontina in fondo mai bonificata del tutto. “Tempo fa un signore querela una persona per molestie. Un fatto banale – ha esordito il magistrato romano – che alla fine termina con una remissione di querela”. I due, però, continuano ad avere screzi e decidono di incontrarsi a Roma per risolvere la questione. La vittima della molestia si presenta con un giubbotto antiproiettile. L’altro si allarma, chiama i carabinieri che lo perquisiscono. E qui c’è una sorpresa degna di una spy story: “I carabinieri trovano addosso all’uomo alcuni decreti d’intercettazione appena attivate, proprio su Latina”, ha raccontato Prestipino davanti a commissari decisamente sorpresi.
Atti d’indagine della Dda di Roma coperti da segreto. La giustificazione è ancora più sorprendente: “Sono un collaboratore dei servizi di sicurezza – ha raccontato l’uomo, un romano, titolare di una società di security a Londra, ma ben noto nella capitale – e ho avuto un incarico da chi si occupa di intercettazioni a Latina”. Peccato che la Dda non ne sapesse nulla. Alla fine alcuni titolari della ditta incaricata di eseguire quelle delicate attività tecniche d’indagine sono stati indagati. “Capite come è difficile fare indagini a Latina? – ha commentato il magistrato romano – Senza intercettazioni non riusciamo a fare indagini per mafia”. Non è chiaro al momento se questa storia – divenuta pubblica in questi giorni – sia ascrivibile ad una semplice leggerezza. E, soprattutto, non è chiaro il profilo di Molayem, che sosteneva di lavorare perfino per il Mossad. Se Mafia Capitale vuol dire politica, affari e metodo mafioso, la palude pontina aggiunge un altro elemento al quadro. E’ il silenzio. Tra i coloni veneti che qui arrivarono negli anni ’30 si dice spesso “magna e tasi”, mangia e stai zitto. Qui in fondo le mafie investono e a guadagnarci sono in tanti. Forse troppi.