SI CONTINUANO A COMPIERE ERRORI DI ANALISI NELLA LETTURA DEL FENOMENO MAFIOSO NEL LAZIO
Si parla sempre di… gruppi e soggetti… “che vengono da fuori”, dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia soprattutto. E da altri Paesi.
Anche Rita Bernardini ed Antonio Di Pietro la lessero così quando qualche anno fa dichiararono che nella Capitale e nei palazzi romani… “si parla troppo napoletano”.
Ciò è vero, ma solo in parte, perché ormai è ora di parlare di mafia anche locale.
La capitale ed il suo hinterland ancora soffrono della presenza e delle attività dell’ex Banda della Magliana, che è una mafia indigena, prettamente romana, arricchita da elementi provenienti da altre organizzazioni criminali con i quali essa si è saldata.
Ma c’è, soprattutto, tutta un’area grigia, fatta da professionisti, politici, esponenti delle istituzioni, dirigenti di banche, funzionari vari, che definire contigua alle mafie è dir poco perché ormai ne fa parte integrante.
E questa è mafia locale, laziale.
E, poi, ci sono i figli, i parenti dei mafiosi venuti “da fuori” e che da anni sono residenti nella nostra Regione, figli e parenti che sono nati e cresciuti ed hanno studiato nelle nostre città e che oggi occupano anche posizioni di rilievo nelle professioni e nelle istituzioni.
Non è mafia locale questa???
E non è mafia tutta l’area di quei nostri concittadini che, in ossequio al principio del pecunia non olet, locano unità immobiliari, vendono, trasferiscono licenze a soggetti sospetti senza preoccuparsi di informarsi prima sulla loro vera identità?
Cominciamo, quindi, a parlare anche della mafia laziale, fatta soprattutto di “colletti bianchi” che provengono direttamente dalle organizzazioni criminali o fanno affari e colludono con essa.