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Scandalo Csm, Luca Lotti conferma: il complotto contro il pm Paolo Ielo c’è stato 

L’Espresso, 26 settembre 2019

Scandalo Csm, Luca Lotti conferma: il complotto contro il pm Paolo Ielo c’è stato

L’ex renziano è stato interrogato a inizio estate dai magistrati della Procura di Milano. In veste di testimone. E ha ammesso di aver chiesto all’Eni documenti riservati da usare contro la toga romana. Il deputato Pd tira in ballo Palamara e il collega Ferri, ma discolpa il manager Descalzi e l’azienda: alla fine da loro non ho ottenuto nulla

DI PAOLO BIONDANI E EMILIANO FITTIPALDI

Luca Lotti, sulla responsabilità individuale dei politici, ha le idee chiare. «Di ogni azione il politico risponde non solo a se stesso, ma a un’intera comunità di persone che rappresenta e che gli danno fiducia, lo sostengono, lo incoraggiano», ha enunciato qualche giorno fa in una lettera pubblica al Foglio, dove spiega i motivi per cui – invece di seguire l’amico e mentore Matteo Renzi – ha deciso di restare nel Pd.

Ora, non sappiamo come gli elettori giudicheranno la sua scelta politica. Né come Lotti posizionerà la sua Base Riformista, la corrente democrat di oltre cinquanta parlamentari di cui è leader indiscusso insieme a Lorenzo Guerini. Ma è probabile che molti simpatizzanti (e forse il segretario Nicola Zingaretti) gli chiederanno conto di alcune azioni extrapolitiche. Soprattutto dopo le dichiarazioni rilasciate da Lotti in un interrogatorio avvenuto qualche mese fa davanti ai pm di Milano.

Già. L’ex sottosegretario renziano lo scorso giugno è stato travolto dallo tsunami che ha investito il Consiglio superiore della magistratura: intercettato dalla procura umbra mentre chiacchierava di nomine di importanti uffici giudiziari con il magistrato Luca Palamara e l’allora deputato Pd Cosimo Ferri, appena entrato nel gruppo di Matteo Renzi Italia Viva, Lotti s’è addirittura dovuto autosospendere dal partito. «Almeno fino a quando» annunciò «la vicenda non sarà chiarita».

L’Espresso ha però scoperto che anche i magistrati milanesi hanno cominciato ad indagare seriamente, e che Lotti è stato interrogato in gran segreto all’inizio dell’estate. I pubblici ministeri Laura Pedio e Paolo Storari lo hanno convocato per ascoltarlo in merito ad alcune frasi che i colleghi di Perugia avevano considerato rilevanti, e che avevano inviato all’ufficio guidato da Francesco Greco per i dovuti accertamenti.
In particolare, al setaccio sono finiti i passaggi in cui l’ex renziano, Ferri e Palamara discutono di alcune «carte dell’Eni» da usare per un dossier contro Paolo Ielo. Cioè il magistrato in forza alla procura di Roma che ha chiesto a fine 2018 il rinvio a giudizio di Lotti per favoreggiamento in merito alla fuga di notizie sul Caso Consip, e che aveva dato il via all’inchiesta contro Palamara e l’imprenditore Fabrizio Centofanti, finita poi a Perugia per competenza.

I due inquirenti milanesi, coordinati da Fabio De Pasquale, in particolare hanno contestato a Lotti (convocato come testimone e non come indagato: dunque l’ex ministro aveva l’obbligo di dire tutta la verità, pena un’accusa di falsa testimonianza) un dialogo chiave: quello in cui il politico e Palamara discutono di un esposto che il magistrato capitolino Stefano Fava aveva spedito al Csm. Una denuncia durissima in cui Fava (ora indagato a Perugia per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio) criticava duramente sia Giuseppe Pignatone, ex capo della procura andato in pensione, sia Ielo. Accusato di conflitto d’interessi in merito ad alcune inchieste penali per via di alcune consulenze professionali ottenute dal fratello Domenico, avvocato che ha lavorato – tra gli altri – anche con l’Eni.

TRA CONFERME E SMENTITE
Come raccontato a giugno dal nostro settimanale, le intercettazioni erano state spedite a Milano perché Lotti, in una frase, aveva tirato in ballo l’amministratore delegato del colosso petrolifero Claudio Descalzi, già imputato sotto la Madonnina per una presunta corruzione internazionale: l’ex ministro dello Sport, il 21 maggio 2019, mentre parla di Ielo e dell’esposto di Fava con Palamara e Ferri, confida agli amici che lui le carte sul fratello Domenico ce le ha già. Aggiungendo che i documenti gli sarebbero stati consegnati da Descalzi in persona.
Lotti, davanti ai pm milanesi che gli domandavano il senso delle frasi registrate, non ha potuto negare le parole cristallizzate dal trojan inoculato dal Gico della Guardia di Finanza nel cellulare di Palamara. L’ex ministro, risulta all’Espresso, ha così dichiarato di aver ricevuto dallo stesso Palamara, allora leader della corrente Unicost, e da Ferri – deputato eletto nelle liste del Pd e da sempre ras di Magistratura indipendente – l’input di cercare attraverso l’Eni carte potenzialmente compromettenti su Domenico Ielo, da usare poi contro il fratello Paolo.
Lotti in pratica ha confermato che la costruzione di un dossier contro il magistrato fu davvero tentata. Ma se ha tirato in ballo come presunti mandanti del complotto Palamara e Ferri, ha “scagionato” l’Eni e il suo amministratore delegato. Il piddino ha infatti ammesso a verbale di aver cercato i contratti del fratello di Ielo (risulta abbia contattato un dirigente di primo piano vicinissimo a Descalzi, Claudio Granata, estraneo all’inchiesta) ma ha aggiunto che dal Cane a sei Zampe non gli sarebbe mai arrivato nulla.

Come mai allora Lotti, nelle conversazioni intercettate a maggio, sosteneva di avere già in tasca «la carta dell’Eni»? L’ex ministro renziano ha spiegato di aver parlato di Descalzi (che fu nominato numero uno dell’Eni nel 2014 dal governo Renzi) solo per mostrarsi influente agli occhi dei suoi sodali. In pratica, avrebbe compiuto un millantato credito.

Vedremo. L’estraneità del top manager del colosso petrolifero al dossieraggio ha avuto comunque riscontri indiretti dai controlli della Finanza, che ha indagato sull’entità effettiva degli incarichi professionali ottenuti da Domenico con l’Eni: le cifre sono più basse rispetto a quelle citate da Lotti nell’intercettazione. È ipotizzabile dunque che il gruppetto i veri contratti non li abbia mai avuti in mano.

OSSESSIONE IELO
I congiurati sembrano avere per Ielo un vero assillo. Oltre all’incontro del 21 maggio, anche in altre riunioni si discetta del magistrato. Tanto che nell’informativa del Gico ai dialoghi sul pm viene dedicato un intero paragrafo: «L’attività di ascolto del colloqui fra presenti della notte del 9 maggio 2019 permetteva di rilevare l’esistenza di un esposto presente alla I Commissione del Csm di interesse da parte dei soggetti presenti», spiegano gli uomini del corpo. Si tratta della notte in cui Lotti, Ferri, Palamara e cinque componenti del Csm (poi dimessisi dopo la pubblicazione delle trascrizioni delle intercettazioni sui giornali) discussero in una saletta riservata dell’hotel romano “Champagne” di nomine e cordate per piazzare nomi a loro graditi ai vertici delle procure italiane.

Anche quel 9 maggio i carbonari ragionano su come azzoppare il pm del pool anticorruzione, in modo (questo l’intento dichiarato) da favorire una “discontinuità” nella procura della Capitale. Dove Palamara e compagni speravano potesse arrivare Marcello Viola, il procuratore generale di Firenze che per i sodali è l’uomo giusto – più degli altri candidati Giuseppe Creazzo e Francesco Lo Voi – per cambiare lo spartito suonato da anni da Pignatone e dai suoi fedelissimi (per la cronaca, il Csm ha revocato la decisione della Commissione che aveva votato la terna: ora per la successione di Pignatone sono tornati in gioco tutti e tredici i candidati iniziali, compreso l’attuale facente funzioni Michele Prestipino).

Lotti quella sera interviene più volte parlando del dossier anti Ielo. Chiede agli astanti «che cosa deve arrivare al presidente della situazione a Roma», millantando che le informazioni che screditano il pm possano grazie a lui arrivare direttamente alle orecchie del Quirinale. E, a notte fonda, il renziano spiega di nuovo a Palamara: «Luca, la roba che c’è in prima (Commissione del Csm, dove Fava ha depositato il suo esposto ndr)… su Roma… è pesante… sia il Quirinale, sia David (Ermini, il numero uno del Csm ndr) lo vogliono affossare… a noi la decisione Luca. Che si fa? Si spinge? Una volta che si è fatto anche gli aggiunti». E subito dopo, sempre all’amico: «Poi il fratello di Ielo… c’ha na consulenza all’Eni». E infine: «Che si fa? Si fa uscire poi? Dopo che s’è fatto gli aggiunti…». Palamara risponde affermativamente, spiegando che sarà Fava, con il suo esposto depositato in Prima Commissione, a fare scoppiare lo scandalo. Ma Lotti teme che il pm possa alla fine fare un passo indietro: «E fai uscire anche un po’ i fratelli… voglio vedé, voglio sentirlo Fava che dice… i fratelli, le cose… non sarà così pazzo».

Le azioni del gruppetto – al netto della rilevanza penale che è ancora tutta da dimostrare – sembrano lontane da qualsiasi regola istituzionale e deontologica. Non solo perché Lotti e Palamara potrebbero aver avuto più di un motivo per vendicarsi dell’operato di Ielo, e non solo perché Ferri – magistrato in aspettativa passato alla politica – si occupa ancora di nomine e poltrone delle procure italiane. Ma anche perché, come hanno già scritto i pm di Perugia in merito alla denuncia di Fava, il dossier contro Ielo appare meramente strumentale: è un fatto che quando la procura di Roma aprì l’inchiesta sul gruppo petrolifero statale, che ha poi portato all’arresto degli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, il pm di Mafia Capitale dichiarò anzitempo il potenziale conflitto d’interessi legato agli incarichi professionali del fratello, e per prudenza decise di astenersi dall’indagine sull’Eni. Decisione simile presa per l’inchiesta aperta dalla procura di Roma su Condotte, azienda di costruzioni finita in commissariamento che si avvale adesso di alcune consulenze del parente avvocato: Ielo scrisse una lettera a Pignatone in cui spiegava di non potersi occupare dei fascicoli.

Non è impossibile che i verbali dell’interrogatorio di Lotti vengano adesso spediti a Perugia, dove qualche giorno fa i magistrati hanno chiesto una proroga dell’indagine che, partita per una presunta corruzione di Palamara e di Centofanti, ha finito per terremotare tutta la magistratura italiana.

Ed è probabile che la questione Lotti crei ripercussioni anche sulla polita: è un fatto che il potente capocorrente, che qualche giorno fa ha annunciato di lavorare indefessamente all’organizzazione territoriale «su tutto il territorio nazionale» di Base Riformista, abbia ammesso ai pm milanesi di aver provato a ottenere carte per danneggiare una toga che aveva chiesto il suo rinvio a giudizio. Su indicazione, ha aggiunto, di Palamara e Ferri, l’amico passato qualche giorno fa con il gruppo di Renzi Italia Viva.

Un’ammissione che forse verrà criticata da più di un piddino (il tesoriere Luigi Zanda a giugno fu durissimo, mentre Zingaretti «ringraziò» Lotti per essersi autosospeso dal partito, «un gesto non scontato che considero di grande responsabilità»), ma eticamente inaccettabile per i grillini.

Presto M5S, Pd e renziani dovranno occuparsi della riforma della giustizia. Difficile, a naso, che la vicenda non abbia impatto sul governo giallorosso.