L’Antimafia indaga sull’antimafia: dopo gli scandali, audizioni in Parlamento
Da Sciascia al caso Saguto. Un fenomeno paradossale, quello che adesso diventa tema d’indagine per la commissione, ipotizzato prima di tutti da Leonardo Sciascia, autore del profetico e celebre fondo sui professionisti dell’Antimafia: locuzione oggi attualissima, quando sono trascorsi poco meno di trent’anni dalla pubblicazione di quel contestatissimo editoriale sul Corriere della Sera. In attesa delle audizioni, infatti, i tavoli dei parlamentari di Palazzo San Macuto sono già occupati da decine di recentissimi articoli di giornale che raccontano la cronaca di quello che passerà alla storia come l’annus horribilis dell’antimafia, travolta non solo dalle polemiche ma soprattutto dalle indagini della magistratura. L’ultima in ordine di tempo è quella che ha colpito Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, la zarina che per anni ha amministrato i beni confiscati a Cosa nostra. Per la procura di Caltanissetta si è macchiata di abuso d’ufficio, corruzione e concussione: all’ombra della “robba” dei boss aveva creato un cerchio magico fatto di favori, prebende e raccomandazioni. “Avrei voluto che Libera si accorgesse del problema nato sulla gestione dei beni sequestrati, prima che arrivasse la magistratura”, ha detto Franco La Torre, figlio di Pio, il parlamentare comunista assassinato da Cosa nostra, che ha appena lasciato l’associazione dopo essere entrato in polemica con don Luigi Ciotti.
Sempre da Caltanissetta è arrivato il primo pesantissimo colpo alla credibilità dell’imprenditoria antimafia siciliana. Da più di un anno infatti i pm nisseni indagano per concorso esterno a Cosa nostra Antonello Montante, presidente di Confindustria sull’isola, delegato per la legalità di viale dell’Astronomia, uno dei frontman della riscossa antiracket degli imprenditori siciliani.
Indagini e arresti: l’annus horribilis dell’antimafia. Un settore, quello confindustriale, che più di tutti ha utilizzato i vessilli antimafia negli ultimi anni, e che viceversa adesso vede alcuni dei suoi leader travolti dalle inchieste. Si va da Salvo Ferlito, dimessosi da presidente di Ance Sicilia (l’associazione dei costruttori edili di Confindustria) dopo una condanna a tre anni per truffa, a Ivo Blandina, nominato commissario degli industriali di Siracusa quand’era già indagato per truffa alla Regione Siciliana (dopo il rinvio a giudizio ha lasciato l’incarico), fino al caso di Francesco Domenico Costanzo, il patron della Tecnis autore di vibranti moniti: “La legalità per un imprenditore è responsabilità sociale e dovere morale”, diceva prima di finire ai domiciliari nell’inchiesta sulle tangenti Anas.
Ha già rimediato una condanna a quattro anni e otto mesi, invece, Roberto Helg, l’ex presidente della Camera di Commercio di Palermo che per anni ha spiegato di essere in prima fila contro il “pizzo” e l’usura, poi “incastrato” mentre chiedeva una tangente da centomila euro a un commerciante: un’estorsione in piena regola, come quelle che diceva di combattere ogni giorno. L’elenco dei vip antimafia finiti nei guai dopo aver tenuto una condotta quasi peggiore rispetto a quella dei boss è insomma ormai sterminato, ed è per questo che pochi mesi fa lo stesso don Ciotti aveva lanciato l’allarme. “L’antimafia – diceva il fondatore di Libera – è ormai una carta d’identità, non un fatto di coscienza. Se la eliminassimo, forse sbugiarderemmo quelli che ci hanno costruito sopra una falsa reputazione. L’etichetta di antimafia oggi non aggiunge niente. Anzi”. Uno spunto raccolto dalla commissione Antimafia che adesso indagherà sulla stessa antimafia: sembra una boutade, un errore, un paradosso. E invece è solo il prologo della triste degenerazione di un fenomeno, nato sul sacrificio di pochi uomini coraggiosi, mai come oggi così poco rispettati.