Cerca

Ecomafie: il business dei reati ambientali non conosce crisi

Legambiente ha pubblicato il suo rapporto 2009 sui rapporti tra la criminalità organizzata e crimini ambientali. Affiora l’immagine di un’Italia in cui i reati contro ambiente e salute pubblica sono più redditizi e più sicuri dei traffici tradizionali. Guida la poco invidiabile classifica la Campania, ma anche altrove c’è ben poco da rallegrarsi

Il mondo starà anche attraversando la peggiore crisi da quella del 1929, ma ci sono business che non ne risentono.

E’ il caso delle ecomafie: un giro d’affari in continua crescita, a giudicare dai dati contenuti nel rapporto 2009 di Legambiente. Il documento traccia il quadro di un Paese in cui i reati ambientali sono una fonte di guadagno assicurata e meno rischiosa di attività come il commercio di droga o la prostituzione.
Il triste primato dei reati ambientali spetta alla Campania, ma neanche le altre regioni d’Italia hanno di che dormire sonni tranquilli.

La principale fonte di reddito sembrano essere i rifiuti, come spiega Ecodiario riportando le parole di Pietro Grasso, il procuratore nazionale antimafia:

I rifiuti spariti hanno alimentato un giro di affari di circa 7 miliardi di euro.31 milioni di tonnellate di rifiuti industriali che non si sa dove vadano a finire.
La regione più illegale è la Campania con 573 infrazioni, seguita dalla Puglia con 355 e poi la Calabria e il Lazio. Sembra impossibile, ma secondo i dati 520.000 Tir hanno riversato i propri rifiuti nelle campagne napoletane per finire in discariche abusive. Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso chiarisce: “I rifiuti fanno rischiare di meno e guadagnare di più della droga: bisognerebbe riprendere il disegno di legge al quale anche noi avevamo contribuito e che consentiva alla Procura nazionale antimafia di raccogliere dati sulle ecomafie ed era stato condiviso da tutte le forze politiche”.

Per quanto foschi siano i dati, potrebbero essere addirittura sottostimati, come scrive ChiaiaNOdiscarica:

La Guardia di Finanza ha individuato circa 1035 discariche abusive – cifra sicuramente sottostimata rispetto ai dati forniti anche da Carabinieri e Corpo Forestale.

Si stima che negli ultimi tre anni siano stati smaltiti illegalmente in Campania oltre 13 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi. Una montagna di spazzatura alta come l’Etna, che equivale a circa 520 mila tir carichi di rifiuti.

Il giudizio sdegnato di Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania: “In Campania si sta uccidendo lentamente senza sparare, dove tra cemento e rifiuti si è saldata l’alleanza strategica tra la camorra ed i colletti bianchi. ”

Critico anche il Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso, che nella prefazione del Rapporto Ecomafia 2009 scrive: “In Campania prospera quel sistema criminale della camorra che si fonda sulla dissimulazione della reale natura dei rifiuti, prevede il controllo totale delle discariche abusive e spesso esercita attività estorsiva a carico delle imprese che si occupano dell’illecita attività. Senza contare che appartenenti alla pubblica amministrazione – in alcune circostanze – sono i primi conniventi di queste organizzazioni criminali, facilitando l’acquisizione di provvedimenti autorizzativi per impianti fatiscenti e tecnicamente carenti. ”

Ma non solo rifiuti: l’edilizia è l’altro settore principe dei reati ambientali. Videocomunicazioni cita qualche dato per far comprendere la gravità della situazione:

nel 2008 sono state denunciate 1685 persone e sequestrate 625 costruzioni, una media di 3, 5 reati al giorno e 5 denunciati in 24 ore. In Campania è possibile costruire un intero quartiere abusivo senza che nessuno se ne accorga, è successo a Giugliano, a Licola e a Sant’Antimo. Dal cemento selvaggio non si salva neanche Napoli nello scorso anno 1200 denunce per abusi edilizi e 150 segnalazioni mandate dalla procura a palazzo san Giacomo, pochissime le demolizioni. Da qui la denuncia di Michele Buonuomo presidente regionale di Legambiente: “Magistratura e forze dell’ordine continuano a fare il loro dovere, mentre le forze politiche nonostante i proclami, non hanno mai avviato il motore delle ruspe”

Sale in questa classifica di poco auspicabili primati il Lazio, come racconta Pianeta Verde:

La capitale del cemento connection rimane la campania con oltre 1.200 infrazioni e ben 1.645 persone denunciate e 625 sequestri. Segue la Calabria, mentre sale il Lazio che guadagna il terzo posto nella classifica dell’illegalita’ del ciclo del cemento.
Una risalita “che non meraviglia – si legge su ‘Terra’- vista la continuita’ territoriale del basso Lazio e della zona pontina con il territorio casertano in mano all’impero del cemento armato targato casalesi”. I nuovi dati mostrano che la situazione non e’ cambiata piu’ di tanto, segnalando dei piccolissimi cambiamenti almeno nelle prime due posizioni.

Sempre il procuratore Grasso, intervenendo sul tema durante la settimana della legalità, ha ricordato quali e quanti siano gli intrecci di interessi dietro ai reati ambientali. Riporta Dammi il 5!:

“I giovani devono essere perfettamente consapevoli del problema delle ecomafie e dei possibili metodi per contrastarle. L’ecomafia – ha osservato – non appartiene solo al Sud, ma è un problema nazionale”. Dietro di esse non si nascondono solo le organizzazioni criminali, come ha ricordato Grasso: “Ci sono diverse categorie sociali che collaborano, a partire dagli imprenditori, che ricevono dai mafiosi un servizio e cioè lo smaltimento illegale dei rifiuti con costi minori rispetto a quelli che dovrebbero sostenere. A questi – ha osservato – si affiancano un nugolo di persone come tecnici di laboratorio, burocrati e ragionieri corrotti”.

Ma le regioni del Nord non hanno di che sentirsi al sicuro. E’ di questi giorni la notizia degli aspetti poco chiari nei lavori per l’Expo 2015 a Milano, ma non è che la punta dell’iceberg, come racconta La Perfetta Letizia:

Un caso emblematico su tutti è quello già documentato in apertura di un brillante reportage televisivo intitolato “Mammasantissima a Milano” e realizzato da Mario Sanna per Rai News 24 qualche mese fa. Stiamo parlando dell’enorme discarica abusiva ricavata su terreni agricoli situati nei comuni di Desio, Seregno, Briosco, comuni alle porte di Milano: oltre 65mila metri quadrati sottoposti a sequestro dagli uomini della Polizia provinciale nel settembre 2008, nell’ambito dell’operazione denominata “Star Wars”, perché individuati essere la sede finale di ben 178 mila metri cubi di rifiuti industriali, stipati fino all’inverosimile in buche larghe cinquanta metri e profonde fino a nove metri. Parole dure quelle riservate a commento della vicenda dal Rapporto di Legambiente: “A Milano la ‘ndrangheta fa oggi quello che i Casalesi fanno da almeno vent’anni in Campania.

Non manca ovviamente un capitolo dedicato all’Abruzzo, in cui il terremoto ha portato allo scoperto nel modo più tragico una realtà di abusi edilizi dalle conseguenze disastrose. Scrive Tg@bruzzo:

L’inchiesta Ciclone ha invece azzerato l’amministrazione della citta’ pescarese, mandando a casa l’intero consiglio comunale per un collaudato sistema di gestione illegale dei lavori pubblici che favoriva, con appalti senza gara, gli imprenditori del mattone piu’ importanti della zona, che poi ricambiavano con regalie di vario genere. Il villaggio turistico La Contea a Tagliacozzo, localita’ sciistica dell’aquilano, sarebbe invece uno dei beni immobili nei quali e’ stato reinvestito il favoloso tesoro di Vito Ciancimino, il potente sindaco-padrone della Palermo degli anni ‘70, condannato nel 2001 per mafia e morto nel 2002. Secondo il comando provinciale di Pescara del Corpo forestale dello Stato, se si sommassero i materiali scavati nelle quattro province abruzzesi si formerebbe una montagna alta piu’ di mille metri. Tra gli interventi, il sequestro nell’agosto scorso di tre siti e la denuncia di 15 persone a Sulmona. Interessante anche il capitolo sui rifiuti: Quattro mani e Toxic country, sono i nomi delle operazioni di polizia che hanno scoperchiato gli affari sporchi di due organizzazioni dedite ai traffici di rifiuti, con base in Abruzzo e diramazioni in diverse altre regioni del territorio nazionale. Nella prima, denominata ”Quattro mani” per l’abilita’ mostrata dai trafficanti nel trasformare rifiuti pericolosi in non pericolosi o addirittura in materiale inerte, il Noe di Pescara ha deferito all’autorita’ giudiziaria 36 persone mentre il giudice per le indagini preliminari di Chieti Marco Flamini ha emesso cinque ordinanze di custodia, per lo smaltimento illecito di rifiuti speciali pericolosi per l’ambiente e la salute umana. E ancora: nell’operazione ”Toxic country”, realizzata l’8 ottobre scorso su impulso della procura pescarese, il Corpo Forestale ha scoperto che rame, zinco, cadmio ed elevate quantita’ di batteri – provenienti da un impianto di compostaggio di Montesilvano posto sotto sequestro – venivano sparsi su centinaia di ettari di campi destinati alla coltivazione di grano e foraggi.

Legambiente non manca di sottolineare le responsabilità dello Stato, come ricorda Ecologiae:

Il pericolo infatti, avvertono da Legambiente, è che si torni all’abusivismo edilizio ed alle costruzioni senza regole degli anni ‘60, quelle descritte perfettamente dal film “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, in cui speculatori senza scrupoli, grazie all’assenza dello Stato, hanno potuto fare il bello ed il cattivo tempo nelle costruzioni cittadine, creando migliaia di edifici brutti ed insicuri.

Ma cosa contestano gli ambientalisti? In primo luogo, il disinteresse da parte dello Stato nelle attività edilizie. Il Governo infatti ha intenzione di liberalizzare questo settore, in maniera tale da evitare il controllo sul progetto iniziale e sul prodotto finale, permettendo in pratica di avere carta bianca per costruire tutti gli ecomostri che si vuole (uno come Punta Perotti ci metterebbe qualche mese ad essere ricostruito).

E sotto il profilo legislativo sembra che la situazione in Italia sia destinata a peggiorare ulteriormente, a giudicare dalle notizie riportate da Portale Solidale:

Negli ultimi anni, secondo Legambiente, in materia di legislazione a tutela dell’ambiente sono stati fatti pericolosi passi indietro. A partire dal disegno di legge sulle intercettazioni che potrebbe favorire reati di traffico illecito di rifiuti e di incendio boschivo doloso. Questi delitti, infatti, secondo Legambiente, dovrebbero essere inseriti tra quelli per i quali magistratura e forze dell’ordine possono continuare ad avvalersi di strumenti d’indagine fondamentali, come le intercettazioni, visto che si tratta di reati quasi sempre appannaggio della criminalità organizzata che grazie a queste azioni si arricchisce e alimenta nuovi racket, e che rappresentano uno sfregio spesso irreparabile al territorio e alle comunità che ci vivono.

Ma a preoccupare Legambiente c’è anche la proroga per la Legge Delega. Un emendamento dell’esecutivo al ddl 1082 (che si occupa peraltro di materie completamente diverse), già votato in sede di commissioni, che proroga al 30 giugno 2010 il termine per l’emanazione di correzioni e integrazioni in materia ambientale. Legambiente e le maggiori associazioni ambientaliste italiane hanno scritto ai capigruppo del Senato per chiederne la cancellazione perché con un simile emendamento una normativa importante e complessa come quella ambientale sarà dominio pressoché esclusivo del Governo a netto discapito del ruolo del Parlamento.

Così come la delega in bianco al Ministero dell’Ambiente per l’inquinamento industriale che prevede, tra le altre cose, l’istituzione di una procedura alternativa di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di bonifiche e di risarcimento del danno ambientale, che potrebbe togliere la possibilità a enti locali, cittadini, associazioni di avere un ruolo nei procedimenti per danno ambientale e in materia di bonifiche di siti inquinati.

Ma i rifiuti e l’edilizia sono solo due dei settori più colpiti dai reati ambientali. Ecoblog ricorda invece l’importanza degli introiti dovuti ai combattimenti clandestini:

è stimato in tre miliardi di euro il business delle zoomafie. Diminuiscono infatti i combattimenti tra cani, ma restano stabili le corse clandestine di cavalli. Sono 14 gli ippodromi attorno ai quali si sono accertate scommesse truccate e infiltrazioni della mafia organizzata.

Ma il problema interessa anche un settore su cui non si accendono mai i riflettori per queste vicende: la pesca. Nota Verdenero:

Le mafie non stanno certo a guardare. Al Sud c’è il dominio della criminalità organizzata nell’intero comparto ittico, con il controllo di flotte e soprattutto dei mercati che rispondono agli interessi dei clan: dalla Sicilia alla Puglia, dalla Campania alla Calabria.

Ma la storia non cambia molto al Centro-Nord, come a Milano, a Genova, a Roma e dintorni. Nelle pescherie di mezza Italia si sente il puzzo dei clan. Nulla di strano se i prezzi salgono alle stelle. Cosa si vende, quando e a che prezzo spesso lo decidono loro, i clan.

E non potrebbe essere diversamente, in presenza di un business favoloso, stimato intorno ai 2 miliardi di euro l’anno. Anche il Rapporto Sos Impresa della Confesercenti del dicembre scorso ne dà ampia documentazione.

In Calabria, ad esempio, è il clan Muto che la fa da padrone. Il suo capo è soprannominato, non a caso, il “re del pesce”. La Commissione Antimafia nella sua relazione conclusiva del 18 gennaio 2006 denuncia che “la cosca di Francesco Muto, insieme alle famiglie alleate dei Polillo di Cetraro e degli Stummo-Valente di Scalea e Belvedere Marittimo, controlla le attività connesse alla pesca e alla commercializzazione dei prodotti ittici nelle zone di Paola e Scalea”.

La stessa relazione, nella parte che si occupa invece dei clan campani attivi nella zona di Pozzuoli, in provincia di Napoli, spiega che la camorra ha utilizzato il suo potere di controllo sul territorio “per conseguire un ruolo chiave nella gestione del mercato ittico, instaurando un generalizzato sistema di estorsioni e acquisendo interessi economici diretti e indiretti nella commercializzazione dei prodotti ittici”.

Il clan La Torre, originario della provincia di Caserta, ha pensato in grande e nei suoi “investimenti in Gran Bretagna si è inserito a pieno titolo nell’import-export del pesce”: lo dice la Direzione Investigativa Antimafia. E poi ci sono gli interessi della cosca mafiosa Mazzei a gestire i mercati ittici di Catania e Porto Palo.

(Tratto da Liquida Magazine)