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7UP, ecco da chi acquistò la discoteca il Comune di Formia


Lunedì 15 agosto 2016 – 9:41

di Francesco Furlan 

Erminio Gerard Mallozzi. Un cognome comune nel sud pontino ma con quel secondo nome particolare per quel francesizzante Gerard che ne rivela la nascita d’oltralpe, commerciante figlio di emigranti minturnesi in Francia.

E’ lui che il 31 luglio del 2000, oramai 54enne, davanti al notaio Raffaele Ranucci e senza l’assistenza di testimoni avendovi le parti rinunciato (prassi normale ai tempi, in fase di redazione di un atto notarile di questo tipo, ndr), firma presso il Comune di Formia l’atto con cui vende all’Ente rappresentato da Marta Cristiani, responsabile Ufficio Patrimonio del Comune, l’ex discoteca Seven Up di via Fosso degli Ulivi a Gianola. 

Come si legge nell’atto di compravendita: “Complesso immobiliare fatiscente e in parte parzialmente distrutto da incendio, costituito da tre corpi di fabbrica, in pessimo stato di manutenzione e conservazione, con annessa area di pertinenza, per una superficie complessiva, tra coperto e scoperto, di circa 5500 metri”. Prezzo d’acquisto: 720 milioni di lire: 500 pagati subito in due assegni da dieci milioni e dieci da cinquanta milioni di lire, tutti intestati al venditore e non trasferibili.

Gli ulteriori 200 milioni trattenuti dalla parte acquirente a causa di una citazione trascritta a Latina il 29 aprile 1999 riferente un giudizio in corso presso il Tribunale di Rimini: “Richiesta di risarcimento per impossibilità di adempiere all’obbligo contrattuale del preliminare stipulato fra Roberto Bartolini e il signor Mallozzi in data 28 aprile 1993 avente a oggetto l’immobile di cui al presente trasferimento”. Un problema che a quanto pare venne superato con lo stesso atto di vendita quando le parti contraenti stabilirono in “duecento milioni di lire la somma da svincolare a favore del venditore e del signor Bartolini nelle proporzioni agli stessi dovute dopo la conclusione della vertenza, con intesa che, qualora detta somma non fosse sufficiente per la liquidazione di quanto dovuto al signor Bartolini, il signor Mallozzi rimane comunque esclusivo responsabile per l’esborso dell’eventuale eccedenza”.

Questo e altro si trova nell’atto, noto ma mai pubblicato prima, con cui il Comune acquistò l’ex discoteca nel luglio 2000. Si legge anche che era il 7 febbraio del 1970 quando Erminio Gerard Mallozzi, su un terreno acquistato nel 1968 presso un notaio di Minturno con l’intenzione di realizzare un complesso turistico con annessi motel e ristorante ai piedi della collina di Gianola e spianata verso il Porticciolo Romano lì vicino, otteneva la licenza edilizia dal Comune di Formia con cui, di lì a poco, avrebbe dato vita a “Le Pacha”: un ristorante – night in cui ben cinque parti su sei delle particelle catastali erano state occupate da difformità costruttive. Doveva essere un piccolo ristorante di 266 metri quadrati, arrivò a 1300 metri quadrati e fu un successo tale che nessuno se ne preoccupò.
Lapripista al mostro che nove anni dopo lo avrebbe sostituito: il 7 UP. La discoteca voluta dal boss dei casalesi Antonio Bardellino, amministrata da Aldo Ferrucci che tra il 1979 e il 1981, attraverso la società “Maurice” e senza garanzie, riuscì a finanziarne l’edificazione grazie a un prestito miliardario della Banca Popolare del Golfo di Gaeta, secondo più inquirenti utilizzata dal clan per svariate operazioni di riciclaggio e poi fallita. Tutto per quella mega discoteca che, senza alcuna licenza o autorizzazione, inglobò “Le Pacha”, invase e acquisì con la forza intimidatoria del cognome del suo titolare occulto le proprietà private circostanti, raggiunse i 5500 metri quadrati di estensione tra parti scoperte e coperte.

Nei primi anni ’80 fece ballare il mondo, le sue vicende da cui anche questo scritto attinge, vengono descritte da Salvatore Minieri nel libro diventato cult, ancora non commentato pubblicamente da alcun amministratore, “I Pascià – Storia Criminale del Clan Bardellino e della discoteca Seven Up”. Che esplose il 3 agosto 1985 lasciando a terra tra le macerie e prive di vita due persone mentre altre rimasero ferite. Qualche mese dopo, una mano ignota, pensò bene anche di darvi fuoco.

Il 22 dicembre del 1986, poi, un anno e qualche mese dopo quella esplosione, con un assegno da 6.976.000 lire, primo di tre tranche, l’ultima delle quali versata il 24 giugno 1987, per un totale di quasi ventuno milioni di lire somma dovuta per oblazione, Erminio Gerard Mallozzi si presentava in Comune a Formia con la propria richiesta, ai sensi della legge 54/1985, di sanatoria delle “successive difformità” evidenziatesi rispetto alla originale licenza edilizia del 1970. Era il primo atto, necessario viatico a una eventuale successiva vendita di quello che già allora era un rudere.

L’INTERVISTA VIDEO RILASCIATACI DA SALVATORE MINIERI L’11 MAGGIO 2016

https://youtu.be/E8Bxy_MaErs
CHI ERA ERMINIO GERARD MALLOZZI’

Nel 1970, tornato qualche anno prima dalla Francia dove era cresciuto, il giovane italo francese aveva realizzato, con numerosi abusi, un ristorante – night sulla collinetta tra Scauri e il quartiere di Gianola.

Dieci anni dopo, scrive Minieri, “era sceso di parecchi gradini quando gli emissari di Bardellino, sotto copertura di alcune sigle societarie, lo avevano relegato al ruolo di semplice proprietario del baraccone”. E ancora, riferendosi al periodo di gestione Bardellino: “A Mallozzi era consentito fare solo tre cose: firmare le carte, guardare quello spettacolo unico in tutta Europa e, soprattutto, accontentarsi delle briciole di tutto il ricavato che il clan Bardellino faceva cadere nelle sue ormai rattoppate tasche da imprenditore fuori dal tempo”.  Tutto un altro vivere rispetto agli anni in cui era stato il primo protagonista della nuova vita turistica del sud pontino.

“I Bardellino – raccontò successivamente agli inquirenti il boss pentito Carmine Schiavone -, alla fine degli anni ’70 misero in piedi quella discoteca perché dovevano far girare i soldi della droga e dei narcotrafficanti internazionali che facevano capo ad Alberto Beneduce“. E anche dei primi sotterramenti e traffici di rifiuti. E fu proprio sotto gli occhi di Mallozzi, che non ne perse mai la proprietà, che il sogno da emigrante rappresentato da “Le Pacha” fu abbattuto in favore del mastodontico 7 UP. Una fortezza alla luce del sole, capace di attrarre star da tutto il mondo ma di fatto trasformata anche e soprattutto nel centro logistico del clan e inizialmente della “Maurice”, la società che Aldo Ferrucci, manager incaricato dai Bardellino, ritratto in una rara fotografia nella hall dell’aeroporto di Fiumicino con Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana vicinissimo alla P2 il cui scandalo scoppia nel maggio 1981, e Luigi Moccia, fratello del capoclan di Afragola, aveva messo in piedi proprio per gestire lo spaventoso traffico di denaro. E sempre quella cattedrale di lampadari, sale da ballo e uffici, una volta fallita la “Maurice”, divenne culla della neonata “Mareva” nata nel 1981.

Una creatura societaria dai lati oscuri quanto la “Maurice” ma con soci prestigiosi e di fama internazionale, inventata dal manager di Sessa Aurunca che il 20 giugno 1985, 43 giorni prima della tragica esplosione e al termine di una tesissima assemblea, da regista occulto di una spregiudicata quanto apparentemente efficace operazione, riuscì a indirizzare l’intero pacchetto societario sotto il proprio controllo. Per la prima volta tratto in arresto nel febbraio 1983 dalla Guardia di Finanza per il fallimento della Banca Popolare del Golfo di Gaeta, vicino alla Democrazia Cristiana che ne aveva auspicato la candidatura a Sindaco ma che a maggio aveva nominato sindaco di Formia Michele Forte (rimarrà in carica fino al settembre 1992), due anni dopo Aldo Ferrucci, da dietro le sbarre dove era finito in un’operazione della Criminalpol contro la criminalità che lo tenne in carcere fino al 1987 quando fu di nuovo arrestato in un’operazione contro il clan Moccia, si apprestava a diventare, attraverso persone a lui vicine, il proprietario della discoteca più grande al mondo, di fatto estromettendo il clan Bardellino. Inoltre, riconoscendo alla “Maurice” un canone annuo di fitto pari a 180 milioni di lire e al proprietario dei terreni e del ristorante night “Le Pacha”, Erminio Gerard Mallozzi, con un accordo siglato nel gennaio 1985, il pagamento annuo di diciotto milioni e duecentomila lire.

A lui, all’italo francese che non scomparve mai dalla scena fino all’incasso finale, il Comune di Formia, seconda amministrazione Bartolomeo, il 31 luglio del 2000 versò 520 milioni di lire acquisendo il Seven Up.
CHI ERA ROBERTO BARTOLINI

Duecento milioni di lire, a leggere il contratto di compravendita per il 7 UP tra Mallozzi e il Comune di Formia, andarono invece a “Un personaggio dai contorni oscuri” con cui il 23 aprile del 1993 Mallozzi aveva stipulato un preliminare di vendita andato inevaso. A descriverlo senza mezzi termini e in diversi passaggi del proprio libro, è ancora Salvatore Minieri. In uno di questi rivela di una nota inviata il 10 gennaio del 1995 dal vicequestore Eoardo Laloè all’Ufficio Tecnico del Comune di Formia dove il nome di Bartolini, insieme a quello di Domenico Distratto, “spiccavano come tra i più stretti collaboratori di Gerard Mallozzi”.

E, ipotizza il giornalista, di questi si sarebbe servito Mallozzi per provare a rientrare in possesso di quella discoteca, forse cercando di approfittare della “mimetizzazione” del clan Bardellino, colpito duramente dalle faide e, più di tutto, dall’omicidio nel 1988 in Brasile del capostipite Antonio, il cui corpo mai rintracciato fu cercato nel febbraio 1988 anche sotto le piste da ballo del rudere di Gianola. Un decesso che negli anni successivi il boss e collaboratore Tommaso Buscetta, “Don Masino”, definì “una montatura”.

SCAVI NOTTURNI – Il primo dei due, Bartoliniera a capo della Gebel di Rimini che a giugno del 1993, su incarico affidatogli da Mallozzi, pur essendo autorizzata soltanto a “lavori di manutenzione e saggi delle strutture esistenti”, cominciò letteralmente a demolire l’edificio come si legge in una nota della Questura dei primi di luglio di quell’anno: “Al momento si riscontra che alcuni operai per conto di tale società Gebel di Rimini, stanno procedendo alla demolizione di parti strutturali in evidente stato di degrado e pericolo…”. All’epoca Bartolini “risultava essere indagato per detenzione e porto abusivo di munizioni, associazione per delinquere, truffa e reati contro la persona”.

Domenico Distratto, invece, con cui Bartolini il 15 giugno del 1993 inviò a doppia firma una domanda di sanatoria al Comune di Formia e che partecipò alla demolizione di alcune parti della discoteca, avvenute per lo più di notte e soprattutto nelle parti attinte dall’esplosione, era originario di Giugliano in Campania. A Qualiano, invece, era titolare di una discoteca sulla circonvallazione esterna: il “My Toy”. A ottobre del 1992 era stato denunciato per lesioni a un agente di Polizia mentre un mese dopo, a dicembre, veniva ferito da alcuni proiettili esplosi nel corso di una lite tra abituali clienti e addetti alla vigilanza del locale. Di quel clima ben oltre le righe, da battaglia quasi, che si respirava e viveva poco distante da quella discoteca campana, se ne occupò anche il questore Manganelli dopo due omicidi lì nei pressi. Ai cronisti della redazione di Napoli de La Repubblica che intervistarono i gestori, i fratelli Distratto risposero: “Non c’entriamo con quello che succede fuori dal nostro locale”.

1993 PASSA TUTTO A BARTOLINI (O NO…) – Il 25 giugno del 1993, scrive Minieri, “con una Procura firmata presso lo studio del notaio Luigi Regazzini di Pesaro, Mallozzi affidava a Bartolini tutto il complesso che aveva ospitato Le Pacha, poi trasformato nella immensa e spettacolare discoteca Seven Up, gestita dai bardelliniani”. E aggiunge più avanti: “Il passaggio di gestione formale avveniva stranamente in uno studio notarile delle Marche, la regione dalla quale, secondo gli inquirenti, sarebbe arrivata la carica di materiale pirico che fece esplodere il complesso” (da Cagli ndr).

FORMIA 25 MARZO 1999, ECCO CHI VOTO’ L’ACQUISIZIONE DEL 7 UP

Fuori dai giochi Ferrucci e ormai lontano da Formia, verrà definitivamente arrestato nell’ottobre del 1999 insieme ad altre 67 persone in un’operazione della Procura di Milano e di quella sarda di Tempio denominata “Bingo” contro un giro di narcotraffico dalla Colombia, e con quel procedimento aperto a Rimini da Bartolini contro Mallozzi, il 25 marzo del 1999, presieduto dal consigliere Gerardo Forte, sindaco Sandro Bartolomeo, si riunì il Consiglio comunale di Formia per votare l’ “acquisizione del complesso immobiliare Seven Up – Gianola”. Dopo una discussione protrattasi due ore e mezza, presenti in Aula venticinque Consiglieri, la delibera passò all’unanimità.

VOLTI NOTI E UN SEGRETO PER POCHI – Un Consiglio comunale con tanti volti ancora oggi noti quello di quel marzo 1999. Tra gli altri, tutti custodi più o meno consapevoli di un segreto conosciuto da pochi, l’attuale vice sindaco Maria Rita Manzoil consigliere dimissionario Enrico Paone, il poi sindaco, dal maggio 2001 al febbraio 2003,  Antonio Mielel’imprenditore, già assessore, Aldo Zangrillol’ex cerimoniere del Sindaco e vice sindaco con Michele Forte, Benedetto Assaiantel’ex assessore provinciale Silvio D’Arcol’ex assessore al Bilancio con Michele Forte fino al 2013, Raffaele Manna, il socialista Pietro Filippo Matarazzo, l’ex assessore provinciale all’Ambiente, anche direttore amministrativo dell’Arpa, Massimo Giovanchelli, l’ex presidente di Rifondazione Comunista e attivista dei comitati contro Acqualatina, Marcello Zennaro, l’oggi presidente del Consind, consigliere azzurro, Salvatore Forte, il suo collega di partito e capogruppo Erasmo Picano, già presidente del Consiglio comunaleil prossimo assessore all’Urbanistica Maurizio Tallerini, il deputato al Parlamento nella XI e XIII Legislatura e membro della Commissione Finanze della Camera dei Deputati nella XI Legislatura, assente quel giorno, Clemente Carta.

Su di lui scrive Minieri ne “I Pascià”: nel 1979, “fece da mediatore tra la famiglia Iannarilli, proprietaria di un terreno in via Unità d’Italia a Vindicio, e la Immobiliare Tirreno in cui tra i soci fondatori figuravano Ernesto Bardellino, Alberto ” ‘a cocaina” Beneduce, il fratello Benito Beneduce e Giuseppe Natale”.

Presenti nella giunta di allora, l’ancora segretario del primo circolo del Pd formiano Francesco Carta, l’attuale consigliere Alessandro Zangrillo, il consigliere comunale, dimissionario, Maurizio Costa, in anni più recenti rivale dell’attuale Primo Cittadino al ballottaggio del 2013. Nell’aprile del 2000, poi, con l’ingresso in giunta dell’attuale assessore Eleonora Zangrillo, verrà votata anche la destinazione pubblica dell’immobile, acquisito dal proprietario Erminio Gerard Mallozzi il 31 luglio dello stesso anno.

ASTA O NON ASTA: VENDITA!

Una delle prime verità diffuse dal primo circolo del Pd di Formia, affermava che il Seven Up “fu acquistato dalla seconda giunta Bartolomeo ad un’asta giudiziaria per circa 400.000 euro. L’edificio fu destinato a diventare un importante centro congressi, di cui Formia sente, ancora oggi, la mancanza. La volontà di vendere questa struttura comporterebbe seri rischi di trasformare nuovamente la zona di Gianola in una base della criminalità organizzata”.

Il 16 gennaio del 2010invece, l’attuale Sindaco affermava: “L’ex Seven UP fu acquistato durante la mia seconda amministrazione, sottraendolo a una asta giudiziaria, per una cifra inferiore a 400.000 euro attuali“. E aggiungeva opponendosi anche lui alla vendita della struttura ipotizzata dall’allora amministrazione Forte: “L’acquisto del Seven UP ci apparve quindi una grande operazione di riscatto di questo passato così brutto di cui anche molti amministratori attuali di maggioranza dovrebbero aver memoria”.

Il 29 gennaio 2012, infine, una nota del Gruppo Consiliare del Pd confermava le cifre della transazione come le abbiamo lette dall’atto di compravendita: L’ex Seven-Up è stato regolarmente acquistato dal Comune di Formia  durante il secondo mandato del sindaco Bartolomeo dal suo legittimo proprietario, sottraendolo a un’asta fallimentare, per una somma di circa 700 milioni di lire”.

Tutto finito? No, perché il il 22 giugno 2015, in una conferenza stampa convocata sulle accuse mosse dalle opposizioni all’amministrazione a seguito del caso Piccolino, proprio sul Seven Up, il Sindaco rialzava le cifre della vendita portandole a un miliardo di lire, come da audio che riportiamo sotto: “La vicenda è chiara, parlano gli atti. Venni a sapere che l’ex discoteca era in vendita all’asta giudiziaria. Mi presentai accompagnato dai Carabinieri con un assegno da un miliardo di lire. Quel giorno al Tribunale di Latina c’era lo sciopero degli avvocati. All’asta ci presentammo solo noi ed uno strano individuo che dichiarò d’essere lì ‘per sentire’. A fine udienza, il giudice ci spiegò che l’unico creditore era una banca e che, se volevamo acquistare il bene, avrebbe lui stesso autorizzato la transazione col proprietario, proprio al fine di soddisfare il creditore. Tentare di negare che ci fosse un’asta giudiziaria è l’ennesima falsità di questa opposizione”.

AUDIO COMPLETO DELLA CONFERENZA STAMPA DEL 22 GIUGNO 2015 – dal minuto 15 AL MINUTO 17: IL SEVEN UP

http://www.h24notizie.com/public/uploads/2015/06/audio-FORMIA.mp3

I PIGNORAMENTI DEGLI ANNI ’70 E I NOMI IMPRONUNCIABILI

Pignoramenti che all’atto di vendita, il 31 luglio 2000, Erminio Gerard Mallozzi aveva dichiarato essere entrambi riferiti a procedure esecutive il cui debito “è stato integralmente soddisfatto e pertanto devono ritenersi, agli effetti di legge, perente”. E che tra l’altro non gli avevano impedito di sottoscrivere il preliminare di vendita con Roberto Bartolini il 28 aprile 1993, mai adempiuto e quindi oggetto di giudizio al Tribunale di Rimini. Che nella seduta del Consiglio comunale del 1999 portò più di qualche Consigliere, tra gli altri Giovanchelli, a manifestare forti mal di pancia per la “non chiara proprietà della struttura”.Eletto per la prima volta il 21 novembre del 1993, in quel pomeriggio di inizio primavera del 1999, il rieletto sindaco nel 1997 Sandro Bartolomeo, aprendo la discussione spiegava all’Aula riunita che già dalla passata legislatura si era interessato per l’acquisizione del Seven Up, inoltre specificando “che partecipò a suo tempo all’asta, asta che non ebbe luogo per lo sciopero degli avvocati, mentre nella successiva udienza il proprietario dimostrò di aver saldato il debito rientrando pertanto in possesso dell’immobile”. Una dichiarazione resa in Consiglio comunale e ripresa in diverse occasioni negli anni successivi, talvolta, come abbiamo documentato, inspiegabilmente corretta. E che oggi, con l’atto di compravendita che pubblichiamo, si chiarisce inequivocabilmente.

I DUE PIGNORAMENTI DEGLI ANNI ’70 – Una verità che appare incompleta quella del Primo Cittadino se non vengono specificati gli anni in cui si tenne l’”asta finita con uno sciopero” ma che dalla dichiarazione nel 2015, secondo cui “l’unico creditore era una Banca”, da quanto dichiarato in Consiglio comunale nel 1999 dal presidente Gerardo Forte, “Ringrazio il Primo Cittadino per la riservatezza con cui ha condotto la trattativa (quando rispose all’asta ci andò sotto scorta)”, è da far risalire sicuramente al primo mandato ovvero al 1993: l’anno in cui il Tribunale di Latina emise il bando di vendita essendo pendenti sul Seven Up un pignoramento del 28 giugno 1975 a favore di M.S. e uno, delle stesso anno, a favore della Sezione Autonoma per l’Esercizio del Credito Alberghiero e Turistico della B.N.L. : probabilmente la banca che citava il Sindaco. 

L’INTERVENTO DI PAONE E DELLE MINORANZE – Concetto ribadito a più riprese dal compianto, imprenditore e consigliere, Domenico Paone che, dopo l’interruzione richiesta dalla minoranza durante quel Consiglio primaverile, e aver poco prima affermato nel corso del suo intervento: “Sarebbe molto opportuno conoscere il nome del proprietario di tutto il complesso”, tornò in aula e lesse un documento delle minoranze: “Si ritiene che la delibera non sia stata preceduta da una seria ed approfondita istruttoria e ci sia una carenza di documentazione dal punto legale come tecnico – (carenza di visura ipotecaria) -. I gruppi di minoranza manifestano in proposito vive perplessità e invitano al Giunta e il Sindaco a richiedere una verifica preliminare della titolarità del lotto e dei fabbricati su di esso insistenti e la verifica dell’effettivo possesso materiale dei beni tutti. Tali richieste se accolte o inserite nel corpo della delibera consentiranno ai gruppi di minoranza di esprimere voto favorevole malgrado la superficialità riscontrata nella stesura del preliminare”.

Detto ciò uscì dall’Aula mentre il Sindaco, riprendendo la parola, rassicurò i Consiglieri, anche di minoranza, che l’acquisto era un affare stante il prezzo di mercato della struttura pari a un miliardo e mezzo di lire e l’accordo invece raggiunto a settecento milioni di lire. E tutti votarono all’unanimità l’approvazione.

UN VENDITORE SENZA NOME – Fatto anomalo, nessuno, nel corso di tutta la discussione consiliare, pronunciò mai il nome del venditore, Erminio Gerard Mallozzi, nè quello di Roberto Bartolini, che lo aveva portato in Tribunale, o di Aldo Ferrucci che per anni fu il deus ex machina della struttura e non solo, tanto meno di appartenenti al clan Bardellino, niente di niente. Nessuno sapeva chi fossero? Difficile da crederlo considerato che il “venditore” della struttura teneva un tenore di vita elevato, sicuramente non invisibile, negli anni ’70 assorto a celebrità grazie alla novità del suo primo locale. Così come del resto anche gli altri appena nominati. Che l’oggi Primo Cittadino nel 2010 affermava di ricordare bene: “Ricordo perfettamente gli anni nei quali il Seven UP ha funzionato come discoteca, punto di incontro delle famiglie di camorra penetrate ormai nel nostro territorio.  Ero un giovane consigliere comunale e insieme a Francesco Carta abbiamo avuto non pochi problemi, anche di carattere personale, per denunciare queste cose”. Evidentemente non a consegnare poi 720 milioni  di lire a personaggi apparsi decisamente contigui al clan, capitolo 6 del libro di Minieri, “Gerard Mallozzi, l’italofrancese che aprì alla camorra casalese con il suo Le Pacha”.

CONCLUDENDO – A sedici anni da quell’acquisto, infine, va tristemente anche quest’anno annotato che nessuna amministrazione, dopo alcuni timidi tentativi naufragati da subito perché la struttura diventasse, nell’ordine: sede del Parco suburbano Scauri – Gianola, sala congressi (senza un albergo? mah! ndr), sala concerti, centro contro i disturbi dall’alcolismo, ha ancora posto le basi per una concreta riqualificazione della struttura, di cui anche nei giorni scorsi alcuni hanno proposto la demolizione. Un dato inconfutabile che non può non alimentare sospetti sulla bontà di quell’acquisto a spese di tutta la comunitàVissuto all’epoca come un’occasione di riscatto nella lotta alla criminalità a cui far appassionare i cittadini con ancora negli occhi le morti dei magistrati Falcone e Borsellino nel 1992, nonostante sull’ex discoteca si siano combattute dure battaglie elettorali e dialettiche, cioè che resta concreto è che fu pagata a chi nei fatti diede inizio e contribuì con il suo silenzio remunerato a sventrare, oltre che una collina, un intero quartiere di una città che, ancora una volta, era sembrata non fare nessuna fatica ad abbassare servizievole la testa.