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Il massacro dei Buscetta, così i “Corleonesi” uccidono i parenti di Masino

Il massacro dei Buscetta, così i “Corleonesi” uccidono i parenti di Masino

L’11 settembre 1982 sparivano Benedetto e Antonio Buscetta. Il successivo 26 dicembre venivano uccisi sotto casa Gaspare e Michele Ficano, padre e fratello di Francesca, convivente di Giovannello Greco. Quello stesso giorno, nel locale “The New York Place”, i “Corleonesi” ammazzavano Giuseppe Genova, Orazio e Antonio D’Amico

A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA

27 marzo 2021 • 06:30

Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.

Si è creduto opportuno trattare organicamente gli omicidi in danno dei congiunti di TOMMASO BUSCETTA, stante la evidente unicità del movente e la connessione cronologica tra alcuni degli stessi.

Il 17 settembre 1982, D’AMICO DIANE – moglie di BUSCETTA BENEDETTO cl. 48 -, accompagnata dalla cognata BUSCETTA FELICIA, si presentava negli uffici della Squadra Mobile per denunciare la scomparsa del marito il quale, allontanatosi da casa il giorno 11 dello stesso mese verso le ore 9,30, non vi aveva più fatto ritorno, né aveva dato notizie di sé.

Dichiarava la donna – esprimendosi in inglese e con l’ausilio della cognata che fungeva da interprete – di essere la convivente del BUSCETTA e di aver avuto dallo stesso due bambine, nonché di essersi trasferita con questi da quattro anni a Palermo.

In questa città, precisava la D’AMICO, il marito e la sorella FELICIA gestivano una pizzeria nella via Dell’Artigliere 21 (il “NEW YORK PLACE”).

Il BUSCETTA si era allontanato a bordo dell’auto Volvo di colore amaranto targato “SA” e, poiché non era la prima volta che si allontanava per alcuni giorni senza avvertirla, non si era preoccupata.

Aggiungeva la D’AMICO di aver appreso dalla suocera che anche ANTONIO BUSCETTA – fratello di BENEDETTO e di FELICIA – era partito, casualmente, da Palermo quello stesso giorno 11, forse per andare a Roma e presentare appello contro una sentenza di condanna recentemente subita.

Dichiarava, infine, che, per quanto di sua conoscenza, il marito come unica attività lavorativa aveva la gestione della pizzeria.

Il 20 settembre 82 veniva sentita DE ALMAGRO IOLANDA la quale dichiarava che il suo convivente ANTONIO BUSCETTA la mattina del sabato 11 aveva lasciato la loro abitazione di Villagrazia di Carini, contrada “Piraineto”, ove stavano trascorrendo il periodo estivo, per recarsi a Palermo, recando con sé una valigia ed una borsa che doveva lasciare nella loro abitazione di via Croce Rossa, e da allora non ne aveva avuto più notizie.

Precisava che il convivente si era allontanato a bordo della sua auto “TRIUMPH M.G.” e che nella casa di via Croce Rossa aveva trovato quanto era contenuto nelle valigie e le chiavi della stessa auto che era parcheggiata sotto casa.

Aggiungeva come fosse intenzione del marito far ritorno negli Stati Uniti e, a tal proposito, avesse anche rinnovato il visto per tale paese ove voleva raggiungere il fratello DOMENICO, ma come tale decisione non l’avesse trovata consenziente.

Riferiva che anche il marito collaborava nella gestione della pizzeria unitamente a BENEDETTO e FELICIA e che non aveva altre attività.

Il precedente giorno 19 settembre, agenti della P.S. rinvenivano la Volvo di BUSCETTA BENEDETTO con lo sportello lato guida aperto, all’interno della quale vi erano una copia del “GIORNALE DI SICILIA” del giorno 11 settembre, le chiavi, nonché una valigia ed una borsa che la DE ALMAGRO riconosceva per quelle portate via dal convivente ANTONIO BUSCETTA.

BUSCETTA FELICIA dichiarava che il fratello BENEDETTO era cittadino italiano e, essendogli stato ritirato il passaporto, non aveva nessun documento valido per l’espatrio, mentre ANTONIO, essendo cittadino americano, aveva il passaporto di quel paese, dallo stesso rinnovato presso il consolato di Palermo proprio qualche giorno prima della scomparsa.

La DE ALMAGRO, risentita in data 4.2.84, ribadiva di non aver avuto più notizie del convivente e di essere convinta che lo stesso fosse rimasto vittima della “lupara bianca”.

Nelle prime ore del 26 dicembre 1982 – reduci da una cena in casa di congiunti – venivano uccisi sotto casa FICANO GASPARE e MICHELE, rispettivamente padre e fratello di FICANO FRANCESCA, convivente di GRECO GIOVANNI “GIOVANNELLO”.

Quello stesso giorno, verso le ore 18, veniva segnalata alla Centrale Operativa del gruppo carabinieri di Palermo una sparatoria verificatasi nel locale “THE NEW YORK PLACE” di via dell’Artigliere e i militari intervenuti rinvenivano all’interno di detto locale i corpi di GENOVA GIUSEPPE, D’AMICO ORAZIO e D’AMICO ANTONIO raggiunti da numerosi colpi di arma da fuoco. Il secondo veniva rinvenuto nella parte adiacente alla cassa, mentre gli altri due giacevano accanto alla porta che dal locale immetteva nella cucina.

IL RACCONTO DELLA FIGLIA DI DON MASINO

BUSCETTA FELICIA – figlia di TOMMASO, moglie del GENOVA e cugina dei due D’AMICO -, avendo assistito al triplice omicidio, riferiva:

– Di essere la figlia del noto MASINO BUSCETTA, nonché sorella di ANTONIO, BENEDETTO e DOMENICO;

– I suoi fratelli ANTONIO e BENEDETTO erano rimasti vittime della “lupara bianca”, mentre DOMENICO viveva in FLORIDA;

– Non aveva notizie del padre da quando questi si era reso irreperibile da Torino;

– Il locale era da lei gestito anche se, nel passato, quando si chiamava “IL GIRARROSTO”, era intestato al marito GENOVA GIUSEPPE, il quale ultimo aveva dovuto lasciare la gestione perché, tratto in arresto per detenzione abusiva di armi, non aveva più i requisiti per essere titolare di una licenza di P.S.;

– Quel giorno, verso le ore 18,30, quando nel locale non vi erano più avventori, aveva notato l’ingresso di un giovane dalla apparente età di anni 28 il quale aveva ordinato sei pizze da portare a casa;

– Aveva girato l’ordine al marito che si trovava in cucina, mentre il cliente, in attesa delle pizze, si era allontanato dal locale per prelevare, a suo dire, le sigarette lasciate in macchina;

– Il cliente era tornato accompagnato da altro giovane di età pressochè analoga ed aveva chiesto che le pizze fossero confezionate in due separati involucri;

– Aveva ricevuto una banconota da lire 100.000 in pagamento delle pizze per la quale lei dava il resto, mentre, contemporaneamente, notava che costui si introduceva nell’area riservata al personale preposto alla conduzione del locale;

– Esternava allo stesso il suo disappunto per l’anomalo comportamento, mentre anche l’altra persona seguiva il primo avventore e chiedeva di parlare con il titolare del locale;

– Spiegava ai due come il titolare fosse lei, ma questi chiedevano di parlare con chi aveva confezionato le pizze;

– Mentre si accingeva a chiamare il marito che si trovava in cucina, i due estraevano due pistole a tamburo dalle cintole dei pantaloni;

– Suo cugino ORAZIO, avendo intuito l’incombente pericolo, dopo aver lasciato la cucina ove si trovava insieme al GENOVA ed al fratello ANTONIO, ingaggiava una violenta colluttazione con la persona che per ultima era entrata nel locale, mentre la prima, già introdottasi in cucina, esplodeva numerosi colpi di arma da fuoco contro i suoi altri due congiunti;

– D’AMICO ORAZIO non riusciva ad avere la meglio sulla persona armata che, divincolatasi, lo uccideva;

– Dopo la consumazione del triplice omicidio e l’immediata fuga dei killers, era corsa in strada per chiedere aiuto ed aveva incontrato l’Avv. ANTONINO CATALANO – suo legale di fiducia – al quale aveva sommariamente riferito l’accaduto, pregandolo di avvisare le forze dell’ordine;

– Nel locale, al momento della sparatoria, non vi era alcun avventore, ma solo un bambino di 12 anni che espletava le mansioni di lavapiatti (cognato GIOVANNI);

– Quale causale del triplice omicidio indicava la parentela che legava le vittime al proprio genitore.

Sulla base della descrizione della BUSCETTA, veniva composto un photophit della persona entrata per prima nel locale, ma sulla base dello stesso non si riusciva ad individuare l’omicida.

D’AMICO DOMENICO, padre delle due omonime vittime, – coniugato con CAVALLARO ANGELA, sorella, quest’ultima, di CAVALLARO MELCHIORRA prima moglie di TOMMASO BUSCETTA – riferiva come la presenza dei suoi figli fosse del tutto occasionale nel locale, dato che i due espletavano attività lavorativa consistente nella coloritura dei pali delle FF.SS. del compartimento di Palermo.

Il D’AMICO si diceva convinto della “accidentalità” della morte dei figli, dato che obiettivo dei killers non poteva non essere il GENOVA quale genero di TOMMASO BUSCETTA, così come erano rimaste vittime della “lupara bianca” i figli di costui, BENEDETTO e ANTONINO. CAVALLARO CARMELA – madre dei due D’AMICO – rendeva dichiarazioni del tutto identiche a quelle del marito.[…].

LO STERMINIO DEI BUSCETTA

Nemmeno tre giorni dopo gli omicidi del GENOVA e dei D’AMICO – il 29 dicembre – venivano uccisi, nella loro vetreria di Viale Delle Alpi, BUSCETTA VINCENZO ed il figlio BENEDETTO, rispettivamente fratello e nipote di TOMMASO BUSCETTA.

Il duplice omicidio si verificava verso le ore 11,30 circa e gli agenti di polizia accorsi rinvenivano a pochi metri dall’entrata della fabbrica il cadavere di BUSCETTA BENEDETTO crivellato da numerosi colpi di arma da fuoco, mentre negli uffici della stessa, seduto ancora alla sua sedia e con la penna in mano, trovavano il cadavere di BUSCETTA VINCENZO.

DURANTE MARIA, nuora di BUSCETTA VINCENZO, presente sul posto al momento del duplice omicidio, dichiarava di essere la moglie di BUSCETTA DOMENICO, figlio e fratello delle vittime.

Tutta la famiglia di VINCENZO BUSCETTA, comprese anche le donne e, cioè, la suocera, la moglie di BUSCETTA ANTONIO e lei, moglie di BUSCETTA DOMENICO, erano interessati alla conduzione della fabbrica di specchi.

Quella mattina si erano presentati negli uffici della fabbrica due individui i quali avevano chiesto di acquistare uno specchio da bagno.

Aveva personalmente chiesto ai due di scegliere lo specchio tra quelli esposti nella apposita sala e, nel frattempo, era subentrato BUSCETTA BENEDETTO al quale i due ribadivano la richiesta.

Il cognato li accompagnava nella sala di esposizione, mentre lei rimaneva davanti la porta d’ingresso degli uffici.

Dopo cinque o dieci minuti il cognato ritornava con i due, dirigendosi verso l’altro ufficio ove i clienti solitamente pagano e ritirano la merce acquistata.

Per entrare in questo ufficio era necessario uscire all’esterno e, quindi, rientrare per l’ingresso attiguo a quello ove lei si trovava.

Dopo alcuni minuti era stata attratta dalla esplosione di diversi colpi provenienti dall’ufficio ove il cognato si era recato con i due clienti e, così, per timore, si era buttata a terra.

Cessati gli spari, dopo alcuni minuti, si era recata negli uffici e davanti la porta di ingresso aveva visto il cadavere del cognato BENEDETTO, mentre all’interno dell’ufficio vi era il cadavere del suocero.

Subito dopo giungevano alcuni operai e uno di questi, su sua richiesta, telefonava al “113”.

Nulla sapeva riferire sui due “clienti”, se non l’età, apparentemente sui 30-40 anni, la regolare corporature e la normale statura.

Giustificava tale sua impossibilita’ di fornire dati più precisi con il fatto di aver scambiato solo poche parole con gli stessi, mentre era subito intervenuto il cognato. I due, comunque, non destavano alcun sospetto tale da poterla determinare a soffermarsi sui loro dati somatici o sul loro abbigliamento.

Gli operai presenti in fabbrica non erano in grado di riferire alcunché di utile poiché, tutti intenti al lavoro, non erano stati testimoni oculari del duplice omicidio.

CAVALLARO ROSA – moglie di VINCENZO e madre di BENEDETTO – precisava che il marito, proprio a causa del fratello TOMMASO aveva avuto numerosi guai con la giustizia e perciò, lungi dal frequentarlo, lo odiava. Anche il figlio BENEDETTO non era in buoni rapporti con lo zio.

La morte del GENOVA era loro dispiaciuta anche perché era considerato un bravo ragazzo ed un ottimo lavoratore, ma non lo frequentavano.

Anche dopo la morte del GENOVA, il marito non aveva esternato alcun timore ed, anzi, si recava regolarmente a lavorare.

BUSCETTA DOMENICO ed ANTONINO – figli di VINCENZO – ricollegavano la uccisione dei loro congiunti a lotte interne ai gruppi malavitosi che vedevano protagonista lo zio TOMMASO ed alle quali loro erano totalmente estranei per non aver mai operato in contesti criminali.

Le prime, evidentissime, connessioni tra gli omicidi del GENOVA e dei D’AMICO da una parte e di VINCENZO BUSCETTA e del figlio BENEDETTO dall’altra, si rilevano nella parentela delle vittime con TOMMASO BUSCETTA, nella successione cronologica (nemmeno tre giorni tra i due fatti) nonché dalle modalità con le quali i killers si introducevano nel “THE NEW YORK PLACE” e nella vetreria: sempre due finti clienti i quali, dopo aver ben individuate le vittime a seguito di acquisto di merce, facevano fuoco sulle stesse.

Le connessioni tra la scomparsa dei figli di BUSCETTA TOMMASO e gli omicidi della pizzeria si rilevano tra l’altro nella comproprietà dell’esercizio tra tutti i figli del predetto residenti a Palermo e ciò, come si dirà, non è elemento da sottovalutare.

Le connessioni tra gli omicidi dei FICANO, dei D’AMICO, del GENOVA e dei BUSCETTA si rilevano, oltre che dalla successione cronologica, da una circostanza che ancor più spiega tale quasi-contestualità e che veniva riferita da STEFANO CALZETTA con dovizia di particolari. […].

Si è anche detto che GIOVANNELLO GRECO si era già recato in altre occasioni in Brasile e che in detto paese – via Zurigo – in altra epoca si era recata anche una persona che aveva esibito il passaporto dell’Ing. IGNAZIO LO PRESTI.

TOMMASO BUSCETTA ha sempre negato di aver incontrato in Brasile il citato GRECO, ma, pur non essendoci motivi per dubitare di tali affermazioni, non si puo’ del pari dubitare che gli avversari e del BUSCETTA e del GRECO avevano buone ragioni per credere che tra i due ci fossero stati e ci fossero dei contatti e che il ritorno del secondo a Ciaculli per compiere un attentato ai danni dei GRECO fosse stato propiziato dal primo.

[…] Si è già altre volte evidenziato come la strategia della “terra bruciata” intorno a personaggi quali GAETANO BADALAMENTI, SALVATORE CONTORNO, GIOVANNELLO GRECO e lo stesso TOMMASO BUSCETTA tendesse a privare gli stessi – difficilmente raggiungibili dai sicari – di qualsiasi supporto logistico nel caso avessero deciso di tornare in Sicilia.

[…] Da rilevare che il giorno 8 marzo 83 – a Fort Lauderdale negli U.S.A. – venivano uccisi anche GIUSEPPE ROMANO – complice di GIOVANNELLO GRECO nella “tufiata” di Ciaculli – ed il suo amico TRAMONTANA GIUSEPPE già coinvolto in altre vicende giudiziarie con BUSCETTA TOMMASO.

Il BUSCETTA, ovviamente, poteva trovare solo nei suoi congiunti palermitani una base di appoggio.

Nel GENOVA senza dubbio, dato che questi era legato ai figli da legami di parentela e di affari. La gestione del “THE NEW YORK PLACE”, infatti, aveva costituito un ulteriore motivo di coesione familiare e non v’è dubbio che, stanti gli stretti rapporti di TOMMASO BUSCETTA con i figli ANTONIO e BENEDETTO, gli stessi e, conseguenzialmente il GENOVA, non gli avrebbero mai potuto negare aiuti e protezione.

Anche VINCENZO BUSCETTA – nonostante le contrarie dichiarazioni dei familiari – manteneva saldi legami con il fratello.

[…] Ed, ancora, parlando della famiglia di MADONIA FRANCESCO, TOMMASO BUSCETTA indicava in GAMBINO GIACOMO GIUSEPPE un membro della stessa e riferiva come questi avesse tentato una estorsione ai danni del “NEW YORK PLACE”.

Tale tentativo, riferitogli dal figlio ANTONIO, veniva neutralizzato proprio perché, su suo suggerimento, il figlio gli aveva fissato un appuntamento telefonico con il predetto il quale, pero’, non si era fatto più vivo.

Tale episodio, di cui si tratta oltre, (essendo, appunto, il GAMBINO imputato di tentata estorsione ai danni dei congiunti del BUSCETTA) è, comunque, indicativo dei rapporti che legavano il BUSCETTA ai suoi familiari.

Non vi è, quindi, dubbio alcuno che i congiunti del BUSCETTA siano stati soppressi proprio perché i rapporti dei primi con il secondo – nonostante qualche comprensibile risentimento per l’abbandono della prima moglie MELCHIORRA CAVALLARO, esplicitato dalla figlia FELICIA – erano rimasti saldi e ciò non poteva non sfuggire alle cosche avversarie.

Quanto alla scomparsa dei figli del BUSCETTA, non v’è, del pari, dubbio che si sia trattato di una soppressione rientrante nella medesima logica della “terra bruciata”.

La convinzione che ci si sia trovati di fronte ad un caso di “lupara bianca” è stata espressa da tutti indistintamente i congiunti dei due ragazzi, compreso il padre.

Il rinvenimento dell’auto di BENEDETTO con i bagagli di ANTONIO, nonché il rinvenimento dell’auto di quest’ultimo sotto casa con la biancheria, già contenuta nei bagagli, regolarmente lasciata nella abitazione, dimostrano come non si sia trattato della messa in scena di due che si erano volontariamente eclissati (“canziati”), bensì del sequestro dei giovani che erano stati sorpresi nell’auto di BENEDETTO.

Del resto nessuno dei familiari ha mai fatto mistero sulla permanenza dell’altro figlio, DOMENICO, in Florida e, quindi, sarebbe stato assai strano che solo per ANTONIO e BENEDETTO si fossero prese tante precauzioni per simulare una loro soppressione.

Testi tratti dall’ordinanza del maxi processo

Fonte:https://www.editorialedomani.it/