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”Democrazia sospesa” di Reggio nelle parole del pentito Seby Vecchio

”Democrazia sospesa” di Reggio nelle parole del pentito Seby Vecchio

Alessia Candito 07 Febbraio 2021

Dall’ex sindaco Scopelliti a Caridi. Trema la politica?

Una Giunta che si limitava a prendere atto di decisioni prese altrove perchéera già tutto fatto, preconfezionato”. Un sindaco notoriamente vicino ai De Stefano, lo sanno anche i bambini”. Il battesimo ufficiale da assessore che passa per la presentazione a Paolo Romeo, all’epoca già condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa come eminenza grigia del clan De Stefano. Parola dell’ex assessore ed ex poliziotto Seby Vecchio, arrestato nell’ottobre scorso come politico di riferimento del clan Serraino e oggi pentito di ‘Ndrangheta.

La democrazia sospesa di Reggio Calabria
Con le sue prime dichiarazioni, Vecchio non avrebbe potuto essere più chiaro nel confermare quello che già la sentenza del rito abbreviato Gotha ha messo nero su bianco in primo grado e in appello ed emerge – udienza dopo udienza – in ordinario. Per decenni Reggio Calabria ha vissuto una democrazia sospesa, limitata, mutilata dalla ‘Ndrangheta, con la consapevole collaborazione e connivenza di chi da rappresentante delle istituzioni avrebbe dovuto difenderla.
Perché – affermano le due sentenze Gotha e oggi sembra confermare l’ex assessore – le elezioni a Reggio Calabria sono state una farsa.
Quando parlavamo a tavola, io ero vicino a Peppe (Scopelliti, ndr)  racconta il pentito Seby Vecchio Peppe mi ha detto insomma mi sembra una buona operazione, di là, di là rivolgendosi lato nord della città, Archi, insomma ste cose qua, siamo coperti, se di qua siamo coperti pure, insomma, mi sembra che stiamo andando abbastanza bene. Ecco, questa è una deduzione che facciamo io e Peppe Scopelliti in un attimo a tavola, significa siamo coperti a livello di zona, a livello di ‘Ndrangheta perché se qua ci sono i Serraino e là ci sono i De Stefano, in quel caso parlando tra me e lui, ecco la mia deduzione nasce proprio da questo interloquire con Peppe Scopelliti.

Politici selezionati
Era la ‘Ndrangheta, nella sua direzione strategica – hanno ipotizzato i magistrati, confermato le sentenze e ribadisce oggi l’ex assessore Vecchio – a definire le consultazioni ancor prima che si aprissero le urne. Erano gli avvocati
Giorgio De Stefano, condannato di recente anche in appello, e Paolo Romeo, attualmente a giudizio in ordinario, a individuare uomini, candidati e politici di riferimento dei clan o – all’occorrenza – a costruirne la carriera a tavolino.
Con storie, ruoli e “padroni” diversi, tali erano l’ex senatore
Antonio Caridi e l’ex sottosegretario Alberto Sarra, entrambi imputati nel processo con il rito ordinario. Tale – emerge dalle carte ed afferma l’ex assessore oggi pentito – appare il ruolo dell’ex sindaco ed ex governatore Giuseppe Scopelliti, indagato per reato connesso e per questo autorizzato ad avvalersi della facoltà di non rispondere quando mesi fa è stato chiamato a testimoniare nel processo Gotha. Del resto, anche il gup sul suo ruolo non avrebbe potuto essere più chiaro.

Il sindaco su misura
La rilettura del materiale investigativo – si leggeva nelle motivazioni della sentenza di primo grado – dimostra che nell’anno 2002 Romeo Paolo e De Stefano Giorgio hanno avuto un ruolo determinante per le elezioni del sindaco del Comune e del presidente della Provincia di Reggio Calabria e nella formazione dei rispettivi Consigli e Giunte”. E dalle società miste agli appalti, dalle nomine agli eventi “culturali” determinate – emerge dalle carte – è stata l’ombra della direzione strategica dei clan nell’agire quotidiano di quelle amministrazioni che Giuseppe Scopelliti ha guidato.
Cane di mandria” lo definiva Paolo Romeo intercettato mentre definiva a tavolino assetti politici ed elezioni. E fedele a ordini che altri e altrove definivano lo racconta Seby Vecchio. Fare Giunta con Giuseppe Scopelliti era una gran presa per il culo – mette a verbale – ci sedevamo, qualcuno ogni tanto dei suoi, del cerchio magico faceva qualche parte, ma non c’era considerazione, era già tutto fatto eh… preconfezionato”. Possibilità di opporsi? A detta di Vecchio, zero. Se volevi era così sennò era lo stesso, o te ne andavi a casa”. Tutto veniva deciso altrove. Fin da quando Scopelliti è stato eletto e – a quanto pare – anche oltre il termine del suo mandato, quando già governava da presidente della Regione e Giuseppe Raffa era diventato sindaco facente funzioni.

Modello Reggio, modello di cartone”
Le pagine più buie della mia carriera politica” le ha definite lo stesso Raffa quando è stato sentito in Gotha, ricordando i mesi in cui “mi sono ritrovato con una giunta ammutinata, dopo tre riunioni andate a vuoto, con la quarta convocazione da effettuare con la polizia municipale”. Ed oggi è arrivato Vecchio a spiegare come e perché. “Io e Demetrio Porcino ci siamo ritrovati in due, tre Giunte, adesso non ricordo nello specifico, da soli, con Giunta convocata, eh… e non riuscivamo a capire (…). Alla fine siamo arrivati ad essere invitati a casa di Peppe Sergi, in maniera, non mi ricordo con chi”. Era lì che si riuniva quello che l’ex assessore definisce “il cerchio magico”. Comunque, un privilegio – dice – riservato a pochi. “Dissi io: ‘Eh, mamma mia!’, mi sentivo quasi importante, no? Ho detto: «No, mi invitano eh!” non avevo capito, sono stato rimproverato da Scopelliti perché non avevo capito che non si doveva andare in Giunta perché era entrata la guerra tra Scopelliti e Raffa, come ben lei sa, suppongo, per il Decreto Reggio. Ecco questo era l’andazzo della situazione politica”.
Questione di soldi – pubblici – di cui altri e altrove avevano deciso destino e impiego. E di certo – su questo basta dare un’occhiata alla città – non per il bene della collettività. Lo hanno confermato poi le dettagliate informative finite agli atti di diversi processi che hanno dimostrato come ad accaparrarsi appalti e cantieri di opere spesso mai finite siano state opache Rti (raggruppamento temporaneo di imprese) dietro cui si nascondeva la ‘Ndrangheta. E quel “Modello Reggio” che in città e in regione c’è ancora chi osanna, per chi come Vecchio ne ha fatto parte era un “
modello di cartone, cioè tutto fatto, tutto ben… aveva lavorato abbastanza bene Peppe e chi dietro di Peppe Scopelliti. E dietro l’allora sindaco c’era la ‘Ndrangheta. Lo dice chiaro l’ex assessore Scopelliti era “vicino ai De Stefano, lo sanno pure ormai i ragazzi dell’asilo”.

Il rodaggio di Peppe Scopelliti e le “tirate d’orecchio” dei clan
Lo si intendeva leggendo fra le righe delle conversazioni intercettate fra
Paolo Romeo e Giorgio De Stefano finite agli atti del procedimento Mammasantissima (poi confluito in Gotha). E anche diversi pentiti – incluso Nino Fiume, che era persino stato invitato al matrimonio dell’allora sindaco – su questo erano stati chiarissimi. Uno per tutti, Consolato Villani. Intervistato qualche anno fa, l’autore materiale degli attentati ai carabinieri con cui la ‘Ndrangheta ha firmato la propria partecipazione alla strategia stragista, sul punto era stato cristallino “tutta l’Archi l’ha preso, l’ha portato al Comune e gli ha detto ‘fai il sindaco’”.
E quando Scopelliti ha iniziato ad avere qualche temporanea difficoltà, è sempre a casa dei clan che bisogna bussare per capire il perché. Era il periodo degli attentati alla Leonia, dei problemi sui cantieri. “
Gli hanno sparato il camion, hanno fatto qualche piccolo danno, che per chi non sa non si riusciva a capire, però Mimmo mi confermava invece che era tutto in virtù di questa spartizione economica da parte di Scopelliti troppo verso i De Stefano e non a parificazione con le altre famiglie di un certo peso”. Erano i mesi in cui la popolarità dell’allora sindaco sembrava ai minimi storici. “C’è stato un momento che è stato fischiato in un pubblico comizio Peppe Scopelliti… forse gli hanno tirato un pochettino le orecchie anche l’altro schieramento, cioè i Condello, parliamo delle famiglie più grosse. Questo lo vengo a sapere ma lo vedo in prima persona” dice Seby Vecchio. Ma il “chiarimento” è arrivato – spiega – grazie all’ex sottosegretario regionale, Alberto Sarra.

Clan, decreto reggio, affari, le conferme (difensive) di Alberto Sarra
Imputato nel maxiprocesso
Gotha, dopo l’arresto Sarra ha iniziato a rendere dichiarazioni, ma senza mai – almeno nelle intenzioni – confermare l’accusa di politico dei clan che la Dda gli contesta. Anche al processo ha tentato di mostrarsi come una vittima del sistema piuttosto che un ingranaggio. Ma pur tentando di chiamarsi fuori, non ha potuto fare a meno di ammettere che la ‘Ndrangheta, nei suoi massimi vertici, abbia pesato – e molto – sulla vita politica, amministrativa, economica e persino culturale di Reggio Calabria. “A Reggio, negli anni ’90, c’era un comitato d’affari costituito da una parte della politica locale e nazionale e una parte di imprenditoria – dichiara in aula – C’era anche un sistema che riguardava persone legate a questi ambienti con ruoli diversi”. E sul “successo” di tanti suoi compagni di strada dell’epoca. “La carriera di Scopelliti senza Paolo Romeo non ci sarebbe stata. Come non ci sarebbero state – afferma – quelle di Umberto Pirilli, Pietro Fuda, Gianni Bilardi e Antonio Caridi“.
Sul piatto, ha spiegato nel corso delle innumerevoli udienze necessarie perché completasse esame e controesame – c’era la partita della gestione dei fondi e dei servizi pubblici. Le miste, le grandi e piccole opere, il decreto Reggio. “
La sua gestione – dice in riferimento a quest’ultimo – smuoveva interessi enormi. Cifre imponenti che finivano a imprese non tutte prive da problematiche mafiose. Ecco perché Giuseppe Scopelliti volle guidare la partita in prima persona nel momento in cui si candidò alla presidenza della Regione, tanto da estromettere dalla gestione anche il sindaco pro-tempore Giuseppe Raffa perché questi si rifiutava di firmare atti e documenti che gli venivano sottoposti da consulenti del comune fedeli allo stesso Scopelliti”. Nel corso delle sue audizioni, si è sempre raccontato vittima di un sistema che avrebbe addirittura combattuto. Adesso però è chi di quel sistema faceva parte a smentirlo.

Vecchiosarra più spregiudicato e mi ha portato da Paolo Romeo”
Sarra, afferma
Seby Vecchio, era anche “uno più spregiudicato”. È stato lui a introdurlo subito, appena eletto, alla corte di Paolo Romeo. “Mi ha detto – si legge nei verbali – ‘non prendere impegni, dobbiamo andare cinque minuti a presentarti una persona’, e poi non so se durante il tragitto mi ha detto che si trattava di Paolo Romeo o meno, ma mi sembra proprio di sì”. Il motivo? “non è stato esplicito nello spiegarmi il perché, però era tipo come una presentazione, uso un termine, me lo può passare, tipo ‘togliere il cappello a qualcuno’, perché, insomma, io a Paolo Romeo non lo conoscevo, sinceramente, cioè lo conoscevo come persona, non, non avevo mai avuto il piacere dì conoscerlo personalmente, no?”. Da Romeo – racconta – sarebbe arrivato il via libera per essere presentato ad altri. “Romeo – continua a raccontare il neo collaboratore – disse a Sarra di presentarmi anche a Marcello e agli altri”. E quel Marcello, spiega Vecchio, poteva essere solo Cammera, ex dirigente di massimo livello al Comune di Reggio Calabria, imputato in Gotha come longa manus di Paolo Romeo, a cui era legato da rapporti anche paramassonici. “In quel contesto politico in cui ci trovavamo e in quel momento storico non conosco nessun altro Marcello che Sarra potesse presentarmi”.

Il sistema nel sistema
A detta di Vecchio però, non sarebbe bastato per entrare nel giro dell’assegnazione dei grandi appalti.
Se si voleva e se facevi parte veramente di una situazione… potevi pure ottenere qualcosa, potevi favorire qualcuno. Ma invece là c’era un rodaggio abbastanza ben oleato” racconta Vecchio. Sfortunatamente – aggiunge – non sono riuscito ad entrare in questo benedetto meccanismo, però le ditte che già avevano un.. una strada aperta, insomma, con l’amministrazione comunale in quel momento – adesso non è che ricordo tutti i nomi – ma erano sempre le stesse, Insomma, eh, mi ricordo che c’era Gironda, c’era… Gironda me lo ricordo sicuro, altri nomi in questo momento proprio mi sfuggono c’era un altro signore di Cetona, bassino, con i capelli neri, un imprenditore, però non ricordo il nome, le direi una bugia, però se lo vedo mi ricordo che è lui, ma non il nome”.
Insomma, c’era un sistema più ristretto e di grado superiore al mondo di cui Vecchio faceva parte e a cui lui – nonostante gli sforzi – non è riuscito ad avere accesso.
Io speravo e ho cercato in tutti i modi anche di capire da quale finestra o da quale portone potessi entrare a fare parte anche io ed ottenere almeno, almeno l’un per cento di un qualcosa che potesse venire comodo a me e chi, magari, in quel momento mi veniva voglia di favorire cioè, parliamoci chiaramente e non mi vergogno a dirlo”.
Il giro grosso però era un altro.
Leo Caridi, che era sempre insieme a Sarra e Mimì Sconti, dove Scopelliti garantiva a Mimì Sconti, a Caridi, insomma, di stare tranquilli che c’era Sarra che faceva, insomma, da equilibrio, non si dimenticava di loro” sottolinea l’ex assessore che chiarisce subito, Leo Caridi è il fratello del più famoso Nino Caridi, genero di Mico Libri uno dei più importanti boss dei clan reggini. Mimì Sconti era stato arrestato da poco” aggiunge per poi sintetizzare “erano uomini di ‘Ndranqheta”. E la cosa non era un segreto per nessuno, fa intendere. Del resto Leo Caridi era sempre con Sarra, quindi ogni qual volta c’era Sarra che si incontrava con Scopelliti, Leo Caridi era il “segretario” di Sarra”. Ovviamente, spiega, non si trattava di un incarico formale. Era lì a registrare accordi di spartizione. Su cosa? “Gli interessi, parliamo sempre dei dati economici, degli appalti, soldi, dove… posti di lavoro, tutto quello che la politica può fornire” dice il neo-collaboratore.

Il garante degli equilibri mafiosi
Insomma, Sarra era un garante. Ed è stato lui – spiega – a farsi carico delle “incomprensioni” con quei clan che da Scopelliti si sentivano trascurati.
Reggio mangiava sulu i nu latu” (mangiava solo da una parte). Ed era la parte dei De Stefano. Quindi è toccato all’ex sottosegretario “mettere a posto” le cose. Avviene – racconta – nel corso di un viaggio a Roma. Quando salivamo a Roma abbiamo incontrato al Caffè De Paris, mi presentarono il gestore, il proprietario, adesso non mi ricordo che ruolo aveva. Mi sono messo a ridere perché mi ha detto che lui era prima barbiere a Sinopoli, e invece là è arrivato col Porsche Cayenne”. Il noto caffè di via Veneto è stato confiscato anni fa al clan Alvaro. Ma che fosse di loro proprietà Vecchio lo sapeva ancor prima che venissero messi i sigilli. Alberto si incontrava, insomma, con questi degli Alvaro, poi alla fine me li hanno presentati come quelli degli Alvaro”. E lui, all’epoca poliziotto non ha mai avuto alcunché da ridire. Anzi. La sera si usciva, si andava in qualche night a passare la serata, tutti ospiti di questi signori degli Alvaro”. Ed è proprio alla corte del potente clan di Sinopoli che avviene il chiarimento sulla spartizione di Reggio Calabria. Un giorno – mette a verbale – abbiamo preso un taxi e siamo andati, io non conosco bene, a parte il centro di Roma, su una collinetta che potrei dire, potrei dire un convento, Alberto scese e lo e Mimmo Morabito abbiamo aspettato fuori”.

Incontri e spartizioni
All’incontro che era in programma all’interno la loro presenza non era ammessa. Però hanno avuto modo di vedere chi fosse ammesso a partecipare.
È passato un signore e Mimmo mi ha detto: “Sai chi è quello?”. Io sinceramente dissi: “No, non so chi è”, ed era Paolo Martino, mi sono fatto dire in poche parole perché, onestamente non ero al corrente, per quanto potevo essere alla squadra mobile, cioè questo Paolo Martino non lo conoscevo, non sapevo l’esistenza. Lui mi spiegò la figura carismatica, ‘ndranghetistica di Paolo Martino. Il cugino prediletto di don Paolino De Stefano, l’ambasciatore degli arcoti a Milano. E da Morabito, Vecchio apprende anche il motivo della riunione Fatti i cazzi tuoi, mi disse (..) devono aggiustare alcune cose a Reggio perché mi sa tanto che tuo compare – mio compare è Peppe Scopelliti perché mi ha fatto il testimone al matrimonio – dà troppo verso i De Stefano e deve darsi una regolata”. Una conferma sarebbe arrivata poi dallo stesso Sarra. Quando è rientrato in macchina – spiega il neo collaboratore – l’unica cosa che mi ricordo (…) alzandosi le maniche della giacca disse: ‘Ora virimu se Peppi si da ‘na regolata o meno” (ndr. Adesso vediamo se Peppe cambia atteggiamento o meno) Scopelliti ha continuato a governare. Inchieste come Meta hanno disegnato negli anni successivi il perimetro degli interessi degli Alvaro nel centro di Reggio Calabria, scoveranno i lidi che avevano ricevuto in gestione sul lungomare. Superato il momento di impopolarità, l’allora sindaco torna a scalare le classifiche di gradimento. Determinante è il misterioso ordigno che nell’ottobre 2004 viene ritrovato nei bagni del Comune di Reggio Calabria e in tempi record identificato come minaccia all’indirizzo dell’allora sindaco, che da allora si è ammantato dell’aura di “amministratore bersaglio della ‘Ndrangheta”. Una bomba su cui molti negli anni hanno espresso dubbi e su cui i magistrati hanno sempre voluto vederci chiaro. E magari potrebbe essere proprio Vecchio a fornire qualche nuovo elemento per continuare a scavare.

Fonte:hhttps://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/82115-democrazia-sospesa-di-reggio-nelle-parole-del-pentito-seby-vecchio.html