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I PROTAGONISTI DI FORMIA CONNECTION (QUASI) TUTTI FUORI: SCARCERATO BARDELLINO

30 Aprile 2020

Agli inizi del mese di marzo, Angelo Bardellino, il nipote del fondatore del Clan dei Casalesi, è stato scarcerato da Rebibbia per decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma

Quando si parla di lui, nel sud pontino (e non solo), non è come menzionare un quisque de populo tra le migliaia di individui che nelle settimane di marzo hanno lasciato le patrie galere: al 31 marzo, infatti, come riporta l’associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale” Antigone, i detenuti presenti nelle carceri italiane erano 57.846, 3.384 in meno rispetto alla fine di febbraio; un calo delle presenze complessivo del -5,5% della popolazione detenuta in Italia.

Ma Angelo Bardellino, conosciuto negli ultimi anni come impresario discografico e cinematografico, non è uno qualunque se anche la Direzione Investigativa Antimafia, nell’ultimo rapporto semestrale, ha sentito il bisogno di citare, nel resoconto usuale il fatto, che l’1 giugno 2019, dopo sentenza passata in giudicato, è stato incarcerato. Un fatto importante per la Dia evidentemente, poiché chiunque legga quelle relazioni sa bene che vengono citate le operazioni di polizia, le ultime investigazioni, ma mai, o quasi, le sentenze di Cassazione di vicende ed episodi che, in questo caso, avevano più di 15 anni.

Sono così stati arrestati – scriveva la Dia nella Relazione pubblicata a gennaio 2020 – 4 soggetti, di cui uno ritenuto esponente di spicco del clan dei CASALESI, colpevoli di numerose estorsioni, minacce e aggressioni nei confronti del responsabile di una cooperativa che all’epoca svolgeva opere di manutenzione appaltate dal Comune di Formia e che era stato costretto a versare parte dei compensi ricevuti all’organizzazione criminale“. E agli arresti, infatti, oltre che a Bardellino “ritenuto esponente di spicco”, in quel giugno 2019, finirono anche Tommaso DesiatoFranco D’Onorio De Meo e Giovanni Luglio condannati tutti e quattro per estorsione in concorso con utilizzo di armi da fuoco.
Le condanne definitive della Corte di Cassazione, come noto, si riferivano alle indagini condotte dalla Questura di Latina dal 2003 al 2004 (relative, per l’appunto, all’operazione “Formia Connection”) che permisero di accertare “
una lunga scia di estorsioni, minacce e pestaggi ai danni del presidente della Cooperativa “Solidarietà Sociale” (ndr: Giovanni Cianciaruso) che all’epoca svolgeva lavori di manutenzione per l’amministrazione comunale“. Tuttavia, Bardellino, che finirà di scontare la sua pena di circa 5 anni e mezzo ai domiciliari (parrebbe a Scauri) per decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, su istanza dei suoi avvocati difensori Pasquale Cardillo Cupo ed Emilio Martino, non è l’unico dei protagonisti di Formia Connection ad aver lasciato il carcere. Con lui anche il formiano Giovanni Luglio (pena da scontare: 3 anni circa), difeso dall’avvocato Mattia Aprea, detenuto fino a poche settimane fa nel carcere di Via Aspromonte a Latina, e tornato sotto i riflettori della cronaca quando uno dei pentiti di Alba Pontina, Agostino Riccardo, lo citò nei verbali resi alla DDA di Roma (nel 2018): “Se dovevamo fare estorsioni fuori dal territorio di Latina ci rivolgevamo alle organizzazioni criminali che controllavano il territorio o a persone che le rappresentavano, ad esempio…” per Formia” c’era “Gianni Luglio, affiliato al clan Bardellino“.

Per quanto riguarda gli altri due detenuti, arrestati nella medesima esecuzione del giugno scorso, le istanze presentate dall’avvocato Cardillo Cupo saranno discusse a breve, entro i primi di maggio. Ecco perché anche Tommaso Desiato (pena da scontare: 4 anni e 7 mesi) e Franco D’Onorio De Meo (pena: 3 anni e 11 mesi), detenuti nel carcere di Cassino, potrebbero lasciare il carcere a breve e scontare anche loro il residuo della loro pena a Formia.

Una situazione che, pur essendo pienamente legittima a leggi e ordinamenti vigenti, sta creando non poche pene all’ex compagna di Tommaso Desiato, la signora Elena Iudicone che, preoccupata, ha scritto di suo pugno direttamente al Ministro delle Giustizia Alfonso Bonafede.

La donna spiega che dopo quindici anni di maltrattamenti ha deciso di denunciare Desiato, tanto è che è in corso un procedimento per cui qualche mese fa si è celebrato un incidente probatorio in cui vi sono state importanti conferme. Ovviamente, causa Coronavirus, molti processi sono fermi ed è per questo che Iudicone ha paura e lo scrive senza tentennamenti. Teme per sé e per la sua famiglia, richiamando anche altri episodi di violenza – ovviamente tutti da acclarare nelle sedi opportune – e denunce per stalkingmaltrattamentiatti persecutori che coinvolgerebbero Desiato. La donna si sente abbandonata, in primis, dallo Stato e chiede al Ministro Bonafede di far rispettare la certezza della pena e, sopratutto, il Codice Rosso che tutela le vittime di violenza domestica: una sorta di rivoluzione, almeno su carta, per tutte quelle donne che decidono di denunciare mariti o compagni, per così dire, aggressivi.

A conti fatti, Iudicone teme di essere l’ennesima vittima di femminicidio, dice di essere stata minacciata in passato e ha paura. È proprio così che scrive nella lettera recapitata a Bonafede. Parole sicuramente forti di cui è importante tenere conto, anche se è bene precisare che Desiato non ha ricevuto nessuna condanna per maltrattamenti e, pertanto, nella decisione del Tribunale di Sorveglianza non avranno peso.
Bonafede, già bersagliato dalle critiche per le scarcerazioni di boss di Camorra, ‘Ndrangheta e Cosa Nostra per via del Covid-19, ha appena visto l’approvazione del suo decreto anti-svuotacarceri per cui il Tribunale di Sorveglianza prima di decidere sulla scarcerazione di un condannato al 41-bis avrà
l’obbligo di sentire il parere del procuratore nazionale Antimafia.

Ma questo non è il caso dei quattro uomini di Formia Connection che, pur essendo citati da pentiti di mafia con dichiarazioni di peso (Bardellino da Salvatore Laiso; Luglio, come summenzionato, da Agostino Riccardo), non hanno sul groppone nessuna condanna per mafia, né tantomeno le restrizioni del carcere duro. Senza contare che, come ci conferma l’avvocato Cardillo Cupo, le istanze di scarcerazione dei quattro non hanno nulla a che vedere con il Coronavirus poiché presentate molto tempo prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria.

Resta il fatto che, dopo quasi diciassette anni dall’inizio di Formia Connection, l’indagine svolta dal Commissariato formiano, che coinvolgeva fette della politica e della società civile, non solo è stata ridimensionata ma trova, ora, dopo meno di un anno, i quattro personaggi più rilevanti di quell’inchiesta, anche perché gli unici con una condanna passata in giudicato, liberi. O, meglio, agli arresti domiciliari come tutti gli italiani costretti a esserlo dalla pandemia del Coronavirus.

Fonte:www.latinatu.it