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L’errore di non decidere che apre spazi alle mafie

Il Corriere della Sera,11 aprile 2020

L’errore di non decidere che apre spazi alle mafie

La malavita organizzata approfitterebbe di ritardi nei tempi di intervento contro disagi sociali e difficoltà economiche

di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso |

Caro direttore, non si riesce ancora a comprendere che problemi globali richiedono risposte altrettanto globali. Fare polemica in questo momento è inutile. Anzi è dannoso. Bisognerebbe trascendere la differenza reciproca o le diversità culturali e politiche per concentrarsi sulle cose da fare. Invece, si continua a ironizzare sulle «eccellenze» napoletane o a discutere sugli eurobond che potrebbero finire nelle mani delle mafie, come teme il quotidiano Die Welt.

Le mafie sono un fenomeno con cui bisogna fare i conti. Ma non possono diventare un alibi, quando si tratta di intervenire per fronteggiare una crisi che sembra rievocare quella della Grande Depressione, come osserva il Fondo Monetario Internazionale. Oltre 170 Paesi registreranno quasi sicuramente una riduzione del reddito pro-capite e i settori più colpiti dalla sospensione dell’attività economica e sociale imposta dagli sforzi per contenere il contagio saranno principalmente il commercio al dettaglio, il settore turistico-alberghiero, i trasporti, ma soprattutto la piccola e media impresa.

Le mafie si ritaglieranno spazi solo se si continuerà a discutere, ritardando i tempi di intervento nell’affrontare disagi sociali e difficoltà economiche. In questo momento, servirebbe una riflessione sulla necessità di trattenere nel presente qualcosa di significativo del passato. E il passato ci insegna molte cose, che forse è il caso di ricordare a chi ha la memoria corta o a chi non ha letto i libri di storia. Dopo il terremoto del 1908, le leggi sulla ricostruzione di Reggio Calabria e Messina hanno finito per incattivire gli scontri «intorno alla distribuzione e all’uso del denaro pubblico» vivacizzati da una nuova presenza: quella degli ’ndranghetisti che avevano fatto i soldi negli Stati Uniti e che, approfittando dei ritardi e delle incertezze dei provvedimenti governativi, si erano messi a prestare soldi a usura. Il desiderio di scalare la piramide sociale, in quell’occasione, ha infoltito i ranghi di una organizzazione che, come nel caso della mafia in Sicilia e della camorra in Campania, non si è sviluppata nel vuoto delle istituzioni, ma al loro interno, grazie a collusioni, corruzione e sperpero di denaro pubblico. Le stesse dinamiche che hanno consentito l’espansione delle mafie al Nord e che hanno riprodotto le stesse dinamiche affaristiche e speculative in occasione di altre calamità, come i terremoti in Campania, Abruzzo, Umbria ed Emilia Romagna. Non è possibile comprendere la forza delle mafie, al di fuori della loro capacità relazionale che da sempre costituisce l’ossatura del potere mafioso. Dalla fine degli anni Sessanta in poi le mafie hanno sempre dialogato e cercato accordi con tutti quei soggetti dai quali hanno potuto ricavare utilità, senza mai assumere posizioni subalterne.

C’è molta ipocrisia nell’atteggiamento di Paesi come la Germania o l’Olanda che temono il saccheggio delle risorse comunitarie da parte delle mafie ma non hanno mai fatto abbastanza per frenarne gli investimenti nei loro territori. Dalla caduta del muro di Berlino in poi, le mafie in molti Paesi d’Europa non sono state viste come minaccia, ma come opportunità. Oggi, più che mai, i soldi del narcotraffico sono diventati ossigeno dell’economia legale. Come è successo al tempo della crisi del subprime in cui molte banche sono riuscite a far fronte ai problemi di liquidità finanziaria grazie ai soldi del narcotraffico, come ha denunciato coraggiosamente l’allora direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite per la lotta contro droga e crimine, Antonio Costa. Le mafie sono rapaci, opportunistiche. Seguono la logica del «path of least resistance», vanno dove trovano meno resistenza, dove è più facile delinquere, dove le leggi sono meno affliggenti. Cercheranno sicuramente di mettere le mani sulle risorse comunitarie, come faranno d’altronde i faccendieri e i criminali di mezza Europa. Ci sarà anche chi cercherà di «condizionare» gli elenchi dei cittadini bisognosi che i sindaci sono chiamati a compilare; cercheranno di sfruttare i ritardi della burocrazia che regola il settore bancario, ma anche quello della pubblica amministrazione. Ecco quello che un Paese serio deve cercare di impedire, monitorando i passaggi di proprietà delle aziende, ma anche le acquisizioni sospette di quote azionarie, in un periodo in cui molti fanno fatica a quadrare i conti. La vicenda Blue Call in Lombardia resta paradigmatica. In quell’occasione a un clan della ’ndrangheta è stato offerto il 30% delle azioni per recuperare dei crediti vantati da quella società che operava nel settore dei call center. È fondamentale, in questo momento, e vale la pena di ripeterlo, prevenire e limitare gli spazi di agibilità delle mafie, cercando di intuire quelle aree, ma anche quei settori che sono o che potrebbero essere più esposti alle infiltrazioni mafiose.

Bisogna fare attenzione, come suggeriscono il capo della Polizia, Franco Gabrielli, e il dirigente della Direzione centrale anticrimine, Messina, ai reati spia, come per esempio l’usura, che spesso consentono ai boss di mettere le mani su immobili e imprese. Come si legge in una nota inviata ai questori, «occorre […] focalizzare adeguatamente l’attenzione degli organismi investigativi in ordine a ogni possibile evoluzione delle strategie criminali, anche internazionali, che andranno a svilupparsi nei prossimi mesi, atteso che l’economia potrebbe subire un notevole impatto strutturale derivante dall’attuale emergenza sanitaria». Secondo i vertici della Direzione centrale anticrimine, «tale scenario potrà evidenziare ampi margini di inserimento per la criminalità organizzata nella fase di riavvio di molteplici attività economiche, tenuto conto della circostanza che la crisi attuale si configurerà come portatrice di un deficit di liquidità, di una rimodulazione del mercato del lavoro, del conseguente afflusso di ingenti finanziamenti sia nazionali che comunitari, tesi a sostenere cospicuamente l’attuale momento critico e la conseguente riapre se economica».

Insomma, per queste ragioni, il tempo delle parole è finito. È tempo di agire, fare sistema, mettendo assieme tutte quelle forze che hanno a cuore il benessere del Paese. Se continueremo a cedere il passo a quella lunga e pericolosa convivenza tra faccendieri e mafiosi, tra corrotti e corruttori, faremo fatica a riprenderci. Troppe persone, purtroppo, continuano a girarsi dall’altra parte avviluppati dall’indifferenza, la cui forza, come ricordava Cesare Pavese, «ha permesso alle pietre di durare immutate per milioni di anni». Oggi, più che mai, è tempo di fare.