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Vittime innocenti di mafia, la beffa degli indennizzi. BUFFONI, VERGOGNATEVI

Il Mattino, Sabato 5 Maggio 2018

Vittime innocenti di mafia, la beffa degli indennizzi

di Daniela De Crescenzo – Maria Pirro

La morte non è una livella. Per lo Stato italiano, le vittime innocenti si dividono in gruppi, in categorie, in serie, dalla A alla Z. Il risarcimento può arrivare dopo anni (tanti anni) o addirittura non arrivare mai, perché dipende dalla condanna inflitta al killer. Che continua così a segnare il destino crudele di queste famiglie: unite nel dolore, separate nelle prospettive. Trecentonove nomi sono ricordati in un elenco, redatto dalla Fondazione Polis. Ci sono i nomi di bimbi uccisi per sbaglio, di donne bruciate, di caduti nel corso di rapine finite nel sangue. Trecentonove vittime innocenti, trecentonove famiglie che sono state travolte e spesso fanno fatica ad andare avanti anche dal punto di vista economico. E qui interviene lo Stato che, però, ne aiuta solo alcune in maniera efficace. Sostanzialmente, la legge prevede quattro diversi trattamenti per gli eredi di chi è stato colpito dai brigadisti e altri gruppi armati (29 le storie censite in Campania), dalla criminalità organizzata (140 casi nella regione), sul posto di lavoro (27) o per altri reati (113). Quindi, se proprio bisogna morire, è «meglio» che a sparare sia stato il Prospero Gallinari di turno. Al congiunto, fratelli conviventi e figli del defunto viene riconosciuta la pensione di reversibilità, con i successivi incrementi e tante ulteriori forme di sostegno, fino agli sconti per l’abbonamento ai trasporti pubblici. Provvedimenti di cui altri non possono avvalersi, come si evince leggendo le norme modificate più volte nel tempo. Al secondo posto, nella lista dei possibili benefici, ci sono quelli assegnati ai parenti delle vittime del dovere e della mafia, come il vitalizio e duecentomila euro a titolo di particolare elargizione. Ma non mancano differenze ulteriori, anche sulle regole di accesso: per il terrorismo, ovviamente occorre deve dimostrare di essere estranei al delitto e non avere parenti fino al secondo grado con precedenti penali. Per le cosche si arriva, invece, al quarto grado. Una restrizione scattata dopo la cosiddetta strage delle donne a Quindici, nell’Avellinese. Risale al maggio 2002 lo scontro tra parenti dei boss del clan Cava e quelli del clan Graziano, in cui morirono in tre e una restò paralizzata e ai familiari venne riconosciuta la rendita, tra reazioni indignate.