Lo scioglimento del comune di Fondi è un atto di giustizia per la morte del
capitano Fedele Conti.
C’è sul comune di Fondi, un aspro dibattito che coinvolge ormai direttamente
il Parlamento e il capo del Governo Silvio Berlusconi che si ostina a negare
lo scioglimento del consiglio comunale nonostante la richiesta avanzata dal
Prefetto di Latina e suffragata dalle inchieste della Direzione
Distrettuale Antimafia.
Un impero di affari e politica dove l’impunità è la regola e la complicit�
un modus vivendi che ha inaridito il cuore dei cittadini e devitalizzato le
loro menti, tanto da rendere il declino morale una sorta di processo
irreversibile.
Mentre vengono rese pubbliche le trame di interessi che tengono uniti
amministratori pubblici ed esponenti della criminalità organizzata, tanto
che anche il ministro Maroni si è pronunciato a favore dello scioglimento del
consiglio comunale, c’è da parte dell’opinione pubblica un totale
disinteresse quasi che la gestione e l’utilizzo delle risorse dello Stato fossero altra
cosa rispetto alla vita quotidiana.
C’è il silenzio della Chiesa, i pastori delle anime hanno paura di
pronunciare quei nomi che da anni comandano a Fondi e sul consenso
clientelare e ricattatorio hanno costruito la loro fortuna politica, c’è la noncuranza
delle associazioni giovanili che al contrario dovrebbero auspicare un
futuro meno prigioniero ed ostaggio dei ricatti della mafia.
C’è la collusione di gran parte del mondo politico locale che non ha alcuna
voglia di mettere al servizio dell’etica e della moralità il mandato che
hanno ricevuto dagli elettori ma vogliono continuare in un sistema dove la
legalità non ha ancora il diritto di cittadinanza e la trasparenza non vince la
logica dei comitati d’affari che tengono sotto sequestro la libertà e la
democrazia.
Per queste ultime però è morto il capitano della guardia di finanza Fedele
Conti.
Erano bastati un paio di mesi nel 2006 per rendersi conto che benché
comandante della Guardia di Finanza di Fondi, aveva in pratica le mani
legate e nella logica imperante dell’illegalità e dell’impunità non gli
veniva consentito altro se non la sottomissione alla logica dominante per
permettere a chiunque di continuare a fare i propri loschi affari.
Fedele Conti aveva capito che in questa variegata consorteria c’erano dentro
un po’ tutti e che nessuno aveva il coraggio o l’interesse a rompere questi
delicati equilibri perché venivano messi a repentaglio il potere, gli
affari,
le carriere e gli investimenti patrocinati dalle robuste presenze sul
territorio di forti e riverite famiglie dei clan della ‘ndragheta.
Altro che depressione e delusione d’amore, il suicidio del capitano della
guardia di finanza è maturato in questo contesto criminale dove la politica
del silenzio, delle amicizie e delle collusioni ha consentito ogni tipo di
affare pur si salvaguardare il successo di pochi vip.
Questo Fedele Conti lo sapeva perché aveva letto fascicoli e rapporti nei
quali trasudava tutto il marciume di una società dall’apparenza operosa e
perbene.
Nessuno lo ha aiutato e forse in molti lo hanno scoraggiato se non
addirittura ostacolato o minacciato, Fedele Conti è morto suicida perché
non voleva essere comprato o corrotto, non voleva essere un pezzo di un sistema
politico che aveva sepolto gli ideali di giustizia e legalità per i quali
lui aveva indossato la divisa.
Quando sarà sciolto il comune di Fondi sarà resa giustizia ad un uomo che
molti hanno voluto dimenticare in fretta, ma noi continueremo a parlarne
anche se il suo ricordo infastidisce ancora il sonno di alcuni amministratori
locali.
Pastena, 19 agosto 2009
Arturo Gnesi