di Lirio Abbate

 

 

 

Lirio Abbate – Giornalista de L’EspressoOstia è una città nella città, dove vivono più di duecentomila romani. Un territorio controllato da due organizzazioni criminali. La più importante è quella di Carmine Fasciani, che guidava il suo clan anche dalla clinica dove scontava gli arresti, alleato con il napoletano Michele Senese. I loro complici-rivali erano i siciliani Triassi, messi da parte negli scorsi anni dalla brutale ascesa degli Spada. Il pentito Sebastiano Cassia ha raccontato ai giudici l’industria delle estorsioni, che sono diventate il sistema per lo sviluppo imprenditoriale dei nuovi boss. «I Fasciani subentrano nelle attività economiche di Ostia costringendo i titolari a cedere le aziende, chi si rifiuta viene pestato a sangue. Più che riscuotere il pizzo cercano di mettere “sotto botta” le vittime, per poi prendersi le loro attività: non gli interessa incassare 500 euro al mese, a loro interessa l’attività commerciale. Perché i Fasciani con tutti i soldi che hanno potrebbero pure fare a meno di chiedere il pizzo, ma lo fanno ad Ostia per ricordare a tutti il loro “titolo mafioso”». Ma anche se queste affermazioni sono state riscontrate dalla procura, non tutti i giudici negli ultimi anni ha creduto nell’esistenza di un’associazione mafiosa a Ostia. E così ci sono state sentenze “diverse” e interpretazioni dei fatti “diversi”. Perché, come si dice in questi casi, “ogni testa è tribunale”.
Negli ultimi dieci anni registriamo che a Ostia ci sono gruppi criminali che condizionano la vita sociale, progettano omicidi, armano sicari, realizzano accordi e traffici di droga e hanno il potere di autorizzare o meno l’uso delle armi. Sono organizzazioni criminali che parlano il dialetto romanesco e davanti ai giudici riescono a portare alcuni testimoni, spesso vittime di pesanti intimidazioni, a mentire. Perché questi testi hanno paura di parlare. Perché conoscono chi comanda a Ostia e sanno quanto sono capaci di sparare e uccidere anche per futili motivi. Per questi stessi fatti i componenti delle organizzazioni che le ordinano in Sicilia o in Calabria vengono accusati e condannati per associazione mafiosa. Ma a Ostia o a Roma di mafia è vietato parlare. È la parola mafia che provoca fastidio. Non gli attentati, le violenze, le minacce, le intimidazioni, le corruzioni che ogni giorno investono e invadono le case e le strade di Ostia. Tutti sanno ma per paura molti tacciono. Sanno anche che le mani della mafia sono finite sulla spiaggia di Ostia. Appalti pilotati, a partire dal 2012, e concessioni di stabilimenti balneari truccate. Lo sanno anche i giudici di Roma che hanno condannato imputati per aver agito con il metodo tipicamente mafioso. Ma niente mafia. Come altri giudici hanno sostenuto fino a poco tempo fa negando l’esistenza del metodo mafioso. Oggi con tutte le prove che vengono portate a dibattimento in cui si dimostra come agisce l’organizzazione mafiosa, come si fa a negare l’esistenza del metodo mafioso?