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33 arresti nel clan Piromalli: coletti bianchi e falso olio di oliva negli Usa

La Repubblica, Giovedì 26 Gennaio 2017

33 arresti nel clan Piromalli: coletti bianchi e falso olio di oliva negli Usa

di ALESSIA CANDITO

La dieta mediterranea è sempre più apprezzata negli Stati Uniti, ma a inquinare i prodotti italiani oltreoceano è arrivata la ‘ndrangheta. E così, accanto a celebrati prodotti di qualità, le cosche avevano messo in piedi un traffico per spacciare negli Usa falso olio extravergine di oliva, che altro non era che olio di sansa, frutto degli scarti di produzione.

E’ una delle scoperte dei magistrati di Reggio Calabria, che hanno ordinato il fermo di 33 affiliati al clan Piromalli, eseguito questa mattina all’alba dagli uomini del Ros del Carabinieri, fra Calabria e Lombardia. Accusati a vario titolo di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, intestazione fittizia di beni, autoriciclaggio, tentato omicidio, i 33 finiti in manette per la Dda sono tutti affiliati al clan dei Piromalli, storico casato mafioso da tempo considerato espressione dell’élite della ‘ndrangheta mondiale. Dal loro feudo di Gioia Tauro – hanno scoperto gli investigatori – il clan è stato in grado di estendere i propri interessi non solo in altre regioni d’Italia, come la Lombardia, ma persino negli Stati Uniti.

“A Gioia Tauro, gli uomini dei Piromalli continuavano a muoversi con i classici metodi dell’imposizione e dell’intimidazione mafiosa, capaci di difendere con i kalashnikov i loro interessi criminali sul porto o di controllare le squadre attive nello scalo – spiega il procuratore capo Federico Cafiero de Raho – a Milano invece erano gli imprenditori in giacca e cravatta, capaci di stringere importanti accordi commerciali con interlocutori nazionali e internazionali”.

Al centro della rete milanese, in rapporto simbiotico con la casa madre di Gioia Tauro, c’è Antonio Piromalli, rampollo dell’omonimo casato di ‘ndrangheta e figlio del boss Pino, detto Facciazza. Dopo una prima condanna a 7 anni, Piromalli jr ha scelto di allontanarsi dalla Calabria e piazzare la sua base operativa a Milano. Giacca e cravatta, soldi a palate e una galassia di società in cui formalmente non aveva alcun incarico, ma che gestiva da padrone, sono stati gli strumenti che hanno permesso al figlio del boss di prendersi il mercato ortofrutticolo, la distribuzione alimentare, l’edilizia. Per anni i milanesi hanno mangiato solo arance della ‘ndrangheta, hanno comprato appartamenti e uffici costruiti dal clan, hanno indossato i loro capi d’abbigliamento contraffatti.

Ma da pionieri dell’imprenditoria ‘ndranghetista, i Piromalli non si sono limitati ad infettare la città. “Il mercato delle imprese dei Piromalli non è Milano, o meglio non è solo Milano – dice il procuratore Cafiero de Raho – Quella è una base che serve per stringere rapporti, ma le loro proiezioni sono internazionali”. Sotto la madonnina, gli uomini del clan hanno stretto i rapporti che hanno permesso loro di inondare di olio contraffatto gli Stati Uniti. Grazie ad un imprenditore italoamericano e ad importanti società di import- export il mercato degli States è stato invaso da olio contraffatto, etichettato come prodotto di massima qualità. Un business, che non ha impedito ai Piromalli di interessarsi ad altri settori. Sono diventati i principali interlocutori di importanti marchi di moda francese, hanno preso in mano alberghi e resort, hanno gestito la distribuzione di frutta e verdura all’Ortomercato, hanno costruito palazzi e inondato di cemento i quartieri. “Quello che impressiona di fronte a questa indagine – commenta il procuratore Federico Cafiero de Raho – è la straordinaria capacità imprenditoriale, che permette ai clan di imporsi nei settori più diversi”.

A Gioia Tauro però i metodi usati dal clan per contrastare la concorrenza, sia imprenditoriale, sia sul territorio, sono rimasti quelli tradizionali. Minacce, intimidazioni, pallottole e persino un tentato omicidio, come quello di Michele Zito, uomo dei Molè, che ha rischiato di pagare con la vita gli screzi con un luogotenente dei Piromalli. Tradizionale era anche l’attività nel settore del narcotraffico, gestito dal clan grazie al controllo sul porto di Gioia Tauro, difeso in punta di kalashnikov quando altri hanno tentato di infiltrarsi nello scalo, così come la capacità di infiltrarsi nei grandi investimenti, come quello destinato a far sorgere un gigantesco centro commerciale nella Piana. Quello dei Piromalli era un impero dai mille volti, che oggi inizia a scricchiolare.