Roberto Scarpinato: "La nuova Cupola ora colonizza l'economia legale"
PALERMO. Cosa è la mafia oggi? “Non ce n’è una sola. C’è una mafia popolare che è in crisi, ce n’è un’altra che offre sul libero mercato beni e servizi illegali per i quali vi è una domanda di massa, poi c’è un’aristocrazia mafiosa che ha fatto un salto in circoli ristretti che gestiscono legalmente grandi affari”.
Procuratore Roberto Scarpinato, cominciamo dalla mafia che ha fatto il salto.
“Anche nel mondo mafioso c’è stata una selezione della specie. Solo alcune élite criminali partecipano al gioco grande del potere, dove a livello apicale gestiscono le leve della residua spesa pubblica e dei business che richiedono competenze complesse multilivello: dal settore dell’energia a quello delle privatizzazioni. Da anni uso la denominazione “sistemi criminali”, network nei quali esponenti di mondi diversi mettono in comune risorse di potere politico ed economico – e se occorre anche militare – per colonizzare interi comparti economici o territoriali”.
Una mafia lontana da quella che abbiamo conosciuto.
“Non si può capire che cosa è oggi la mafia se si continua a guardarla con gli occhi della Prima Repubblica e con un’ottica regionalistica. Tutti i paradigmi del passato stanno diventando obsoleti, perché è completamente mutato lo scenario socio-economico nel quale le mafie operano e di cui sono una componente organica”.
Mondo legale e mondo illegale che si avvicinano sempre di più confondendosi?
“È dal 2014 che l’Unione Europea ha stabilito che, per calcolare il Pil, il prodotto interno lordo degli Stati dell’Europa, bisogna inserire anche i fatturati dello stupefacente, della prostituzione e del contrabbando. Quando calcoliamo il Pil nazionale, da due anni inseriamo per l’Italia anche i 12 miliardi di euro del fatturato degli stupefacenti e i circa 3 miliardi e mezzo di euro di quello della prostituzione”.
Quali sono le cause che hanno portato grandi cambiamenti nel mondo criminale?
“Nella prima Repubblica la politica governava l’economia, la spesa pubblica era una risorsa potenzialmente illimitata e il Paese aveva ancora la sovranità monetaria. Da qui, derivava una determinata tipologia di rapporti di scambio e di convivenza tra mafia- politica- economia. La mafia offriva il suo sostegno elettorale ai partiti governativi che, in cambio, garantivano la compartecipazione alla spartizione della spesa pubblica e protezioni per il rischio penale derivante dall’attività predatoria sui territori. Il rapporto era “democratico”, nel senso che qualsiasi mafioso di medio livello poteva interfacciarsi con politici e amministratori locali che gestivano in autonomia la spesa pubblica”.
E oggi invece?
“Oggi è l’economia che governa la politica, i centri decisionali si sono verticalizzati e spesso sono sovranazionali, la spesa pubblica è divenuta una risorsa strutturalmente contingentata perché, con l’euro, il Paese ha perduto la sovranità monetaria. Gli appalti pubblici si sono ridotti in percentuali elevatissime. Tutto ciò sta scardinando la tipologia di rapporti preesistenti con la mafia. I mediatori politici hanno sempre meno da offrire in cambio”.
E la mafia come sopravvive a questa crisi profonda?
“Dalle intercettazioni emerge la difficoltà dei mafiosi popolari persino di garantire le spese per il mantenimento delle famiglie dei carcerati e per quelle legali. Le attività criminali predatorie tradizionali proseguono per forza d’inerzia su territori sempre più impoveriti”.
Altre associazioni criminali in questi anni si sono organizzate diversamente, la camorra e la ‘ndrangheta per esempio.
“In Sicilia ancora esiste una struttura mafiosa che tiene l’ordine, anche se in alcune zone si sta sfilacciando. In Campania, dove quella struttura d’ordine non esiste, i vuoti di potere determinati dagli arresti hanno scatenato una guerra per bande. Interi quartieri di Napoli, come le favelas sudamericane, sono isole di un’economia criminale della sussistenza che coinvolge migliaia di nuclei familiari”.
Poi c’è la mafia che ha invaso le regioni da Roma in su.
“Lì operano componenti evolute delle mafie – soprattutto la ‘ndrangheta quelle che non solo si sono de-localizzate ma si sono anche internazionalizzate. È la mafia mercatista, che cavalca la logica del mercato. Offre quello che chiedono migliaia di persone normali: stupefacenti, prostitute, falsi griffati. E ci sono anche tantissimi imprenditori ai quali queste mafie offrono servizi che abbattono i costi o incrementano i profitti, come lo smaltimento illegale di rifiuti o la fornitura di manodopera sottopagata o schiavizzata. Questa è la cosiddetta mafia silenziosa che con i territori non ha un rapporto aggressivo ma collusivo. La violenza viene utilizzata solo se è indispensabile. È uno spaccato che emerge da tante inchieste, come quella recente sulla colonizzazione mafiosa di intere aree dell’Emilia Romagna”.
Uno scenario cupo.
“È solo il più visibile. Poi ve n’è un altro più sofisticato, trasversale ai territori, prodotto dalla trasformazione strutturale del modo di essere del potere nella società. Dopo la chiusura della parentesi democratica del Novecento, che aveva redistribuito ricchezza e potere, è in corso un ritorno alla società delle élite che concentra ricchezza nel 10% della popolazione. Questo fenomeno attraversa anche il mondo criminale. Il ceto medio delle mafie tradizionali sta subendo la stessa parabola discendente del ceto medio legale. La “democrazia” è finita anche dentro la mafia”.
Chi è aristocrazia mafiosa in Sicilia?
“Matteo Messina Denaro”.
Come si fronteggiano queste élite criminali?
“Le categorie penali del concorso esterno e dell’associazione mafiosa mostrano la corda. Non si sa più se si tratti di concorso esterno di colletti bianchi negli affari delle mafie o, viceversa, di concorso di aristocrazie mafiose negli affari loschi di strutture criminali che la stampa