Cerca

Panorama riporta un’intervista al Presidente dell’’ANAC Cantone che riprende il discorso già iniziato sullo stesso giornale dal PM Catello Maresca sul ruolo dell’antimafia sociale.IL discorso é delicato ed investe tutta l’antimafia sociale.Ma la soluzione é semplice ad avviso dell’Associazione Caponnetto .L’antimafia DEVE ritornare a fare l’antimafia e NON l’impresa.Leviamo ad essa finanziamenti pubblici e tutta la gestione dei beni confiscati.Se VOLONTARIATO è ,volontariato significa impegno GRATUITO e senza interessi né economici né politici.

Cantone: “C’è chi usa l’antimafia, smascheriamolo”

Il presidente dell’Anticorruzione interviene nella polemica sui beni confiscati alle mafie. E su Libera dice: “Ha fatto tanto ma è diventata un brand”

  • Cantone: “C’è chi usa l’antimafia, smascheriamolo”
    cantone-renziIl presidente dell’Autorità anticorruzione (Anac), Raffaele Cantone e il premier Matteo Renzi durante la presentazione del libro ‘Corruzione a norma di Legge’, Roma 14 Gennaio 2015. 

    “C’è chi usa l’antimafia e va smascherato”. Questo dice Raffaele Cantone, oggi presidente dell’Autorità anticorruzione e dal 1999 al 2007 magistrato attivo a Napoli nella lotta alla camorra. In questa intervista, Cantone parla della opaca gestione dei beni confiscati e della durissima denuncia che sulla materia ha lanciato attraverso Panorama Catello Maresca, proprio il pm che di Cantone è stato il successore alla Procura di Napoli.

    – LEGGI QUI cosa ha detto Maresca e la polemica con Libera

    Dottor Cantone, il pm Maresca attacca “gli estremisti dell’antimafia, le false cooperative con il bollino, le multinazionali del bene sequestrato”. Le sue accuse sono molto gravi. Lei è d’accordo con lui?

    Ho letto l’intervista di Catello Maresca, cui mi legano rapporti di affetto e amicizia, e anche le precisazioni dopo che è scoppiata la polemica con Libera. Condivido gran parte dell’analisi svolta da Catello e ritengo sia stato giusto e opportuno richiamare l’attenzione su cosa sta accadendo in generale nel mondo dell’Antimafia sociale e nella gestione dei beni confiscati.

    Che cosa sta accadendo, secondo lei, in quel mondo?

    Si stanno verificando troppi episodi che appannano l’immagine dell’antimafia sociale e troppe volte emergono opacità e scarsa trasparenza sia nell’affidamento che nella gestione di beni confiscati. Questi ultimi, invece, di rappresentare una risorsa per il Paese, spesso finiscono per essere un altro costo; vengono in molti casi affidati a terzi gratuitamente e a questi affidamenti si accompagnano spesso anche sovvenzioni e contributi a carico di enti pubblici. Cosa che può essere anche giusta e condivisibile in astratto ma che richiede un controllo reale in concreto su come i beni e le risorse vengano gestite per evitare abusi e malversazioni. Non sono, però, d’accordo nell’aver individuato quale paradigma di queste distorsioni Libera; e il mio giudizio in questo senso non è influenzato dai rapporti personali con Luigi Ciotti né dal fatto che come Autorità anticorruzione abbiamo avviato una collaborazione con Libera, che rivendichiamo come un risultato importante.    

    Su Libera, Maresca ha dichiarato a Panorama: «Libera gestisce i beni sequestrati alle mafie in regime di monopolio e in maniera anticoncorrenziale. Sono contrario alla sua gestione: la ritengo pericolosa». Ha torto o ha ragione?

    Sono sicuro che in questa parte il ragionamento di Catello sia stato equivocato; non mi risulta che Libera abbia il monopolio dei beni confiscati e che li gestisca in modo anticoncorrenziale; conosco alcune esperienze di gestione di beni da parte di cooperative che si ispirano a Libera (per esempio, le terre di don Peppe Diana) e li ritengo esempi positivi; beni utilizzati in una logica produttiva e che stanno anche dando lavoro a ragazzi dimostrando quale deve essere la reale vocazione dell’utilizzo dei beni confiscati. Condivido, invece, l’idea di fondo di Catello; è necessario che le norme prevedano che anche l’affidamento dei beni confiscati debba seguire procedure competitive e trasparenti, non diverse da quelle che riguardano altri beni pubblici. Ovviamente tenendo conto delle peculiarità dei beni che si affidano.     

    Ma lei, che alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli occupava proprio la stanza che oggi è di Maresca, che cosa pensa di Libera?

    Libera è un’associazione che ha fatto battaglie fondamentali in questo paese; le va riconosciuto il merito di aver compreso quanto fosse utile per la lotta alla mafia l’impegno dei cittadini; e sta provando a fare la stessa cosa anche sul fronte della corruzione, cosa di cui gli siamo grati. Certo Libera è un’associazione che è cresciuta tantissimo ed è diventata sempre più nota e visibile; è diventato anche un “brand” di cui in qualche caso qualche speculatore potrebbe volersi appropriare per ragioni non necessariamente nobili. Credo che questo possa essersi in qualche caso anche verificato. E’ però il rischio di un’associazione che cresce ed è un rischio che ha ben presente anche Luigi Ciotti che in più occasioni non ne ha fatto nemmeno mistero in pubblico.

    Don Ciotti ha annunciato querela contro Maresca. Viene un po’ in mente la polemica di Leonardo Sciascia del gennaio 1987 sui «professionisti dell’antimafia»: è possibile criticare l’antimafia?

    Spero che Ciotti possa rivedere la sua posizione. Sono certo che, se parlasse con Maresca, i punti di contatto sarebbero maggiori delle distanze. E lavorerò perchè questo accada. Credo che la reazione a caldo di Ciotti però si giustifichi anche perché in questo momento ci sono attacchi a Libera (che non sono quelli di Catello, sia chiaro!) che giustamente lo preoccupano. Ciò detto, l’antimafia può ben essere criticata se è necessario e parole anche dure, come quelle dette anni fa da Sciascia, non possono essere semplificativamente respinte come provenienti da “nemici”. Sciascia con quella sua frase dimostrò di essere in grado di guardare molto lontano e di aver capito i rischi della professionalizzazione di un impegno civile, anche se aveva sbagliato nettamente l’obiettivo immediato; quelle critiche si riferivano a Paolo Borsellino ed erano nei suoi confronti ingiuste ed ingenerose.     

    Maresca dice anche che «è necessario smascherare gli estremisti dell’antimafia». La frase è forte: ha ragione?

    Si, anche se io preferisco dire che bisogna smascherare chi l’antimafia la usa e la utilizza per fini che nulla hanno a che vedere con le ragioni di contrasto alla mafia. E negli ultimi tempi di soggetti del genere ne abbiamo visto non pochi!

    Lo scorso settembre il «caso Saguto» ha fatto emergere a Palermo lo scandalo della cattiva gestione dei beni confiscati. Il procedimento è in ancora corso. Ma lei che opinione s’è fatto?

    Il caso Saguto attende le verifiche giudiziarie, come è giusto che sia; lo spaccato che emerge può essere valutato a prescindere dagli aspetti penali ed è decisamente inquietante. Ho sempre pensato che i giudici debbano tenersi lontano dalle gestioni economiche soprattutto quando passano per incarichi lucrosi e discrezionali a terzi professionisti, con cui si rischia di creare rapporti personali oltre che professionali. Da presidente dell’Anac ho chiesto formalmente al Governo di fissare le tariffe per gli amministratori (a cui sono legati gli emolumenti per gli amministratori dei beni da noi commissariati) proprio perchè certe discrezionalità in questo settore possono aprire la strada ad abusi     

    Certi Uffici misure di prevenzione dei Tribunali sono forse diventati “enclave” con troppo potere?

    Può forse essere accaduto in qualche caso, ma le generalizzazioni rischiano di far dimenticare quanto sia stato importante il ruolo di quelle sezioni del tribunale nella lotta alla mafia. La natura temporanea di questi incarichi, prevista opportunamente da regole interne introdotte dal CSM, è un antidoto utile a favore degli stessi magistrati per evitare eccessive personalizzazioni. Ed aggiungo, io non sono affatto favorevole alla norma, in discussione in parlamento, secondo cui le sezioni in questione devono obbligatoriamente occuparsi solo di prevenzione.         

    Già nel marzo 2012 l’ex direttore dell’Agenzia beni confiscati Giuseppe Caruso diceva che “i beni confiscati sono serviti, in via quasi esclusiva, ad assicurare gli stipendi e gli emolumenti agli amministratori giudiziari, perché allo Stato è arrivato poco o niente”. Possibile che per altri tre anni sia prevalso l’immobilismo?

    L’affermazione di Caruso  ha un che di vero, ma è comunque esagerata. È vero che ad oggi lo Stato non è riuscito ancora a cogliere l’occasione di utilizzare in modo più proficuo i beni confiscati e che è indispensabile un cambio di passo. Non va, però, dimenticato quanto siano state importanti le confische per indebolire le mafie. Non vorrei che qualcuno pensasse di utilizzare queste criticità per indebolire la lotta alla mafia, che ha invece assoluta necessità di utilizzare le misure di prevenzione patrimoniale

    Più di recente, nel 2014, Caruso aveva denunciato l’esistenza di amministratori giudiziari “intoccabili”, di “professionisti che hanno ritenuto di disporre dei beni confiscati per costruire i loro vitalizi” e criticato apertamente l’operato del Tribunale di Palermo. Era stato criticato ferocemente da sinistra: Rosy Bindi disse che aveva “delegittimato i magistrati e l’antimafia”. Eppure Caruso aveva ragione: allora, perché è stato isolato?

    Con il senno di poi non si può dire altro che avesse ragione. Non conoscendo, però, con precisione le sue dichiarazioni non so se avesse fornito indicazioni precise che, ovviamente sarebbe stato compito della commissione antimafia approfondire, o avesse fatto affermazioni generiche che potevano essere considerate effettivamente delegittimanti. Del resto Caruso, era un prefetto ed un pubblico ufficiale e se aveva conoscenza di fatti illeciti non doveva limitarsi a segnalarli all’Antimafia, ma denunciarli alla Procura competente!     

    Anche l’Associazione nazionale magistrati nel 2014 aveva criticato il prefetto: “I magistrati della sezione misure di prevenzione e i loro collaboratori” si leggeva in un comunicato “operano in difficili condizioni, conseguendo risultati di assoluto rilievo (…). Chiunque ricopre incarichi istituzionali (cioè Caruso, ndr), ha il dovere di denunciare eventuali illeciti alla competente autorità giudiziaria e dovrebbe astenersi dal rilasciare dichiarazioni pubbliche non supportate da elementi di riscontro”. Un comunicato che oggi grida vendetta, vero?

    Spesso scatta una sorta di riflesso condizionato, di difesa della magistratura e dei magistrati “a prescindere”. Ma io non voglio altre polemiche con l’Anm. Credo che l’Anm possa e debba svolgere un ruolo importante anche per tenere alta la questione morale in magistratura. Ho fatto parte alcuni anni fa del collegio dei probiviri dell’Anm ed ho verificato quanto fosse difficile applicare le regole deontologiche. Disponemmo un’espulsione di un magistrato dall’associazione ed avviammo altri procedimenti analoghi e per capire anche come stilare il provvedimento di espulsione cercammo precedenti che non trovammo. Fummo sicuramente noi poco diligenti nel non reperirli.         

    Una domanda da 30 miliardi di euro (tanto si dice sia il valore dei patrimoni sequestrati): che cosa dovrebbe fare lo Stato per gestire al meglio i beni confiscati alle mafie?

    Lo Stato deve capire quale sia la destinazione migliore e farlo anche grazie ad esperti indipendenti. In qualche caso ho avuto l’impressione che certe attività, che funzionavano chiaramente solo perchè gestite da mafiosi, siano state tenute in vita senza una logica e abbiano finito per creare solo inutili perdite. Bisogna preferire le destinazioni economiche dei beni, incentivando l’utilizzo in funzione produttiva piuttosto che destinazioni poco utili.

    Per esempio?

    Quante ludoteche e centri per anziani abbiamo in passato aperto in beni confiscati? È per questo che credo che iniziative come quelle citate prima, dell’utilizzo di terreni da parte di cooperative di giovani siano assolutamente da favorire. È un segnale importante che deve dare lo Stato, di essere capace di utilizzare i beni per produrre ricchezza, non lasciandoli deperire. Quando nel mio paese vedo un immobile oggi confiscato, nel quale prima operava una scuola, e oggi è completamente vandalizzato, mi chiedo se questa non sia l’immagine peggiore che riesce a dare l’istituzione pubblica   

    Non sarebbe meglio vendere tutto quel che è possibile vendere, come suggerisce Maresca?

    La vendita deve essere ammessa, ma considerata comunque eccezionale e riguardare beni che non possono essere destinati in alcun modo. Il primo impegno deve essere quello di utilizzarli per fini di utilità sociale o per avviare attività economiche a favore di giovani e soggetti svantaggiati.

    Come si evita il rischio che poi, a ricomprare, siano gli stessi mafiosi o loro teste di legno?

    Il rischio è reale; ma se si fanno controlli veri, attraverso la Guardia di finanza, su chi li compra e si stabilisce, per esempio, un vincolo di non alienazione per alcuni anni, questo rischio si riduce. Eppoi questo rischio non può giustificare il lasciar andare in malora qualche bene. Meglio è, come provocatoriamente più volte ha detto Nicola Gratteri, abbatterli e destinare per esempio i terreni a parchi pubblici!

    Certo, è più facile alienare beni mobili e immobili confiscati. Lo è meno nel caso delle aziende: qui quale soluzione prospetta?

    È molto più difficile gestire un’impresa appartenuta ad un mafioso, che come ho accennato sopra, spesso si è imposta nel mercato e ha utilizzato il know-how mafioso per ottenere risultati economici. Perciò va fatta una valutazione immediata e preliminare per capire se un’impresa è in grado di funzionare. Se no è meglio chiuderla ed eventualmente vendere i beni che di essa fanno parte. Se l’impresa è sana o comunque riportabile nella legalità, lo Stato può pensare di creare condizioni favorevoli (per esempio esenzioni fiscali e crediti di imposta) per consentirle di operare secondo le regole.  

    Perché tante aziende mafiose confiscate falliscono (creando tra l’altro un malessere sociale di cui poi le mafie inevitabilmente si approfittano)?

    Perché gli imprenditori mafiosi utilizzano regole diverse nello svolgimento dell’attività; utilizzano i canali mafiosi per imporre i loro prodotti; non hanno bisogno di farsi dare soldi in prestito dalle banche; non devono andare in tribunale per riscuotere i crediti; né rivolgersi a sindacati per i problemi con i lavoratori. Sono imprese “drogate” e quando viene meno il doping criminale non reggono il mercato! Il loro fallimento crea sicuramente malessere sociale ma bisogna stare attenti a salvarle a tutti i costi e fare un’attenta prognosi come dicevo prima. Spesso in esse lavorano persone direttamente collegati alle cosche e si rischia, salvandole a spese pubbliche, di foraggiare indirettamente i clan.

    Nel luglio 2015, due mesi prima dell’emersione dello scandalo Saguto, lei aveva chiesto al governo d’intervenire sulle elevatissime retribuzioni degli amministratori giudiziari. Aveva intravisto qualche criticità?

    Ho fatto il pubblico ministero antimafia per otto anni e pur non essendomi occupato di misure di prevenzione, mi era chiaro come un sistema con regole non chiare rischiava di aprire il varco ad abusi. In qualche caso mi era capitato di vedere liquidazioni che mi erano sembrate eccessive. Ammetto, però, che sono sobbalzato quando ho sentito di alcune liquidazioni di onorari fatti ad amministratori giudiziari

    Le leggi e la prassi permettono effettivamente agli amministratori giudiziari dei beni confiscati di raggiungere retribuzioni elevatissime: è un errore da cancellare, oppure con un calo dei compensi nessuno accetterebbe?

    Il rischio c’è: le tariffe introdotte dal provvedimento del governo sicuramente renderanno meno appetibili le amministrazioni e probabilmente allontaneranno alcuni professionisti di valore dal settore. C’è pero una certa elasticità che consente di adeguarle e forse sarà l’occasione per dare spazio a giovani professionisti che non sempre hanno avuto l’occasione di operare in tale ambito.   

    Non sarebbe più corretto ordinare il sequestro di un bene soltanto quandosi è dimostrata, almeno nel primo grado di giudizio, la sua provenienza mafiosa?

    No. Il sequestro resta un provvedimento necessario per togliere subito i beni ai mafiosi. Bisogna invece fare in modo che duri il meno possibile e che sia sostituito da provvedimenti definitivi di confisca

    Non sarebbe bene, anche, svincolare le competenze sui decreti di sequestro e di nomina degli amministratori dalle mani di un solo magistrato, per attribuirla a tutti i magistrati di un pool antimafia?

    Già è competenza collegiale del tribunale, quantomeno nei casi di confische di prevenzione. Il sistema prevede controlli sufficienti anche da parte dei vertici degli uffici. Basta che tutti gli attori siano realmente attenti e scrupolosi rispetto ai loro compiti. Non sempre può dirsi dopo “non me ne ero accorto” o “non avevo capito”.  

    Il nuovo Codice antimafia, varato dalla Camera e in attesa di approvazione al Senato, è la soluzione?

    Va nella giusta direzione per molti aspetti. Vuole migliorare la capacità di lavoro dell’Agenzia, un’entità utile che ad oggi ha dovuto fare sforzi enormi, per difficoltà oggettive. Prevede regole più chiare sulla destinazione dei beni. Ci sono delle criticità in quella normativa, come ad esempio l’estensione automatica delle regole della prevenzione ai fatti corruttivi che rischia di creare più problemi di quanti ne risolve. Complessivamente comunque un provvedimento positivo, ma probabilmente saranno opportuni interventi modificativi da parte del Senato

    È una soluzione il divieto giacobino di affidare beni confiscati a un «commensale abituale» del giudice che decide?

    Come magistrato lo sento gravemente offensivo; non avrei mai pensato, anche senza questa regola, di affidare un incarico ad un mio commensale abituale. Certe vicende, però, giustificano persino regole che dovrebbero rientrare nella deontologia minima. Quelle vicende, però, sono l’eccezione, per fortuna, perché di queste regole la maggior parte dei magistrati non ha certo bisogno!

    Torniamo a Catello Maresca: non crede che ora rischi parecchio (e non sto parlando, ovviamente, della querela di Don Ciotti…)?

    Lo escludo. I rischi che ha corso e corre Catello sono legati al suo eccezionale impegno giudiziario e ai risultati ottenuti, quale la cattura del più importante boss dei casalesi. E su quell’aspetto non è stato lasciato solo. Nè lo sarà, assolutamente