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La legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie compie 15 anni

«Quindici anni dopo il bilancio è certo positivo, anche se rimangono delle criticità». Questo il primo commento di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie e già padre del Gruppo Abele, a tre lustri di distanza dall’entrata in vigore delle legge 109/96. Era infatti il 7 marzo 1996 quando si dava attuazione alla normativa in materia di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali: un traguardo raggiunto grazie a un milione di firme raccolte in seguito a una petizione popolare lanciata proprio dall’associazione contro le mafie, fondata l’anno prima.

Nel corso di questi anni, sono «numerosi e concreti i percorsi di giustizia, i diritti costruti grazie alla legge 109: dagli edifici trasformati in scuole, caserme, centri per anziani, alle cooperative che sui terreni confiscati danno lavoro a tanti giovani. I prodotti a marchio Libera terra – ha proseguito don Luigi Ciotti – sono oggi forse il simbolo più visibile di questa svolta, questo contrasto alle mafie collettivo».  Un emblema che ha davvero il gusto della riscossa, come quello ritratto qui a fianco. Siamo a San Sebastiano da Po, sulla collina di Chivasso: la cascina intitolata a Bruno e Carla Caccia è stata confiscata alla famiglia Belfiore, mandante ed esecutrice dell’omicidio – avvenuto il 26 giugno 1983 – del Procuratore “con cui non ci si poteva parlare” come lamentavano gli ‘ndranghetisti. Una struttura che ospita diverse attività formative e presso la quale si è dato vita alla produzione del “Torrone della Legalità”, grazie al miele e alle nocciole coltivati in loco.

Secondo la relazione stilata dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati  – varata in seguito al decreto legge n.4  del 4 febbraio 2010, con sede a Reggio Calabria e diretta dal prefetto Mario Morcone – al 31 dicembre 2010 risultano essere 830 i comuni italiano con almeno un bene confiscato alla criminalità organizzata. La sola città di Palermo, in cima a questa classifica, conta 1.870 beni, mentre in Valle d’Aosta non vi sono né beni confiscati né beni assegnati. «Di certo non possiamo parlare di virtuosismo – sottolinea il prefetto Morcone – ritengo che la chiave di lettura di questo dato sia da ricercare nelle piccole dimensioni della regione, che permettono un controllo oculato delle autorità competenti. Per questi motivi, inoltre, l’avvio di un’attività illecita non passerebbe inosservata: questo non riguarda solo la Valle ma altre regioni quali la Basilicata, il Molise o il Trentino». Nella regione del Lazio si parla invece di quinta mafia, come si evince dal dossier presentato il 15 febbraio: una fotografia dei beni confiscati, assegnati o non ancora destinati su tutto il territorio laziale, con un’attenta analisi del fenomeno.

Per festeggiare il quindicesimo anniversario della legge 109/96, l’associazione Libera promuove una serie di attività quali visite guidate e iniziative sui beni confiscati nell’ambito di “Prendiamoci bene: è Cosa Nostra! Giornata di apertura dei beni confiscati alle mafie”. Per avere ulteriori informazioni www.libera.it

Narcomafie, all’interno del numero di marzo, dedica a questa tematica che festeggia un compleanno così importante, un’intera sezione:

Una scommessa vinta di Luigi Ciotti
Memoria e impegno di Enrico Fontana e Davide Pati
Il primo bene non si scorda mai di Elena Ciccarello

(Tratto da Narcomafie)